"Vecchi" agli arresti domiciliari

La proposta di tener isolati gli anziani, almeno fino a fine anno, l'ha fatta ai governi europei, 10 giorni fa in un'intervista, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea. "Ma va a farti fottere" è stata la mia prima reazione, poi ho pensato che, madre di sette figli, in quel campo ha già dato. Che le donne ai vertici delle istituzioni europee abbiano "larghi margini di miglioramento" è cosa nota, basti pensare alla Christine Lagarde che, all'incirca un mese fa, dopo una intervista ha fatto crollare gli indici di tutte le borse europee. Naturalmente, se ha tracciato il solco la presidente della CEE i governi nazionali (o meglio i loro esperti) lo stanno seguendo e stanno uscendo sui media delle anticipazioni.

In Italia il governo ha 15 task force con 448 esperti strapagati e ogni regione, anche se in numero minore, ha le sue. Se per scegliere la APP Immuni si son dedicati 74 esperti per scegliere la APP di una società con esponenti renziani e i figli di secondo letto di Berlusconi tra i proprietari, quanti "esperti" si stanno occupando del limite di età per continuare a fare stare in prigione gli anziani?

Dalle anticipazioni sui giornali, in maggior parte vassalli del Conte, il limite di età a cui stanno pensando sarebbe 65 anni. Ahi, ahi, ahi qui cascano gli asini! La professoressa Fornero del famigerato governo Monti, nominato senatore a vita prima di accettare l'incarico di premier, ha portato il limite per andare in pensione a 67 anni. Gli "esperti" non lo sanno? Allora, o alzano l'età del confinamento obbligato o fanno la riforma delle pensioni e portano a 65 anni la dead line per le pensioni di vecchiaia. Tertium non datur! In Italia hanno risposto autorevoli giuristi e costituzionalisti, come Vladimiro Zagrebelsky e Sabino Cassese, sottolineando gli aspetti di incostituzionalità, lo psichiatra Paolo Crepet è ricorso, in modo metaforico alla categoria della pazzia come lettura del periodo di isolamento che stiamo vivendo perché è "più facile che si sviluppino nevrosi ossessive e mantenere la quarantena per gli over 65 fino a Natale sarebbe nazismo puro". Sottoscrivo e non solo perché ho più di 70 anni.

Anche in Francia gli esperti del governo hanno seguito il solco von der Leyen e hanno ipotizzato di prolungare "le confinement"(si traduce confinamento ma anche prigione) per chi ha più di 65 anni. La reazione è stata veemente e i giornali ne hanno dato rilievo più che da noi. Sabato scorso su Le Figaro c'erano 4 pagine (dalla 2.a alla 5.a) dedicate alle proteste contro tale ipotesi. L'ex premier Laurent Fabius, ora presidente del Consiglio costituzionale, Alain Minc saggista e consulente di alto livello (l'uomo che sussurra all'orecchio dei Presidenti della Repubblica), lo scrittore Pascal Brukner, intellettuali, professionisti e cittadini. E il Presidente Emmanuel Macron si è pronunciato nel fine settimana chiedendo la responsabilità di tutti e "nessun confinamento prolungato, dopo l'11 maggio per gli over 65 perché molti di loro la vivrebbero come discriminazione". Mandando così al mittente la raccomandazione del professor Jean-François Delfraissy, presidente del Consiglio Scientifico. La Francia, nella loro Fase2 ha anche il secondo turno (i ballottaggi) delle elezioni comunali; gli anziani sono tanti (e votanti) e Macron ne ha tenuto conto.

Anche in Italia governo e partiti dovrebbero trovare il tempo per rifletterci, sono milioni i cosiddetti anziani ancora in vita (anche perché vivono a casa loro e non in una casa dell'eterno riposo, alias RSA), sono informati e si occupano di politica più dei giovani, molti hanno fatto il '68 e saprebbero tornare in piazza anche adesso. Cosa farà ancora questo governo burla? Toglierà il diritto di voto agli anziani?

Chi sono gli anziani e perché si sarebbe anziani a 65 anni?

A chi dobbiamo questa età-limite? Si attribuisce a Otto Von Bismarck la scelta dei 65 anni come soglia di anzianità. È stato lui a decidere che la vecchiaia inizia a 65 anni con motivazioni più pratiche che scientifiche: all'epoca pochi varcavano il traguardo e il cancelliere tedesco, con lungimiranza, si preoccupava delle pensioni.

Eppure la definizione di quasi due secoli fa ha retto, sostenuta dalla convinzione che esistesse comunque un limite fisiologico per la vita umana. Anche se, con l'allungamento dell'aspettativa di vita, ha portato negli ultimi decenni a rivedere il tutto.

Alla fine di Novembre del 2018, a Roma, si è tento il 63° Congresso Nazionale della SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria) che ha dato una nuova definizione dinamica del concetto di anzianità proponendo una nuova classificazione in quattro sottogruppi: giovani anziani (persone tra i 64 e i 74 anni), anziani (75 – 84 anni), grandi vecchi (85 – 99 anni) e centenari. La proposta dalla SIGG aggiorna il concetto di anzianità, portando a 75 anni l'età ideale per definire una persona come anziana. Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa e un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. L'asticella dell'età si alza ad una soglia adattata alle attuali aspettative nei paesi con sviluppo avanzato. I dati demografici dicono che in Italia l'aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900. Considerare anziano un 65enne oggi è anacronistico: a questa età moltissimi stanno fisicamente e psicologicamente bene. Sono nelle condizioni in cui poteva trovarsi un 55enne una quarantina d'anni fa. Avranno letto queste conclusioni gli "esperti" del Bisconte?

Io sono (71 anni) un giovane anziano e sono anche, felicemente, nonno. Navigando sul web ho rintracciato un recente appello al Presidente del Consiglio dell'Associazione Nonni 2.0 che mi è piaciuto e che propongo alla Vostra lettura.

APOTOS

Mondovì, 23 aprile 2020

Questo articolo è stato pubblicato su La Piazza Grande del 21.4.2020 a pag. 28

Una misura anticostituzionale

Egregio Prof. Giuseppe Conte, da più parti si ha notizia che con il prossimo DPCM verrà limitata, rispetto agli altri cittadini italiani, la libertà di movimento degli ultrasessantacinquenni oppure degli ultrasettantenni.

Con la presente, chiediamo fortemente e decisamente che tale misura non venga assunta per diversi motivi. Ne specifichiamo qualcuno.

Tale misura sarebbe decisamente anticostituzionale. Infatti, violerebbe l'articolo 3 della Costituzione, il quale vieta ogni discriminazione anche in ragione delle “condizioni personali e sociali” delle persone: in questo caso, la grave discriminazione sarebbe basata sulla condizione dell’età. Ma violerebbe anche l’articolo 13 (“la libertà personale è inviolabile”) e l’articolo 16 (“ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”).

Qualche fautore del provvedimento che noi contrastiamo lo motiva con una sorta di riguardo verso la parte più “debole” della popolazione. La motivazione appare totalmente infondata (anche se ispirata da buone intenzioni), perché i nonni costituiscono quella parte della popolazione che più diligentemente sta alle regole imposte a causa dell’attuale pandemia. I nonni circolerebbero, come stanno facendo, con la mascherina, con i guanti, a distanza di almeno un metro dagli altri: che cosa si vuole di più da loro? Le persone che attualmente stanno violando le regole non sono certo i nonni, ma, per lo più, persone di età inferiore. Ed allora, perché infierire sui nonni?

Togliere i nonni dalla normale circolazione significherebbe infierire un durissimo colpo al sistema del welfare nazionale, il quale, per almeno un terzo, poggia sulla presenza generosa e intelligente dei nonni. Senza la libera circolazione dei nonni, chi assisterà i nipoti mentre i figli torneranno al lavoro e con le scuole chiuse? Chi darà da mangiare ai nipoti? Chi conforterà i nipoti, sottraendoli all’attuale crudele solitudine? Chi infonderà speranza ai giovani così provati? I nonni, che, ripetiamo, sanno benissimo difendersi dai subdoli attacchi del virus, sono indispensabili per tenere insieme il nostro tessuto sociale, anche perché (occorre non dimenticarlo) fanno parte integrante della famiglia, che, in questi due mesi, ha costituito la spina dorsale vitale dell’intero Paese.

La misura da noi contestata, poi, non tiene conto di una distinzione che chi governa non può ignorare. Ci sono, purtroppo, molti anziani non autosufficienti, che costituiscono un gravissimo problema per tutto il mondo, come stiamo constatando proprio in questi giorni: un problema che investe anche l’intera Italia e che deve essere affrontato senza più perdite di tempo, con gli strumenti specifici previsti per le patologie, senza badare a spese, come spesso è stato fatto. Ma la stragrande maggioranza dei nonni, fortunatamente, è autosufficiente sia dal punto di vista vitale che da quello mentale e, quindi, deve essere abbandonata l’equazione nonno=persona da assistere.

Le assicuriamo che questi nonni sono più vitali e generosi e intelligenti di tante altre persone. Ed allora, perché ghettizzarli?

Se queste ed altre sono le ragioni che ci spingono a chiedere al Governo di non procedere sulla strada paventata, ci permettiamo segnalare un altro problema. Siamo sicuri che anche il buon senso spingerà il Governo a seguire la strada da noi qui indicata e che quindi nessuna misura sarà assunta nel prossimo DPCM su questo tema. Nella malaugurata idea (neppure pensabile) che, invece, si volesse procedere sulla via sbagliata, segnaliamo che esiste il delicato problema che investe l’illegittimità dei DPCM che si sono finora susseguiti, come è stato rilevato anche da autorevoli professionisti della materia. Infatti, un semplice DPCM non può limitare, con forza di legge, i diritti essenziali dei cittadini. Anche sotto questo profilo, il divieto alla circolazione dei nonni sarebbe illegittimo.

Assicuriamo che ci siamo decisi a questo intervento per spirito di collaborazione e per amore sia ai nonni che alla legalità.

Siamo disponibili ad ogni approfondimento. Cordiali saluti.

Dott. Pierluigi Ramorino (Presidente) - Avv. Giuseppe Zola (Vicepresidente)

Associazione Nonni 2.0

Questo articolo è stato pubblicato su La Piazza Grande del 21.4.2020 a pag. 28

 

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Europa. Il piano von der Leyen. Mille miliardi di bond per i Paesi in difficoltà

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Almeno mille miliardi da raccogliere sui mercati con bond europei gestiti dalla Commissione, da versare ai Paesi più colpiti dalla pandemia in parte sotto forma di aiuti a fondo perduto, in parte come prestiti a tassi contenuti da rimborsare non prima di 20 anni. Prende forma il piano con il quale Ursula von der Leyen e Charles Michel sperano di mettere d’accordo i leader dell’Unione in occasione del video summit di giovedì prossimo. Non mancano però i problemi, come i tempi dell’operazione. Dettagli cruciali, oggetto di intensi colloqui tra i presidenti di Commissione e Consiglio europeo e le Cancellerie continentali. Come dimostra la telefonata di ieri tra il premier Conte e la stessa von der Leyen.

I governi sono spaccati sugli strumenti per rilanciare l’economia europea depressa dal Covid 19: da un lato il fronte della solidarietà guidato da Francia, Italia e Spagna, dall’altro i paesi contrari alla mutualizzazione del debito, ovvero Germania, Olanda, Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca. Proprio in ragione di questo scontro, e per timore che possa essere subito bruciato, probabilmente von der Leyen non presenterà il progetto prima del summit. Lo esporrà direttamente ai leader giovedì. Se otterrà il via libera, il 29 aprile pubblicherà le sue proposte.

L’idea di base è che sia la Commissione ad andare sui mercati. Lo farà usando come garanzia di fronte agli investitori il suo bilancio 2021-2027. Grazie alla Tripla A della quale gode, punterà a raccogliere almeno 1.000 miliardi a interessi vicino allo zero che, sommati alle misure dell’Eurogruppo, comporrebbero un pacchetto anti-crisi da 1.500 miliardi. I bond tra l’altro potranno essere acquistati anche dalla Bce. Si prevedono maturità di almeno 20 anni, ragion per cui la Commissione potrebbe impegnare non solo il prossimo budget pluriennale, ma anche quelli successivi. I soldi dei bond sarebbero distribuiti ai governi più colpiti dalla crisi tra sussidi da non rimborsare (“grants”) e prestiti a basso costo (“loans”).

Condizione per lanciare il piano, sarà un accordo sul bilancio 2021-2027, dossier sul quale i leader litigano da due anni spaccati tra “ambiziosi” del Sud e “frugali” del Nord, impegnati a ridimensionare il “Tesoro Ue”.

Il budget dell’Unione è composto da due parti: gli impegni, ovvero i soldi che i governi versano a Bruxelles, e le spese potenziali, un tetto massimo di fondi che la Ue può chiedere alle capitali solo in caso di necessità. Il piano di von der Leyen prevede di non insistere sulla prima posta del bilancio, complicata in quanto richiede un reale esborso dei soldi, e che dunque rimarrebbe intorno all’1% del Pil europeo (al massimo l’1,1%).

Piuttosto Bruxelles mira a spingere sulla seconda voce, raddoppiandola fino al 2% del Pil. Così le centinaia di miliardi che compongono il margine tra le due parti del budget — tra soldi reali e soldi virtuali — costituirebbero la garanzia con la quale Bruxelles si presenterebbe sul mercato per emettere gli Ursula-Bond.

Secondo fonti coinvolte nei negoziati, questo schema potrebbe trovare il via libera di Angela Merkel. Dal punto di vista tedesco, il piano von der Leyen avrebbe il pregio di mettere in campo Eurobond mascherati in quanto sarebbe la Commissione a emetterli, evitando una mutualizzazione diretta delle risorse dalle casse nazionali. Inoltre i fondi sarebbero gestiti dalla Commissione, garanzia per l’elettorato del Nord che non verranno sperperati in favore delle cicale del Sud. Resta comunque il serio rischio che qualche altro paese del fronte pro austerità blocchi l’aumento fino al 2% delle cosiddette “risorse proprie” di Bruxelles.

Inoltre non è ancora deciso se il meccanismo sarà realizzato totalmente “in house” dalla Commissione, o se sarà appoggiato su un fondo esterno — comunque gestito da Bruxelles — che permetterebbe alla Francia di cantar vittoria sul Recovery Fund chiesto da Macron. Altra incognita è quella dei tempi: il fronte del Sud, in particolare l’Italia, chiede che i bond siano varati a brevissimo. Ma agire sul bilancio 2021 rallenta l’intervento: anche volendo anticipare il budget, i tempi per il suo lancio restano lunghi tra negoziati per trovare l’ok unanime dei leader, approvazione dell’Europarlamento (pronto a muoversi velocemente) e ratifiche nazionali.

Ecco perché le istituzioni insistono affinché i governi prima usino il pacchetto dell’Eurogruppo: 540 miliardi tra prestiti Bei, fondo “Sure” per gli ammortizzatori sociali e Mes senza condizionalità, che oltretutto potrebbe appoggiarsi al programma della Bce di acquisto illimitato dei titoli di stato nazionali (Omt). Solo dopo l’esaurimento di queste munizioni, e in caso di necessità, la Commissione potrebbe lavorare a un ulteriore “ponte” per arrivare a gennaio. Difficile che tutti i paesi del Sud accettino.

Insomma, restano i nodi, tanto che più di una Cancelleria al momento pronostica che il vertice di giovedì non sarà risolutivo: potrebbero servire ulteriori colloqui (e litigi) tra leader.

Alberto D’Argenio – la Repubblica – 20 aprile 2020

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Il ritorno dei tipi da establishment

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Secondo l’intellettuale britannico Adrian Wooldridge, c’è un giorno preciso in cui l’establishment “è tornato”, dopo anni di rivolte anti sistema. Wooldridge, che scrive sull’Economist, parla del Regno Unito, e il giorno che indica è il 5 aprile scorso, quando la Regina Elisabetta ha parlato alla nazione – con quel suo potente “ci rincontreremo” – e il primo ministro, Boris Johnson, è stato ricoverato in ospedale perché i sintomi del coronavirus si erano aggravati. Il popolo inglese ha ritrovato, nel momento dell’emergenza, la sua unità attorno alle istituzioni: con la Regina è facile, direte voi, ma è accaduto anche nei confronti del premier per il quale l’apprezzamento non è certo unanime. Ma non si tratta del solito “non è il momento delle polemiche”. Le polemiche ci sono eccome, gli errori di molti leader internazionali vengono denunciati di continuo, ma con una pretesa di maggiore competenza e visione del futuro, non con il desiderio di stravolgere ogni cosa per poi vedere come va a finire. Per dire, nel Regno Unito i personaggi più estremi e fantasiosi non si vedono più, a partire dal loro leader, il guru Dominic Cummings. E sì che fino a qualche settimana fa stava mettendo mano all’establishment in modo brutale, mirava persino ad assaltare la zietta del paese, la Bbc, quella stessa emittente che sta avendo ascolti record – le fa premio la credibilità. Ora, il termine establishment continua a essere un tabù: richiama un’élite lontana ed estranea ai problemi delle persone normali, miope e talvolta irresponsabile. Wooldridge, che mette in guardia di fronte alle prossime sfide, dà una definizione precisa di quel che intende per “i tipi da establishment”: sono quelli che credono in particolare al fatto che “governare sia un affare serio” che deve essere gestito da persone competenti e responsabili. Quando a metà settimana l’ex presidente americano Barack Obama ha pubblicato un video di sostegno a Joe Biden, ha detto proprio questo: mai come ora vogliamo persone competenti e credibili a guidarci. Il documento che l’Amministrazione Trump ha pubblicato due giorni fa sul piano di riapertura dell’America è stato accolto con stupore: era ragionevole, o “poco trumpiano”, come hanno detto molti. “Opening up America again”, così si chiama il documento, “appare cauto – scrive Mike Allen di Axios – perché lo hanno scritto i professori”, e perché i consiglieri di Donald Trump, che pure sono preoccupatissimi per l’impatto economico di questa emergenza (chi non lo è?), gli hanno detto che una seconda ondata di contagi prolungherebbe di molto il disastro economico. Il costo della fretta è altissimo, insomma, e per il momento persino il più intemperante dei leader internazionali ha deciso di non correre il rischio. La tipica cautela dell’establishment, che ha molto a che fare con l’esigenza di conservarsi, ora è molto diffusa anche nel cosiddetto popolo. Se andare in giro non è sicuro, non si va: “Governare è un affare serio”, e inizia da ognuno di noi. Anche i manager delle grandi aziende – l’establishment guardato con più sospetto, visto che nel recente passato ha mostrato gravi irresponsabilità (il dio denaro!) – stanno rivelando una inattesa dose di serietà, e sì che sono loro i più impazienti, visto che gli introiti sono in grande calo. Ma “se facciamo errori adesso”, scrive Suzanne Clark, che guida la Camera di commercio americana, “i costi della sanità e quelli economici saranno sconvolgenti”. E in questo momento di grandi ripensamenti, il presidente jupitérien della Francia, Emmanuel Macron, fa l’elogio dell’umiltà; la bistrattata cancelliera tedesca, Angela Merkel, fa lezioni di statistica durante le conferenze stampa e lascia anche i suoi nemici a sospirare: in effetti un leader-scienziato non è così male; l’algida presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, chiede scusa all’Italia per non aver compreso la gravità della nostra situazione; il cancelliere dello Scacchiere britannico, Rishi Sunak, conservatore liberale amante dell’austerità, collabora con aziende e sindacati – li chiama i “nostri partner sociali” – e par di vedere un socialdemocratico degli anni Novanta. Il ritorno dei “tipi da establishment” è più forza alle istituzioni che alle folle, più forza alla continuità che alla disruption, più forza ai fatti che alla pancia. E sì, pare un altro mondo.

Paola Peduzzi – Il Foglio – 18 aprile 2020

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