Macron: "Fondo comune o l’Ue rischia il crollo"

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Emmanuel Macron lancia la carica: l’Unione è arrivata «al momento della verità», i leader devono «decidere se è un progetto politico o solo un mercato. Io penso sia un progetto politico e quindi servono trasferimenti finanziari e solidarietà». Il presidente francese parla al Financial Times a una settimana dal cruciale vertice Ue sulla risposta alla crisi economica da coronavirus. Schiera ancora la Francia sulla linea di Italia e Spagna, in netta contrapposizione con la Germania di Angela Merkel: «Non c’è altra scelta» - spiega dall’Eliseo – se non creare un fondo «che possa emettere debito comune con garanzie comuni» per finanziare la ripresa. Altrimenti l’Unione rischia il collasso.

La Francia insiste, vuole un Recovery Fund che rastrelli sul mercato almeno 500 miliardi per sostenere i Paesi che a causa dell’alto debito possono spendere meno, rischiando di saltare sotto i colpi della crisi. «Se non lo facciamo, io vi dico che i populisti vinceranno in Italia, in Spagna, forse in Francia e altrove». L’idea è sostenuta da 14 partner, ma è bloccata da Germania, Olanda, Austria, Finlandia, Svezia e Danimarca. Consapevole della necessità di trovare un accordo tra le due fazioni, in particolare con Berlino, Macron aggiunge: «Ho un dialogo permanente» con Angela Merkel e l’olandese Mark Rutte.

Iniziano dunque le danze in vista del burrascoso vertice di giovedì prossimo. Un antipasto ieri è arrivato alla riunione dei ministri delle Finanze dei 27, durante la quale Roberto Gualtieri, insieme ai colleghi di Francia, Spagna e Portogallo, si è schierato sul Fondo per la ripresa, in contrapposizione con i nordici.

Intanto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, davanti al Parlamento europeo presieduto da David Sassoli ha affermato che «l’Unione deve presentare una scusa sentita all’Italia, ma le scuse valgono solo se si cambia comportamento». Ecco perché von der Leyen lavora a un Piano Marshall che possa mettere d’accordo tutti. Si fonderà su una proposta di bilancio Ue 2021-2027 più corposo e capace di andare sui mercati per raccogliere i soldi necessari alla ripresa. La filosofia è tedesca: lasciare la gestione a Bruxelles per rassicurare gli elettori che i fondi non saranno sprecati per le cicale del Sud e mascherare i bond come iniziativa comunitaria che esclude la mutualizzazione dei debiti nazionali. Mentre i nordici vogliono allungare i tempi, i Paesi del Club Med chiedono di partire subito, senza dover arrivare al 2021 con i soli 500 miliardi messi in campo da Mes, Bei e Commissione. Von der Leyen lavora a un compromesso, uno "strumento ponte" da attivare solo in caso di necessità. Ma il pressing è tale che ieri i 5Stelle a Bruxelles sono arrivati al punto di votare contro il paragrafo della risoluzione che chiedeva la creazione di Recovery Bond all’interno del bilancio comunitario. "Senza solidarietà vinceranno i populisti".

Alberto D’Argenio – la Repubblica – 17 aprile 2020

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Il messaggio dei mercati

Se non bastasse il resto, è il mercato che sta dicendo che il tempo adesso stringe davvero. Il rendimento dei titoli di Stato italiani è tornato a salire di più di sessanta punti negli ultimi venti giorni, sulle scadenze a dieci anni. Da una soglia minima dell’1,22%, raggiunta il 26 marzo quando la Banca centrale europea sfoderò il suo piano da 750 miliardi contro la pandemia, all’1,88% di ieri. È un peggioramento più che doppio rispetto a quello della Spagna dove i titoli di Stato a dieci anni rendono meno della metà rispetto a quelli di Roma. Eppure i due Paesi sono investiti con la stessa violenza dalla pandemia, sono soggetti alle stesse decisioni europee e subiranno recessioni di intensità simile, mentre il deficit pubblico di Madrid può essere persino più alto. La differenza dunque dev’essere nella politica. Entrambi i governi sono coalizioni complesse e fragili, ma solo in Italia è partito un dibattito sul fondo salvataggi Mes che – visto dal mercato e dalle altre capitali – ha un solo effetto: ricordare che la politica italiana può sempre finire ostaggio dei sovranisti e della loro rappresentazione della realtà. In Spagna invece è possibile che il governo attivi il nuovo strumento del Mes disegnato per le spese legate a Covid-19, senza però tirare fuori un solo euro. L’intento è di assicurarsi un po’ di più sul mercato a costo zero. Per l’Italia, la stessa scelta dipende da cosa accadrà fra sette giorni. È allora che i leader nazionali dell’unione europea dovrebbero decidere se e come avviare un “Recovery Fund”, un fondo per la ripresa da affiancare alle misure più limitate decise fino ad ora. Il governo di Giuseppe Conte può permettersi di attivare la linea di credito del Mes solo se sarà in grado di presentare un accordo europeo sul “Recovery Fund” come un successo. In caso contrario chiedere il sostegno del Mes - la proposta di Germania e Olanda dall’inizio – apparirebbe come una capitolazione tale da far cadere Conte. La stabilità politica e finanziaria dell’Italia è dunque inestricabilmente legata al risultato del vertice europeo di giovedì prossimo. Da lì sembra ormai acquisito, anche a Berlino, che un qualche “Recovery Plan” vada lanciato. Anche l’idea che possa valere almeno mille miliardi è ormai diffusa fra le capitali, anche se resta da capire distribuiti in quanti anni. Esistono poi idee per avvicinare la posizione di Roma, che chiede debito comune europeo, a quella di tedeschi o olandesi, che non vogliono farsi carico dei problemi dell’italia. Una delle ipotesi prevede che ogni governo risponda per percentuali pari alla propria quota di prodotto lordo nell’economia dell’area euro di titoli di debito emessi in comune nell’area euro, anche se magari quel Paese riceve risorse in proporzione più ampia. È anche possibile che le compensazioni del dare e avere si facciano su lunghi periodi, con alcuni governi caricati di minori obblighi nei primi anni dopo la crisi. Di sicuro ci sarà un progetto, di sicuro non sarà un classico eurobond. Manca però un tassello senza il quale il confronto fra capitali non entra nel vivo: come far partire quel “Recovery Fund”, come alimentarlo di risorse e quando. Agganciarlo al bilancio Ue, come preferiscono Berlino e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, rischia di rimandare tutto al 2021 inoltrato: troppo tardi. Servirebbe una soluzione-ponte per raccogliere sul mercato finanziamenti già da quest’estate tramite la Commissione, la Banca europea degli investimenti o lo stesso Mes. Nessuna di queste strade è però priva di ostacoli. E all’ultimo ciascuna può rivelarsi il diavolo politico che, nei negoziati europei, si annida sempre nei dettagli legali.

Federico Fubini – Corriere della Sera – 16 aprile 2020

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La buona impresa, dopo

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Il Fondo monetario internazionale conferma: stiamo sprofondando nella più grave depressione dopo quella degli anni Trenta. Come sopravvivere, per poi partecipare alla ricostruzione nel dopo-coronavirus?

I modelli stanno cominciando ad apparire. Sia le imprese americane che si attrezzano per la fase due, sia quelle cinesi che hanno già riaperto, indicano come sarà il mondo che verrà. Bisogna affrontare una rivoluzione dei luoghi di lavoro, con precauzioni sanitarie che diventeranno la nuova normalità: dalla misurazione della febbre alle "distanze". La selezione della specie, la sopravvivenza delle imprese, dipende dalla capacità di adattamento. La protezione dal contagio, la prevenzione delle ricadute, anche in vista di una possibile seconda ondata, diventa discriminante. La sicurezza dei dipendenti e quella dei clienti sono collegate. In molti settori di attività, rassicurare è l’unico modo per tornare ad averne, di clienti. È un cambiamento che richiede immaginazione, competenza, investimenti, e una regia che coordini tutto. È una sfida per l’Italia dove dominano imprese piccole, e settori come il turismo dove sarà impegnativo introdurre le nuove norme di sicurezza. Ma queste diventeranno un esame da superare per tornare a lavorare con il resto del mondo.

" The New Normal ", la nuova normalità… sarà tutt’altro che normale, avverte il Wall Street Journal in un’inchiesta dedicata ai preparativi delle aziende americane. Hanno una lunghezza di anticipo quelle presenti sul mercato cinese, che là stanno già vivendo la fase due con gli adattamenti necessari. Un esempio è Disney, che ha riaperto la Disneyland di Shanghai. I visitatori, come i dipendenti, sono tenuti a indossare mascherine finché sono dentro il parco divertimenti. Gli orari sono accorciati, il flusso di visitatori viene ridotto per impedire affollamento. Prima dell’ingresso viene misurata la febbre. Ogni visitatore deve avere un codice digitale QR legato a un social media, dove sono memorizzate le informazioni sanitarie. Chi non ha passato il test non entra. (Questo è più facile in quei Paesi che hanno capacità diagnostiche maggiori). Un altro gruppo americano che ha riaperto in Cina è Starbucks. Il 95% dei suoi bar sono tornati in attività, ma hanno dovuto ridurre gli orari, diminuire i posti a sedere per poterli distanziare. Hanno aumentato i lavori di pulizia dei locali, e incoraggiano i clienti a portarsi via la consumazione invece di rimanere. Queste misure verranno trasferite dalla rete cinese di Starbucks alle altre nazioni dove la multinazionale è presente, via via che l’attività ripartirà altrove.

Il "modello cinese" diventerà globale. Le catene di ristoranti stanno progettando di riaprire con una capacità ricettiva dimezzata, per avere spazio a sufficienza tra i clienti. Fra un tavolo e l’altro vedremo apparire pareti divisorie. Le sale cinematografiche multiplex stanno pensando di condannare un sedile su due, per distanziare gli spettatori. Certe catene di negozi stanno pensando come eliminare gli eccessi di manipolazione tattile: le profumerie forse dovranno rinunciare ai flaconi disponibili per chi vuole spruzzarsi un po’ di eau de toilette .

Altri dovranno attrezzarsi per disinfettare gli articoli che vengono presi, toccati e poi rimessi negli scaffali. Molti gruppi industriali progettano un nuovo layout nelle fabbriche. I turni alternati, gli ingressi scaglionati servono a evitare assembramenti. Si investe in maschere, tute protettive, guanti, schermi di separazione. Le mense aziendali e i bagni devono prevedere turni. Tanti uffici torneranno a usare pareti divisorie invece dell’ open space ; si introducono materiali usa-e-getta per assorbire germi dalle scrivanie, cambiandoli ogni 24 ore.

Come insegnò l’11 settembre con la sicurezza negli aeroporti, il provvisorio diventa permanente. Tradotto nelle dimensioni di imprese piccole, magari a conduzione familiare, tutto questo lavoro talvolta è più semplice, ma può comportare costi elevati. Si può supplire con uno sforzo di immaginazione. Bisogna cominciare subito.

Perché i turisti tedeschi, americani o cinesi, tornino in Italia, queste innovazioni peseranno più delle parole di Ursula von der Leyen.

Federico Rampini – la Repubblica – 15 aprile 2020

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