Non si può esportare la democrazia in tutto il mondo

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E' chiaro che l'occidente (Stati Uniti in testa) ha sbagliato a considerare che era possibile l'esportazione nel medio oriente della democrazia. Il bilancio è stato spaventoso: 250 mila morti, sei milioni di profughi, 10 milioni sotto il livello di povertà. Un dato Unicef è impressionante: durante il conflitto sono nati 3,7 milioni di bambini che non hanno conosciuto altro che la guerra, tre milioni non vanno a scuola. Il loro futuro è anche il nostro. È questa la guerra che dobbiamo vincere qui e altrove. Dalla lezione irachena ne deriva un'altra: meno si staziona nel mondo arabo con truppe straniere meglio è. Ricordiamocelo anche per la Libia. Gli americani si ritirarono da Baghdad dopo 9 anni, con 4.500 marines morti e oltre 100mila civili iracheni uccisi; ma commisero l'errore di lasciarsi dietro uno stato fragile, diviso tra sciiti, sunniti e curdi, poi diventato preda dell'Isis che in Iraq ha le sue radici originarie.L'editoriale di Alberto Negri su Il Sole 24 ore.

In Siria, lo voglia o no l'Occidente, resterà Assad

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Nel '700 cattolici contro protestanti, oggi sunniti contro sciiti

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Una delle possibili chiavi di lettura per i combattimenti in Siria è la rivolta della maggioranza sunnita contro il regime alawita - cioè quasi-sciita - di Bashar al Assad. Questo è il rovescio, si potrebbe osservare, di quanto successo in Iraq: i fanatici seguaci dell'autoproclamato Stato Islamico hanno avuto successo anche grazie al supporto dei sunniti iracheni estromessi dal potere dopo la caduta di Saddam Hussein. Le linee di demarcazione sul terreno sono importanti. Tuttavia, come nell'Europa del 17° secolo, ciò che ha mantenuto vivo il fuoco è stato il coinvolgimento di potenze esterne. La Siria è diventata l'arena dove si sviluppa la contesa a lungo latente tra l'Arabia Saudita (sunnita) e i suoi alleati del Golfo, da una parte, e l'Iran (sciita), dall'altra. La Russia ritiene di avere un suo vitale interesse nazionale nel sostenere il regime di Damasco e la Turchia, invece, nel rovesciarlo. L'editoriale di Philip Stevens su Il Sole 24 Ore.

E' scoppiata una guerra di religione, come in Europa secoli fa

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Il mondo è in fiamme

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 Il caos nel mondo è molto complesso. Lo scontro tra e civiltà è innegabile. Lo aveva capito genialmente Giovanni Paolo II, che si oppose alla guerra contro l’Iraq non per ingenuo pacifismo né per bontà d’animo (la guerra in Jugoslavia non sembra averlo troppo turbato) né certo per simpatia verso feroci tiranni come Saddam Hussein, ma per una straordinaria visione storico-epocale, per la consapevolezza che il conflitto con il mondo islamico sarebbe stato foriero di ulteriori conflitti e squilibri sanguinosi e che la caduta di abietti regimi tirannici non avrebbe creato democrazie, ma altri totalitarismi, forse più pericolosi perché atomizzati e incontrollabili. Le considerazioni del prof. Claudio Magris sul Corriere della Sera.

Siamo nella quarta guerra mondiale

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