Costi delle distanze sociali e strategie (digitali) per ripartire

Il coronavirus stringe in una morsa soffocante l’economia globale. Colti amici e colleghi in Cina, anche io sono stato rinchiuso, insieme al resto d’Italia. Molti dei miei concittadini negli Stati Uniti si trovano adesso nella stessa situazione; altri in tutto il mondo seguiranno l’esempio molto presto.

Poiché il virus può essere trasmesso da chi non ha sintomi, si è diffuso fuori dal controllo delle autorità sanitarie pubbliche. Per evitare che i sistemi sanitari vengano travolti, sono state prese misure drastiche e generali di distanziamento sociale e autoisolamento, largamente accettate dalla gente. Resta da vedere se tali misure saranno in grado di rallentare la velocità di trasmissione, e limitare i casi critici in Occidente.

L’evidenza che l’epidemia è stata ridotta o addirittura contenuta in Cina e in alcune altre economie asiatiche è promettente. Questi Paesi, tuttavia, non si sono basati soltanto sul distanziamento sociale, ma anche su una vasta gamma di dispositivi che non sono stati pienamente utilizzati in Europa e Stati Uniti: test diffusi, tracciabilità dei contatti, isolamento obbligatorio e così via. Ovunque, tuttavia, le misure per mitigare la pandemia hanno prodotto un arresto improvviso di molte attività economiche, spesso con l’esenzione soltanto dei servizi essenziali. Il risultato sarà un forte calo del Pil e dei redditi, un’impennata quasi certa della disoccupazione (come già visto negli Stati Uniti), l’interruzione del calendario scolastico, e la sospensione di tutte le attività che comportano l’assembramento di più di poche persone.

Per alcuni, le videoconferenze, l’istruzione online e altre applicazioni digitali hanno attutito il colpo. Ma gli esiti economici saranno una profonda recessione e gli effetti collaterali di vasta portata a danno dei mezzi di sussistenza e del benessere delle persone. Il blocco dell’economia è a ragione considerato un modo per guadagnare tempo al fine di ampliare le capacità dei sistemi sanitari e ridurre il picco di domanda a loro carico. Ma non è una strategia completa. Anche se combinato con misure di accomodamento monetario e un vasto programma fiscale a tutela di persone e settori vulnerabili, un congelamento economico non è sostenibile senza imporre costi inaccettabili a carico di individui e società.

Buona parte dell’economia moderna – non da ultimo ristoranti, negozi, teatri, eventi sportivi, musei, parchi e molte forme di turismo e trasporto – non possono operare in condizioni di distanziamento sociale. Questi settori rappresentano una quota significativa dell’occupazione totale. Altri settori di grandi dimensioni possono ancora funzionare, ma non a pieno regime.

Ci si deve, quindi, chiedere cosa si può fare adesso per garantire che la ripresa e il ritorno alla normalità avvengano nel modo più sicuro possibile. Un blocco di una durata economicamente tollerabile non può di per sé ridurre i rischi associati alle interazioni interpersonali. Entro un certo numero di settimane – diciamo dalle quattro alle sei – inizieranno a salire i costi economici del blocco, a quel punto alcuni gruppi di persone inizieranno a tornare al lavoro se ci sarà qualcosa da guadagnare, semplicemente perché non hanno scelta. (Per molte persone povere in India la crisi sarà immediata.) Sebbene i rischi di infezione rimarranno elevati, non avranno le risorse per rimanere isolati. Allo stesso tempo, sebbene i costi della chiusura delle scuole per lunghi periodi siano molto elevati, le scuole non riapriranno o non dovrebbero riaprire fino a quando i rischi di una nuova insorgenza del coronavirus non saranno bassi.

La velocità e sicurezza della ripresa dipenderanno quindi in modo critico dal fatto che i rischi delle attività di gruppo siano stati sufficientemente ridotti. Un importante elemento di riduzione del rischio riguarda le capacità dei sistemi sanitari. È pertanto del tutto giustificata l’attuale tendenza a concentrarsi sulle modalità per dotare e proteggere adeguatamente i medici e il personale medico con quanto loro necessario a fornire terapie intensive.

Ma questi sforzi di prima linea non ridurranno più in generale i rischi di contatto interpersonale. Per fare ciò, dobbiamo usare il periodo di blocco per estendere le capacità riguardo a test, tracciabilità dei contatti, isolamento e terapie. A questo proposito, vale la pena leggere un briefing del 25 marzo di Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Oms. «Chiedere alle persone di rimanere a casa e arrestare il movimento della popolazione significa guadagnare tempo e ridurre la pressione sui sistemi sanitari», spiega Ghebreyesus. «Ma da sole, queste misure non estingueranno le epidemie. Il punto di queste azioni è quello di consentire misure più precise e mirate, necessarie a fermare i contagi e salvare vite umane». Se io dovessi intervenire riguardo a questa chiara dichiarazione di intenti, incentrata sulla salute, aggiungerei soltanto quest’ultima frase: «...e a ridurre i rischi di infezione, riavviare l’economia, ed accelerare la ripresa». Dopo aver spiegato quanto viene richiesto da queste misure più precise e mirate, Ghebreyesus ha aggiunto che saranno necessari esattamente gli stessi passi nei Paesi che hanno ancora un basso numero di infezioni – tra cui molte economie in via di sviluppo e a basso reddito. Possiamo già prevedere che alcuni di questi Paesi avranno bisogno di assistenza per prepararsi alle epidemie interne. La cooperazione e il sostegno internazionali sono quindi cruciali per la gestione della crisi a livello globale.

In ogni caso, il punto fondamentale è che i passi necessari alla ripartenza dell’economia sono gli stessi necessari al rallentamento della trasmissione del virus. Mentre ci si prospetta la fine dell’attuale rigido distanziamento sociale, diventa una priorità economica urgente il rafforzamento delle capacità riguardo a test, tracciabilità dei contatti, isolamento e terapie. Dobbiamo assolutamente ridurre i rischi di contatto interpersonale in modo che coloro che ritengono di dover tornare al lavoro possano farlo, e affinché coloro che hanno optato per l’autoisolamento volontario possano tornare a scuola e alla piena attività economica, sentendosi relativamente sicuri.

I casi asiatici suggeriscono che le tecnologie digitali sono strumenti efficaci per individuare e monitorare le infezioni, e per tenere informate le persone e le autorità sui rischi. Alcune delle tecniche più efficaci si basano su dati di localizzazione e, in alcuni Paesi, possono sollevare problemi di privacy. Ma data la portata della sfida, questi metodi non dovrebbero essere scartati a priori. Le piattaforme dispongono già di dati di localizzazione che potrebbero essere utilizzati per informare i cittadini su potenziali esposizioni. Dopotutto, l’infrastruttura digitale ha già dimostrato di essere una risorsa fondamentale di resilienza economica in questa crisi. Senza di essa, il lavoro a distanza e la scolarizzazione, il commercio elettronico e i servizi finanziari digitali non sarebbero stati possibili, e le drastiche misure di distanziamento sociale avrebbero già portato l’economia a un arresto pressoché completo.

Michael Spence  - Il Sole 24 Ore – 11 aprile 2020

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La fase 2 tutta gestita dai giovani? Il piano inglese spiegato dai suoi ideatori

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Londra. Dopo avere archiviato l’ipotesi dell’immunità di gregge, gli uomini vicini al premier Boris Johnson stanno esaminando un’altra proposta molto originale: allentare le restrizioni per i giovani che non abitano con i loro genitori, mantenendo le misure attuali per tutti gli altri. L’idea è stata lanciata da due economisti dell’Università di Warwick, Andrew Oswald e Nick Powdthavee, che hanno proposto di sospendere il lockdown per la fascia di età dai 20 ai 30 anni come primo passo verso un ritorno alla normalità. Questa categoria è meno esposta ai rischi del coronavirus – il tasso di mortalità è pari allo 0,03 per cento – ma subisce maggiormente i contraccolpi economici del lockdown. Molti giovani in Gran Bretagna hanno contratti precari, e non vengono tutelati dagli ammortizzatori sociali se perdono il posto di lavoro. I due autori riconoscono che affidare la ripresa economica ai giovani sarebbe un esperimento sociale senza precedenti, che potrebbe lasciare un segno sulla generazione dei millennial. “Molti adulti non hanno una grande considerazione dei giovani”, spiega al Foglio Nick Powdthavee, uno dei coautori dello studio: “La nostra proposta darebbe loro la grande responsabilità di rilanciare la crescita. Nascerebbe un’economia gestita dai giovani sotto la tutela degli anziani, che continuerebbero a lavorare da casa. Sono fiducioso che questo renderebbe la generazione dei millennial più matura e solidale”. Lo studio stima che il rilascio anticipato dei ventenni produrrebbe un gettito iniziale di 13 miliardi di sterline, creando benefici per tutte le categorie. I giovani sarebbero liberi di consegnare la spesa ai loro genitori, e produrre beni e servizi per il resto della società. I due autori smentiscono che la loro proposta potrebbe alimentare il risentimento degli anziani verso la generazione dei propri figli. “La nostra idea comporta una forma di solidarietà intergenerazionale”, spiega al Foglio il professore Andrew Oswald: “Il tasso di mortalità aumenta esponenzialmente a secondo dell’età. Basta pensare che la fascia tra i 30 e 39 anni rischia quasi tre volte in più rispetto ai ventenni. Il governo dovrebbe insistere su questo dato affinché la nostra idea non venga percepita come un’ingiustizia dal resto della società. Gli anziani hanno ogni interesse a non uscire di casa”. I due autori riconoscono due grandi rischi. Innanzitutto, un’eventuale mutazione del virus potrebbe renderlo più pericoloso per i giovani, compromettendo la loro strategia. Inoltre, alcune persone tenteranno di violare le regole. “Sarebbe necessaria una maggiore sorveglianza da parte delle forze dell’ordine”, spiega Oswald: “Ognuno dovrebbe portare con sé un documento di identità per accertare la propria età”. La soluzione auspicata non è perfetta ma è migliore delle alternative. “Riaprire le attività commerciali e allentare le restrizioni per tutti aumenterebbe il rischio di nuovi contagi”, spiega Powdthavee: “Al contrario, il mantenimento del regime attuale farebbe aumentare la povertà e la disoccupazione, creando danni molto maggiori rispetto al nostro scenario”. Gli scienziati calcolano che il rilascio dei 4,2 milioni di ventenni in Gran Bretagna provocherebbe circa 630 vittime. “Questa proposta è valida per qualunque paese alle prese con il lockdown”, conclude Oswald: “In Italia molti giovani vivono con i propri genitori, quindi sarebbe necessario che il governo fornisse loro degli alloggi. Ma questa idea può funzionare anche da voi”.

Gregorio Sorgi – Il Foglio – 11 aprile 2020

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Wuhan riapre dopo 76 giorni, con l’app sui telefonini e i voli. Ma ci sono molti lati oscuri e un rapporto d’intelligence che risale a novembre

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Secondo quattro fonti della rete Abc esiste un documento dell’intelligence americana che a fine novembre avvertiva: c’è un contagio in Cina nella zona di Wuhan, sta cambiando il normale corso della vita e degli affari e gli effetti potrebbero essere disastrosi. Il rapporto si basava su intercettazioni di comunicazioni e foto satellitari e chi lo stilò era preoccupato che il contagio potesse minacciare le truppe americane di stanza nell’est asiatico, come in Corea del sud e in Giappone. Il documento fu sottoposto al Pentagono e alla Casa Bianca. E’ possibile che fosse uno delle migliaia di rapporti che ogni giorno passano per le scrivanie del governo americano e tuttavia se la notizia fosse confermata allora quello che sappiamo della pandemia va rivisto. L’inizio della storia va spostato indietro di qualche settimana e quando si parla di contagi è un lasso di tempo che conta molto. Forse il governo cinese non si accorse del virus a dicembre come vuole la versione ufficiale, ma prima. E però il resto del mondo dovette aspettare la sera del 21 gennaio per l’ammissione ufficiale che il virus poteva passare da umano a umano e quindi era un pericolo per tutti. Due giorni dopo le autorità chiusero Wuhan, la città industriale da undici milioni di abitanti che per un mese e mezzo è diventata il simbolo della devastazione portata dal virus – prima che questo ruolo passasse all’Italia. Ieri a mezzanotte dopo settantasei giorni di lockdown Wuhan è stata riaperta e migliaia di persone l’hanno subito lasciata per andare in altre zone della Cina, in autostrada, con i treni (le stime dicono 55 mila) e a bordo di cento aerei commerciali (che hanno ripreso a volare sulla città). Nelle stazioni i passeggeri mostrano a centinaia di volontari che facilitano il flusso il codice collegato alla loro identità sullo schermo del loro telefonino, che può essere di tre colori: verde, puoi andare dove vuoi, giallo vuol dire che sei stato a contatto con una persona infetta e quindi potresti essere un asintomatico e devi andare in quarantena, rosso vuol dire che sei risultato positivo al test quindi vai in quarantena. Soltanto con il verde puoi andare in giro senza problemi, superare i posti di blocco e accedere a certi edifici. Per chi vuole andare a Pechino il codice verde sul telefonino non è sufficiente. Occorre scaricare una app che ti mette su una lista e andare a fare il test di acido nucleico (che serve anche a rilevare la presenza di virus nel sangue) e il test del Covid-19. Se si passano entrambi i test si può prendere il treno per Pechino – ma soltanto mille al giorno per ora, non di più. Wuhan è la prima città a uscire dal lockdown e nel resto del mondo la guardiamo per capire come saranno le nostre giornate quando le misure restrittive finiranno. E’ possibile che anche in Italia avremo una app sul telefonino che regolerà la nostra esistenza quotidiana di possibili vettori di un virus – in un paese che tenterà di tenere sotto controllo la pandemia e di far ripartire l’economia. Le sole pistole misura febbre che si vedono adesso in giro sono una schermatura troppo rudimentale, fermano soltanto chi ha la febbre alta. A Wuhan oltre alle mascherine dappertutto si vedono grandi barriere gialle che separano l’ingresso dei negozi dalla strada, i passanti si inerpicano da un lato per chiedere ai commercianti dall’altro lato della barriera cosa vogliono acquistare. La riapertura della metropoli ha un lato oscuro. Le autorità hanno emesso una nota venerdì scorso per dire che anche se gli spostamenti in città e verso l’esterno diventano di nuovo legali e consentiti molti lockdown locali nelle aree residenziali restano in vigore e le scuole non riapriranno perché la situazione è ancora preoccupante. Un funzionario ha detto al corrispondente del Wall Street Journal che in un quartiere hanno trovato “quattro, cinque asintomatici” come parte dei controlli per ammettere di nuovo le persone nei luoghi di lavoro. Il risultato è che le aree residenziali degli asintomatici sono state di nuovo chiuse. Un giornale lunedì ha scritto che ci potrebbero essere tra i diecimila e i ventimila asintomatici a Wuhan, ma l’articolo online è stato tolto dal sito. E ci sono sospetti forti che i numeri ufficiali dei morti e dei contagiati, 2.571 e circa 50 mila, siano molto più bassi di quelli reali.

Daniele Raineri – Il Foglio – 9 aprile 2020

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