Europee, è campagna elettorale continua

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Stiamo assistendo alla replica linguistica della campagna che condusse (nel 2016) al referendum sulla Brexit. Anche allora c’erano leader (come Nigel Farage o Boris Johnson) divenuti popolari per la loro capacità di mobilitare il disprezzo nei confronti dell’Unione europea (Ue), disprezzo alimentato dalle bugie (non contrastate) sulla «degenerazione tecnocratica di quest'ultima» o «sui soldi che si sarebbero recuperati» uscendo da quest’ultima. Il commento del prof. Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore. 

Altro motivo di scontro con Bruxelles: il nuovo bilancio Ue

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Simmetrie e confusioni atlantiche

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Il paludoso scenario del Brexit e l'inquietante e surreale atmosfera che grava ogni giorno di più sull'Amministrazione americana a Washington costituiscono una malinconica smentita a ogni eventuale ottimistica idea che la politica obbedisca a meccanismi impersonali o a motivazioni razionali, meditate o comunque non basate su miopi ed egoistici espedienti. La caduta di livello e il caos che accomuna entrambi i suddetti scenari e di cui non si vede il fondo hanno preso l'avvio da disegni personali, il cui utilitarismo era lontanissimo da qualsiasi nozione di buon senso e lungimiranza.

In Gran Bretagna, l'ineffabile e oggi prudentemente scomparso David Cameron si inventò un referendum sulla permanenza o meno nella UE, sperando di uscirne così politicamente rafforzato. I fatti mostrano come né lui né i suoi sostenitori avessero la benché minima idea delle implicazioni giuridiche, commerciali e pratiche di un'eventuale uscita e del come essa avrebbe dovuto (e potuto) essere gestita. Risulta infatti sempre più chiaro che nessuno ci aveva pensato o non era interessato a certi noiosi dettagli. Cosa ancora più tragica, a parte gli emotivi rigurgiti di (defunti) orgogli imperiali e di isolazionismo, ovviamente dissimulati, e le tardive preoccupazioni per i pericoli delle invasioni dal mare, che potrebbero essere gestite da un'Europa immune dalle sciagurate decisioni migratorie della Cancelliera tedesca nel 2015, è assai dubbio che sia il disinvolto David Cameron che gli ostinati sostenitori del Brexit come Boris Johnson e Nigel Farage saprebbero offrire motivazioni che non siano faziose e condite di arroganza. Mentre lo stesso Guardian ha duramente bollato Johnson come un "buffone" e un "ciarlatano", poche cose possono meglio caratterizzare la serietà politica di Nigel Farage come il fatto che egli ha ripetutamente beffeggiato a Bruxelles l'istituzione da cui riceve un lauto stipendio! Non ci sono limiti alla faccia tosta...

In quanto al primo Ministro, la sua ostinazione nel difendere un Brexit colabrodo e nell'escludere un secondo referendum, che in base a recentissimi sondaggi vedrebbe un 59% di votanti favorevoli alla permanenza nella UE (il remain), tale ostinazione è ormai peggiore dello spavaldo avventurismo di David Cameron. Non è un caso che in questi giorni anche Mervin King, l'ex-governatore della banca d'Inghilterra, abbia accusato d'incompetenza sia il Governo che i difensori del Brexit. A maggior ragione, l'insistenza con cui continuano le accuse verso presunti avvelenamenti di marca putiniana sul suolo britannico è perlomeno sospetta e appare come una distrazione strumentale.

Insomma, da due anni a questa parte la vita politica britannica, le sue energie e le sue attenzioni sono state dissipate in un pasticcio senz'arte né parte che non fa certo onore alla tradizione di quel Paese, mentre il mondo va avanti e mostra imprevedibili mutamenti ed esigerebbe appropriate attenzioni.

Per una sorta di maligna coincidenza, gli avvenimenti d'oltre Atlantico appaiono singolarmente simmetrici a quelli britannici. Lo slogan elettorale, il noto "America first", dell'attuale Presidente degli Stati uniti è diventato lo scudo e il proiettile di tutta una serie di provvedimenti sostanzialmente privi di una loro meditata e coerente strategia. Dal ritiro dall'Accordo di Parigi sul controllo del clima al tentativo di demolire l'Obama-care, al muro messicano e fino alla ormai frenetica e puntigliosa (o paranoica) guerra delle tariffe, tutti questi provvedimenti hanno obbedito a primordiali e viscerali promesse elettorali, calcolate per predisporre un nuovo mandato. Ma non sono stati certo frutto di previe e oggettive analisi. Brexit tel quel.

In quanto alle trionfalistiche affermazioni che al Presidente vada il merito spetti il merito dell'attuale livello positivo dell'economia, vale la pena di fare due osservazioni. La prima è che  segnali di crescita erano già visibili sotto l'Amministrazione Obama. La seconda è che mentre il Dipartimento del Commercio ha appena comunicato una crescita del 2,3% per il primo quadrimestre 2018, l'inflazione viaggia peraltro attorno al 2,9%, cosa che significa che il potere d'acquisto si è ridotto in termini reali.

Le devastanti rivelazioni di questi giorni del libro di Bob Woodward – uno dei due giornalisti del Watergate - sul clima interno della Casa Bianca e sulle negative caratterizzazioni del Presidente americano da parte dei più stretti collaboratori come John Kelly e James Mattis e poi la lettera aperta al New York Times da parte di un anonimo funzionario dell'Amministrazione si aggiungono a un quadro già offuscato anche da una miriade di ulteriori elementi inquietanti. I bruschi licenziamenti di tanti collaboratori del Presidente, l'incriminazione di altri, il non chiaro regime amministrativo della presenza alla Casa Bianca della stessa figlia del Presidente e del marito – in che veste e con quali compiti? – le pressioni sul Procuratore Generale Jeff Sessions affinchè intervenga per por fine all'inchiesta del Consigliere Speciale Bob Mueller, la sospetta nomina del conservatore e trumpiano Brett Cavanaugh come futuro giudice della Corte Suprema, i frenetici comizi elettorali a sostegno dei Repubblicani in vista delle elezioni di medio termine di novembre, i sempre più petulanti e narcisistici twitter che sembrano ormai sostituire più dignitose e composte comunicazioni presidenziali, insomma, una lunga serie di comportamenti a dir poco confusi e inquietanti stanno gettando un'ombra sempre più incerta sull'attuale operato della Casa Bianca. Paradossalmente, l'altra grande ombra, quella di collusione con la Russia per biechi scopi elettorali, sembra quasi sbiadita.

Le tipiche e semplicistiche accuse di anti-patriottismo (in casa) o di anti-americanismo (all'estero) sono impietosamente confutate dalla mole e qualità del dissenso e degli indizi che si vanno accumulando. Uno stuolo di ex-generali a quattro stelle, di ex-direttori CIA e di ex-alti funzionari non ha esitato a definire con i termini più negativi l'attuale Amministrazione, mentre anche durante il servizio funebre in onore del defunto senatore repubblicano John McCain, due presidenti di parte opposta, Bush e Obama, hanno larvatamente accusato Trump di perseguire una politica divisoria e motivata da egoistici fini personali. Quello che maggiormente sorprende e preoccupa in questa situazione così palesemente inquinata è l'atteggiamento del Congresso. Come ha sostenuto recentemente Carl Bernstein, il secondo dei due giornalisti del Watergate, si assiste a una "totale abdicazione" dei Repubblicani dall'impegno a monitorare e vegliare affinché l'Esecutivo, e quindi il Presidente, assolva il suo mandato in modi e comportamenti appropriati. I motivi sono probabilmente assai banali: i Repubblicani, ex-critici del Presidente, ora fanno quadrato attorno a lui perché temono che una sua caduta ponga anche fine al loro attuale dominio nel Congresso, cosa per la quale stanno affrettando la nomina del già menzionato giudice conservatore Brett Cavanaugh prima delle elezioni di medio-termine.

Come si vede, in entrambi i Paesi sulle sponde opposte dell'Atlantico sono in atto sviluppi che appaiono sempre più inerziali e fuori controllo. Né il Parlamento Britannico né il Congresso Americano stanno infatti seriamente arginando e presidiando le lampanti insidie del Brexit e gli erratici e ambigui comportamenti dell'Amministrazione di Washington.

Eppure, in entrambi i casi, tutto è nato da infauste e furbesche manovre elettorali...

Antonello Catani

 

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Al capezzale dell'Europa

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Epoca di malattie nazionali… Un tempo la qualifica di “malato” veniva data al moribondo Impero Ottomano. Oggi, di malati ve ne sono parecchi. Capita anche nelle famiglie più illustri. Per certi versi,  la Gran Bretagna attuale è una delle sofferenti…

    Nonostante il suo orgoglioso passato imperiale, l’odierno establishment britannico annaspa sempre più nelle masochistiche sabbie mobili del Brexit. La sensazione è che in realtà nessuno sappia in realtà come e cosa fare e perché. Uno dei risultati del protrarsi dei negoziati arenati ai confini irlandesi, a parte le faide interne di gabinetto e il grazioso duello con la Camera dei Lords, che imperterrita continua a ricamare emendamenti sulla questione doganale, è il crescente clima d’incertezza che circola negli ambienti imprenditoriali. Le attuali previsioni di un rallentamento nei consumi e negli investimenti per tutta la metà del 2108 confermano il malessere. Tutto suggerisce come il miraggio del Brexit sia l’ultimo sussulto di tardive nostalgie imperiali sopravvissute sotto la bandiera sempre più anacronistica del Commonwealth. Le incertezze sul Brexit – adesso anche fra i sostenitori si minaccia un secondo referendum – non hanno comunque impedito al governo inglese di partecipare all’operazione punitiva nei confronti di Damasco, cosa che conferma che lanciare missili è sempre più facile che ragionare in modo equilibrato.

      Se quindi le insofferenze isolazionistiche di Londra rivelano i loro talloni d’Achille, non sembra tuttavia che le preoccupazioni unitarie di Bruxelles stiano andando oltre gli aspetti biecamente finanziario-doganali e della libera circolazione dei rispettivi cittadini. E’ davvero questo il vero problema?

      Può darsi che quando di recente Nigel Farage ha brutalmente dileggiato le politiche del Parlamento Europeo a Bruxelles egli stesse semplicemente difendendo sé stesso e il Brexit, ma anche chi non ammira la sua teatrale retorica non può fare a meno di pensare che la UE sia in preda a pericolosi malesseri, minata da squilibri strutturali e da frettolose accessioni, insidiata dal gigantismo burocratico e, soprattutto, avvelenata da due virus che tendono a debilitarne sempre più la salute, l’identità e l’autonomia dei vari Stati membri. Il perché ciò accada è un fenomeno complesso e non facilmente analizzabile in poche righe,  ma se ne possono almeno indicare alcuni fattori decisivi, che fra l’altro non sono un mistero per nessuno

     La nascita della UE coincide all’incirca con quella della NATO, costituita per difendere l’Europa dall’Unione Sovietica, o almeno così si pretendeva. Grazie a un suadente (o subdolo) gioco di carte, sotto alcuni aspetti, le due istituzioni hanno fatalmente finito per coincidere, in modo tale che l’ingresso nella prima ha costituito anche il primo passo per l’ingresso nella seconda (ad eccezione, come noto, della Svezia, Irlanda, Austria, Cipro, Malta e Austria). Ma tutte le nazioni demograficamente o industrialmente “pesanti” fanno parte di entrambe le istituzioni. I riverberi della “pesantezza” in tema di contributi militari e di personale alla NATO sono auto-esplicativi. Il perché ancora oggi uno stuolo di prezzolati pappagalli della penna e accoliti governativi parlino di “Alleanza Atlantica” costituisce un mistero oltre che uno sfacciato  anacronismo. Esso si unisce alle anacronistiche velleità britanniche sopra citate. E qui sta uno dei virus sopra menzionati.

     E’ noto che la fine della seconda guerra mondiale, verbalmente combattuta per difendere la “democrazia” ma di fatto gli imperi coloniali inglese, francese e olandese, spaventati dall’espansionismo tedesco, ebbe come ironico risultato la fine di tali imperi e l’avvento di quello americano. L’osannato Churchill fu in realtà l’affossatore dell’Impero Britannico. Non solo, ma furono proprio lui e Roosevelt a regalare al sornione Stalin l’Europa orientale a Yalta, inclusa quella Polonia per difendere la quale la Gran Bretagna dichiarò che sarebbe entrata in guerra (questa favola è ancora moneta corrente nei manuali di storia ufficiali ma, come tutte le coperte troppo corte, non riesce a eliminare il surreale cinismo con cui dopo la guerra la Polonia fu lasciata in mano all’orso russo). La storiografia successiva ha regolarmente (e in buona parte a ragione) demonizzato Hitler e i suoi bravi di regime – ma la figura di Stalin, che liquidò senza scrupoli molti più milioni di individui di Hitler, non ha mai assunto gli stessi tratti satanici nell’immaginario popolare e meno ancora nel catalogo dei censori accademici. Può darsi che la ragione sia stata la vergogna dl dover ammettere che l’alleato (Stalin) disinvoltamente utilizzato nella lotta contro la Germania nazista  fosse anche lui un tiranno della peggior specie. Non è semplice far digerire cose simili all’ingenuità dell’uomo comune.

     Nonostante queste surreali deformazioni e manipolazioni storiche, il finire della guerra assistette anche al sorgere della guerra fredda, alla nascita delle due istituzioni sopra menzionate e, un po’ più in là, anche alla progressiva emancipazione delle ex-colonie.

      Era tuttavia ancora un mondo monetariamente poco liquido. Circolava meno ricchezza, i Paesi arabi produttori di petrolio stavano appena uscendo dall’economia del dattero e del cammello, non si erano ancora diffusi gli oppi confusionali dei gruppi di pressione su qualsiasi tipo di evento umano, vegetale e animale, mentre anche il flusso verso l’Europa dall’Africa, Medio Oriente e Asia Orientale era ancora modesto. Non bisogna inoltre trascurare altri fattori: viaggiare costava di più, i gommoni erano una rarità, le coste del Mediterraneo erano ancora gestite da regimi stabili e, cosa fondamentale nonché paradossale, salvo alcune eccezioni, Africa e  Medio Oriente non erano ancora in preda alle turbolenze dei decenni successivi. Ovvero, non erano ancora state oggetto di interventi esterni di democratizzazione (punitiva) e non avevano ancora iniziato a esportare i loro problemi sociali.

     In altre parole, la crescente destabilizzazione del Nord Africa, di quella sub-sahariana e di tutto il Vicino Oriente va di pari passo con la decolonizzazione, con i successivi interventi e politiche sostanzialmente americane nelle varie regioni e con la progressiva affluenza dei vari Paesi produttori di idrocarburi di tutto l’arco geografico, Algeria e Nigeria incluse. Come mai non esistevano dei terroristi prima che il petrolio arricchisse gli Stati del Golfo? Un altro fenomeno che ha accompagnato l'arricchimento da tavolino - sono gli altri a "lavorare" - dei Paesi arabi ricchi di petrolio è lo sfoggio di amicizia e di timidezza espressiva mostrati da un'Europa ansiosa di fare lucrosi affari con i neo ricchi. Da quel momento in poi qualsiasi realistico apprezzamento e giudizio su certe componenti intolleranti del mondo islamico è stato bandito dalla cultura ufficiale. L'adulazione è una tendenza antica, come i sette peccati capitali. 

     Il Piano Marshall dell’immediato dopoguerra, spacciato come esempio di benevolenza, era in realtà più prosaicamente dettato da due ragioni ben poco umanitarie. La prima era che ricostruire l’apparato economico dell’Europa significava anche metterla in grado di acquistare merci e servizi dagli USA, sostenendo quindi un’economia americana ormai abituata a produrre le mastodontiche quantità del periodo bellico. Complemento della prima ragione era che in tal modo, col crescere di un relativo benessere (o con le sue illusioni) si potevano anche sottrarre più efficacemente gli Europei alle grinfie del dilagante comunismo. I ragionamenti non facevano una grinza e il termine “ricostruzione” assunse da allora in poi una sorta di valore magico-feticistico. Più l’Europa si è ricostruita, e più ha dilagato, assieme al numero dei disoccupati, l’epidemia dei tubi digerenti ovvero di tutti quelli il cui naso non va oltre ciò che si può mettere nello stomaco o accanto all’orecchio (l’indispensabile telefonino con cui intere folle di individui circolano parlando da soli).

     Il mondo così ricostruito era tuttavia anche intimamente appiattito e afflitto da colossali ignoranze e presunzioni oltre che frodi mentali. E’ questo lo scenario in cui sono cresciuti e hanno proliferato gli antenati  genetici dell’attuale buonismo da strapazzo, della criminale mitezza penale, dei cosiddetti ”matrimoni”(!) omosessuali, delle ricreazioni collettive concertanti o palleggianti – la formula panem et circenses è infallibile - nonché, soprattutto nel sud dell’Europa, della degenerazione della politica nelle faide, nelle fazioni e nei bisticci e nelle mafie, e quindi con una sorprendente affinità con le suburre del Basso Impero.  La situazione può anche essere descritta semplicemente come decadenza di idee e valori ed è risaputo che soprattutto negli stati confusionali  si ottunde la percezione dei limiti, si perde il senso dell’equilibrio e delle grandezze.

     L’estensione di tale situazione e il come la sua vera natura sia pateticamente rimossa traspare, per esempio, da un articolo (Corriere della Sera, 30.12.2017) di un noto editorialista italiano (Ernesto Galli della Loggia) che, verosimilmente con buone intenzioni ma anche con miopia, parlava di un “declino delle istituzioni”. In realtà, ciò che si trova in declino è prima di tutto lo stesso tessuto sociale, l’integrità della materia grigia in circolazione, gli umori, la coscienza collettiva, la capacità di giudizio, il buon senso. Questo è in declino, molti anni luce prima delle istituzioni, che appunto sono forgiate, pilotate e anche dirottate da persone, e non dallo Spirito Santo.

     L’impudente e impunito proliferare degli strumenti di rimbecillimento collettivo, elegantemente chiamati mass-media ma di fatto droghe di massa, il cui vero scopo non sono i relativi demenziali e giornalieri intrattenimenti spazzatura ma la vendita di pubblicità; la pretestuosa equiparazione delle opinioni degli imbecilli con quelle degli intelligenti, con la scusa che esiste il diritto di opinione e quindi il diritto di voto anche per chi manca delle più elementari nozioni di storia, geografia e del funzionamento dello Stato (guarda caso, la patente non viene concessa a chi non conosce i regolamenti stradali); la persistenza e tentacolare crescita del crimine organizzato con le sue varie mafie; la patetica indifferenza dei grandi gruppi finanziari, intenti a giocare con le loro lucrose acquisizioni e cessioni e incuranti del degrado social-mentale che li circonda; la delittuosa miopia con cui gli apparati di Stato hanno consentito e consentono i giornalieri afflussi di folle di immigranti in genere islamici col pretesto di pseudo-ragioni umanitarie; la crescita geometrica delle moschee in Europa mentre le chiese cristiane diminuiscono, sono assaltate o semplicemente sono proibite in molti Paesi islamici; la vergognosa e demenziale erogazione di fondi e assistenza al primo immigrato di turno, negati invece al cittadino del luogo; l’apatica rassegnazione di fronte al pervicace e spesso protervo accattonaggio che deturpa tante città storiche e non storiche (si vedano intere cittadine anche svedesi (!) popolate quasi solo da immigranti; il coro petulante ed esaltato di quelli che confondono la leggerezza con la bontà: QUESTI sono i termini del declino, di cui quello delle istituzioni è solo una perversa conseguenza. E qui si annida il secondo dei due virus di cui parlavamo.

    In una prospettiva più ampia, dunque, il vero declino dell’Europa, la sua malattia sono prima di tutto quelli dei suoi governanti e amministratori, piuttosto che delle istituzioni. Lo stolto buonismo che ha permesso l’ingresso in Europa di milioni di inassimilabili – tipica, l’espressione di una musulmana tedesca: “ noi non vogliamo integrarci” – sta lacerando tradizioni e coesioni degne di scopi e futuri migliori. Solo un’arrogante irresponsabilità e l’ottusità mentale possono pretendere di richiamare all’ordine personaggi coraggiosi come l’ungherese Orbán o il polacco Morawiecki (dove sono gli altri coraggiosi?), colpevoli di rifiutare le quote di immigranti assegnate (con quale logica e diritto?) ai loro Paesi.  Nigel Farage sarà un demagogo, ma assegnare quote di immigrati musulmani a Stati come l’Ungheria o la Polonia, che per secoli funsero da baluardo nei confronti delle invasioni ottomane, minacciarli addirittura di multe costituisce un gesto d’inqualificabile  sfrontatezza oltre che di totale stupidità.

     La stultifera navis,  la “nave dei folli”, è alla deriva dal Baltico al Mediterraneo….

     Per colmo di ironia, la nave - si fa per dire - oltre che continuare ad appesantirsi di carichi disastrati  ma fecondi col rischio di affondare, continua anche pavidamente a seguire rotte prescrittele o impostele da oltre oceano.

     Anche questa poco onorevole remissività è un sintomo del declino, prima ancora che delle istituzioni europee,  dell’indipendenza mentale e morale dei vari governanti di turno e di tutti coloro che li votano e che avvallano, direttamente o indirettamente, le odierne catastrofiche politiche.

      In quanto a ciò che avviene al di là dell’Atlantico, vale la pena di osservare come in questo caso la navis è una portaerei le cui strategie e rotte sono anch’esse nebulose ma non meno pericolose. Gli Europei possono consolarsi: anche a Washington circola una singolare docilità nei confronti dello stile decisionale di Donald Trump, il quale conta fra i suoi senior advisors , come è stato rispettosamente recitato durante la cerimonia d’inaugurazione della neo ambasciata americana a Gerusalemme – incognita esplosiva - anche la figlia e il genero. Quali mai profonde esperienze in materia di politica estera, storia, geografia e lingue avranno costoro?

     Il nepotismo non era un vezzo solo degli antichi imperatori romani.

Antonello Catani

 

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