I misteri di Londra
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Le vicende e gli intrighi che ruotano intorno alla tragicommedia del Brexit sarebbero piaciuti all'inesauribile Eugene Sue, autore del famoso e lunghissimo I misteri di Parigi. La grande differenza del Brexit rispetto ai romanzi d'appendice è tuttavia che in questo caso manca il villain con la V maiuscola. Come ho già avuto modo di commentare, nello scenario abbondano invece le mezze calzette, i faccendieri, i fanatici e i furbi. Esempi in questione, l'arrogante ma comunque pesce bollito conservatore Jacob Rees Mogg, secondo cui un eventuale no deal "rappresenta un'opportunità" (sic) – non ci sono limiti alla fantasia delle velleità – e l'ancora più sfacciato Nigel Farage, eurodeputato britannico, che da anni riceve un lauto stipendio per la sua presenza a Bruxelles, sulle cui istituzioni egli tuttavia sputa a ogni piè sospinto. Non si capisce (o si capisce?) perché non si è dimesso. Su altre comparse, come l'inespressivo Philip Hammond, il Cancelliere dello Scacchiere, rimane difficile esprimere dei commenti, visto che costui, seduto alla sinistra del Primo Ministro, si limita solo ad assentire ad occhi chiusi a ogni discorso della Signora Theresa May.
A parte simili personaggi, che non coincidono con altre più convincenti figure della passata politica britannica, un ulteriore elemento che contraddice la tradizionale immagine della compostezza britannica è l'atmosfera così spesso indisciplinata, rumorosa e tendenzialmente anarchica con cui si svolgono a Westminster i dibattiti sul Brexit, atmosfera che solo il polso fermo di John Bercow, l'attuale speaker (presidente) della Camera dei Comuni, riesce faticosamente a contenere. E' sicuro che, quando i nomi dei suddetti faccendieri di turno saranno finalmente caduti in un meritato oblio, quello di John Bercow sarà invece ancora ricordato come esempio di dignità e impeccabile professionalità.
Quale che sia il definitivo e sempre più imperscrutabile destino del Brexit, in base all'eterogenesi dei fini, che così spesso grava sulle vicende umane oltre che sugli intrighi politici, in realtà quest'ultimo rischia di resuscitare un fantasma di gran lunga ancora più devastante e fatale. Se ne rendono conto gli ostinati sostenitori dell'uscita dalla UE in nome della sovranità britannica e di più convenienti sbocchi commerciali alternativi? Sembrerebbe di no. Qual è il fantasma?
Come noto, uno dei perni ma anche uno dei nodi dell'accordo è il cosiddetto backstop o "rete di protezione", e cioè, la garanzia che in mancanza di appropriate soluzioni alternative, non sarà istituito nessun tipo di barriera fra l'Irlanda del nord e l'Irlanda, il cui status di membro della UE verrebbe quindi esteso, de facto anche se non de jure, anche alla parte di Irlanda attualmente sotto il dominio inglese. In altre parole, libero movimento di uomini e merci fra queste due zone, esattamente come avviene adesso. Tale libertà di movimento fu uno dei capisaldi della cessazione delle attività dell'IRA e della guerriglia nell'Irlanda del nord. Mentre per i Brexitiani di ferro la suddetta assenza di barriere corrisponderebbe a un'indiretta e larvata permanenza della Gran Bretagna nella UE, la reintroduzione di barriere fra le due zone rischierebbe di riaccendere tensioni per il momento sopite. Paradossalmente, il modo più semplice per la gran Bretagna di eliminare il problema sarebbe quello di permettere all'Irlanda del nord ricongiungersi con l'Irlanda, ma ovviamente questo non è certo ciò che il governo inglese è disposto a digerire.
D'altra parte, questa febbre d'indipendenza britannica (ma con la pretesa di non perdere né capra né cavoli) fa perversamente il paio con un'altra non meno virulenta ma ancora più antica aspettativa d'indipendenza: quella scozzese. Ci vuole molta ingenuità o arroganza per non capire che il Brexit costituisce un irresistibile modello ed esempio tanto per gli Irlandesi che per gli Scozzesi. Proprio gli Inglesi, perlomeno coloro che hanno fatto tesoro degli eventi, dovrebbero ricordare come il loro Impero si disgregò esattamente dopo che, in nome della loro minacciata sovranità, chiesero e ottennero le braccia e le vite degli abitanti delle loro colonie per contrastare la Germania nazista. Così, la Gran Bretagna vinse la guerra, ma perse l'Impero, diventando infinitamente più piccola. Più piccola, sì, ma, così come accadde in Francia, uno degli effetti-nemesi della decolonizzazione fu il massiccio afflusso di popolazioni dalle rispettive ex-colonie. Gli eventi degli ultimi decenni mostrano che quell'afflusso non solo non corrispose a un'armonica integrazione ma costituì anche la base e il polo d'attrazione di successive ondate migratorie che hanno mutato il panorama e l'atmosfera sociale di mezza Europa, inclusa la lontana Svezia. Inghilterra e Francia sono insomma le vere responsabili della progressiva infiltrazione afro-islamica in Europa, di cui non ci sarebbe da preoccuparsi, se i suoi protagonisti non pretendessero di importare e imporre costumi che stridono con almeno quindici secoli di storia europea.
Il rischio di un futuro frazionamento della Gran Bretagna non è insomma irrealistico ed è reso ancora più drammatico dal crescente peso nella sua popolazione delle popolazioni di origine africana, araba e del sub-continente indiano, i cui tassi di fertilità sono superiori a quelli europei. I chiacchieroni della solidarietà e i teorici della democrazia, oggi così numerosi ma oberati dalla malafede e dall'ignoranza e di solito incuranti dei dettagli, hanno un bel parlare, ma il cemento della società civile così come delle relazioni umane è la pacifica e volontaria condivisione di valori e regole comuni. I fatti dimostrano che, fatti salvi alcuni ineludibili vincoli giuridico-legali, oggi in Europa si stanno al contrario rafforzando divisioni e rivendicazioni comunitarie sempre più marcate.
In conclusione, quella che potrebbe sembrare fantapolitica è del resto confortata da numerosi analoghi esempi neanche tanto lontani. Basta pensare alla disgregazione degli Imperi ottomano, austro-ungarico e zarista fino a quella dell'ex-Unione Sovietica, della Jugoslavia e - perché no? – della stessa Cecoslovacchia. Le rivendicazioni indipendentistiche irlandesi e scozzesi sono addirittura più vecchie di quelle balcaniche. Perché dovrebbero rimanere lettera morta soprattutto adesso che in qualche modo il Brexit ha insipientemente innescato il demone di un distacco?
Qualcuno a Westminster dovrebbe pensarci seriamente.
Antonello Catani