Sì al referendum, 30 cent in più in tasca ai poveri

In Italia, secondo gli ultimi dati ISTAT, ci sono 4. 498.000 persone che vivono sotto la soglia della povertà assoluta. Se vince il sì ognuno di loro avrà 111,16 euro in più in tasca all’anno, ovvero 30,5 centesimi al giorno. La loro vita cambierà radicalmente. Cosa conta la Costituzione di fronte ad un simile traguardo di giustizia sociale? Se l’avesse detto subito che questo è il vero fine della riforma avrebbe ottenuto un plauso unanime. Il commento di Maurizio Viroli, docente di teoria politica.

Referendum, perché votare sì. Ironia di un professore

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Amministrative, il Pd ha vinto o perso?

Matteo Renzi ha finto di ammettere la sconfitta, salvo poi sparare che quasi ovunque il Pd è sopra il 40%. Matteo: de che? Dove? Quando? Forse nella sua testa o alla Playstation. Il Pd non raggiunge quasi mai il 40%, anche perché si vergogna così tanto di essere Pd da presentarsi quasi sempre sotto mentite spoglie: liste civiche, nomi fantasiosi. Tutto pur di vivere in clandestinità. Il simbolo Pd c’era solo 130 volte su più di 1300 Comuni: l’11% circa. Una miseria. Persino meno del M5S, che come noto si presenta da solo, con il suo simbolo e non certo ovunque: più o meno in 250 Comuni. Pochi. Il commento di Andrea Scanzi su il Fatto Quotidiano.

Amministrative, le bugie del premier

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La polpetta avvelenata del premier alla minoranza Pd

Il voto di fiducia sulle unioni civili e sulle coppie di fatto è un fatto politico assai grave e male ha fatto il ministro delle riforme Boschi ad impalare i deputati della ibrida maggioranza costringendoli a votare compatti una riforma che presenta numerose criticità. Trattandosi di diritti civili,  proprio per questo ogni partito dovrebbe riconoscere ai parlamentari il diritto di votare secondo le proprie convinzioni, sacrificando la disciplina interna e le strategie politiche alla libertà di coscienza. Parrebbe un discorso ovvio, ma non lo è. Almeno per il governo Renzi-Verdini. Gli  escamotage di Matteo Renzi per restare a Palazzo Chigi abbarbicato alla sua poltrona di capo dell’esecutivo senza il sigillo di un voto popolare sono tali e tanti che pare impossibile non aderire alle aspre critiche che gli piovono sulla testa sia da destra sia da sinistra. Ecco cosa sottolinea lo storico Giordano Bruno Guerri in un suo articolo su il Giornale:

È assurdo sbagliato, illiberale, una forma di violenza che il governo decida di porre la fiducia su una questione simile, che non può essere accettata in blocco, come si prende o non si prende una medicina. Basterà ricordare che quasi mezzo secolo fa nella votazione sul divorzio, madre di tutte le battaglie sui diritti civili liberali e socialisti votarono in modo contrario alla Democrazia cristiana, con la quale erano al governo. E lo stesso accadde nel 1974, sempre per il referendum sul divorzio. Potremmo concludere che non c'è fiducia senza libertà. Ma bisogna aggiungere che la legge sembra tutt'altro che perfetta, e che meriterebbe un esame più attento.
Il primo errore fu inserire nel progetto di legge la cosiddetta «stepchild adoption», poi stralciata a forza, che ingenera confusione tra il discutibile problema degli uteri in affitto e il diritto-dovere, per una coppia omosessuale, di assistere i figli del compagno scomparso. Nella legge c'è poi, e soprattutto, un deprecabile approccio statalista sui «conviventi di fatto», per cui non si considera neppure l'ipotesi di chi vuole convivere senza un intervento dello Stato, ovvero senza mettersi sotto l'ombrello pubblico.

È qui la differenza tra i liberali, che vogliono un intervento in meno dello Stato, e gli statalisti che - ha scritto Daniele Capezzone dei Conservatori e Riformisti - «vogliono regolamentare tutto, pure ciò che accade nelle camere da letto». Il motto dovrebbe essere, invece, «più individuo, meno Stato», anche proprio per lasciare maggiore libertà a chi, legittimamente, la pensa di un modo diverso.
Come prevedeva il profetico Pier Paolo Pasolini, andiamo verso i diritti civili  rispettare le ragioni degli altri, tanto più di chi la pensa diversamente: persino di chi, come Angelino Alfano, disquisisce e intende legiferare sulla «non fedeltà» delle coppie omosessuali. La «non fedeltà» esiste di più nelle compagini di governo, tanto da dover ricorrere alla «fiducia», che della fedeltà è un modesto sottogenere.

Io sono persuaso che a Matteo Renzi ed alla sua combriccola di governo poco freghi di allargare la base dei diritti delle coppie di fatto e di quelle omosessuali. Il fatto poco o niente rilevato è che il premier vuole gratificare la minoranza del suo partito con un piatto avvelenato che è, appunto, la concessione di diritti fino ad oggi riservati alle famiglie naturali di cui all’articolo 29 dell’attuale Costituzione che sancisce: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Detto con altre parole, Renzi regala questo riconoscimento a coppie di fatto e omosessuali  (il piatto avvelenato) per avere in cambio il compattamento di tutto il Pd sul referendum del prossimo ottobre pretendendo un chiaro “sì” alla pessima riforma costituzionale partorita dal suo governo. A mio avviso se le persone che pensano di andare a votare al referendum confermativo confrontano i due testi costituzionali, quello vigente e quello proposto dal trio Renzi-Boschi-Verdini, ben pochi voteranno sì perché la vecchia Carta era chiara, semplice, per una parte addirittura inattuata, la renziana astrusa, complicata, di difficile comprensione anche per gli addetti ai lavori. In ultimo, la questione di fiducia su una legge riguardante temi etici e personali di rilievo costituzionale.

Marco Ilapi – 12 maggio 2016

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