Casa Bianca, tregua sui dazi all'Unione Europea

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La relativa tregua attuale della Casa Bianca sui dazi dà un po’ di respiro all’Europa, niente di più: questo resta un mondo post liberale, pieno di nuovi ostacoli agli scambi e di antiche logiche di potenza. Non è neanche più il tempo del clintoniano «it’s the economy, stupid» perché per la politica non conta più solo la crescita, anzi. Fra gli elettori della Brexit l’affermazione dell’identità viene prima del tornaconto materiale e persino l’America usa contro gli alleati la propria potenza commerciale — l’accesso al dollaro, o al mercato — come leva per piegarli politicamente. Chi fa affari con l’Iran è fuori da Wall Street. Chi compra reti di telecomunicazioni dai cinesi rischia dazi contro le auto. Il commento di Federico Fubini sul Corriere della Sera.

Trump detesta l'Europa e lo fa intendere in tutte le salse

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L'Italia non riesce ad uscire dall'abisso in cui è precipitata

Ci si dilania ancora molto sul fatto che l’Italia abbia vissuto una Grande recessione diversa da quella degli altri, più dura e più lunga, controllata solo grazie ai sacrifici e alla tenacia dei suoi abitanti. Si nota invece meno che l’Italia sta vivendo una ripresa irriconoscibile: non si assiste a niente del genere nel resto del mondo, se si confronta la crescita cumulata nei vari Paesi dai rispettivi punti più bassi raggiunti una decina di anni fa. (...) Gli altri Paesi si sono rimessi a camminare o a correre, noi siamo rimasti inceppati. Eppure sono ripartiti tutti: Paesi che hanno praticato l'austerità e che l'hanno ignorata, Paesi dell'euro o con una moneta nazionale, economie industriali e di servizi, importatori in deficit e esportatori in surplus negli scambi con il resto del mondo. In parte, noi abbiamo fatto meno strada perché siamo stati fra gli ultimi a uscire dal tunnel. Il commento di Federico Fubini sul Corriere della Sera.

L'economia del Belpaese tarda a riprendersi

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Il rischio di un governo tecnico? Non è il 2011, ma...

... poco ci manca. L’Italia, causa referendum costituzionale, è sull’orlo di una crisi di nervi. In particolare i politici stanno trascinando il Paese in un dibattito che nulla, o ben poco, ha  a che fare con i veri interessi e le esigenze dei cittadini. Il confronto con quello che è successo cinque anni fa non appare fuor di luogo. L’allora presidente della repubblica Giorgio Napolitano ingaggiò il prof. Mario Monti (peraltro contattato mesi prima per verificare la sua disponibilità a prendere in mano le redini del governo maldestramente guidato dal duo Berlusconi-Tremonti). La riprova è stata la sua inopinata nomina a senatore a vita (che aveva lasciato tanti osservatori perplessi: quali i meriti del bocconiano per avere il laticlavio vita natural durante?). Il centrodestra aveva gridato. al colpo di stato. Pensiamo con molte ragioni, visto che alcuni mesi prima.  Palazzo Chigi aveva ricevuto un preciso diktat da parte di Bruxelles.  Ecco la letteara della Bce pubblicata sul Corriere della Sera l’11 agosto 2011,tradotta in italiano: http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_italiano_405e2be2-ea59-11e0-ae06-4da866778017.shtml

Lo spread, intanto, aveva raggiunto i 574 punti base sui bund tedeschi. Lo spettro del fallimento del Belpaese era alle porte. Il governo Monti ha fatto quello che ha fatto. Lacrime e sangue per milioni di concittadini. L’ombrello della Bce sull’acquisto dei titoli pubblici nostrani oggi evita che lo spread raggiunga i livelli del 2011. La situazione è comunque ugualmente drammatica. Cerchiamo di spiegarne i motivi. Cinque anni fa l’anello debole del nostro Paese erano i titoli  Stato, oltre il forte indebitamento pubblico. Oggi é lo stato comatoso degli istituti di credito, le cui quotazioni borsistiche, ogni giorno che più si approssima il momento elettorale referendario, scendono in maniera paurosa. Non ci sono altre spiegazioni che l’assalto speculativo, confermato da dichiarazioni del tutto inopportune e pretestuose di autorevoli quotidiani finanziari (Wall Street Journal), di organizzazioni internazionali (l'Ocse, ad esempio), il governo tedesco con il suo ministro delle finanze Schauble, l'ormai ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che non dovrebbero nel modo più assoluto cercare di influenzare il voto popolare italiano, come se ci fosse (e, secondo noi, c’è) un grande interesse per sponsorizzare il 4 dicembre la vittoria del sì. Ripetiamo per l’ennesima volta: chi è quello sciagurato investitore che vende a 100 un titolo azionario  acquistato a 500? Nessuno, si dovrebbe rispondere. Eppure è quello che (sembra) stia succedendo. L’esempio classico è la quotazione del Monte dei Paschi di Siena. Ma il ragionamento si potrebbe estendere alle quotazioni di Unicredit, un tempo la regina delle nostre banche. Il 21 aprile 2007 (prima del crollo di Lehman Brothers) Unicredit era quotata 7,469 euro e, dopo diverse operazioni sul capitale, è arrivata a cedere in questi anni oltre il 90% del suo valore borsistico. La banca sarebbe, insomma, sull’orlo del  fallimento. Uno penserebbe che stanno per chiudere il 90% degli sportelli Unicredit. E l’amministratore delegato dovrebbe apprestarsi a portare i libri in tribunale. La prospettiva appare inquietante. Il presidente del consiglio Renzi  e il ministro della finanze Padoan sembrano non preoccuparsene più di tanto. Anzi, sostengono, ad ogni piè, sospinto che i risparmiatori possono dormire sogni tranquilli. Affermano che il sistema bancario italico è dei più solidi e che piuttosto dovrebbe preoccuparsi Angela Merkel per lo stato di salute delle banche tedesche. Da ridere. Anche Silvio Berlusconi, nel 2011, parlava di "impossibilità di trovare posti in aereo per i vacanzieri italiani e che i ristoranti erano pieni! E' risaputo come è andata a finire. Il presidente della repubblica Sergio Mattarella fa lo gnorri. Non è interventista come il suo predecessore, ma il rischio per il paese Italia è di tutta evidenza. Siamo nel mirino della speculazione finanziaria.  Il discorso, tra l’altro,si può e si deve estendere anche ad altri titoli, sopratutto  quelli finanziari. E Piazza Affari è zeppa di società operative nell’universo della finanza. Se poi andiamo a vedere cosa accade nelle altre piazze finanziarie, constatiamo che Wall Street è ai massimi storici, Francoforte anche. Il Giappone ha recuperato parecchio terreno rispetto agli anni passati. Solo l’Italia arranca e Piazza Affari constata quotazioni sempre più all’in giù. Un presidente del consiglio si allarmerebbe, così il titolare del dicastero dell’economia. Invece no. Tutto va bene, madama la marchesa. All’orizzonte sembra profilarsi nuovamente la figura di un ennesimo tecnico a Palazzo Chigi. Al di là delle simpatie per gli schieramenti di una parte politica (destra, centro o sinistra che uguali sono), c’è da sottolineare che gli unici esecutivi che hanno fatto cose egregie sono stati i governi tecnici di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, di Lamberto Dini nel 1996 e di Mario Monti nel 2011 (tutto il parlamento ha approvato i provvedimenti del suo esecutivo, la sciagurata legge Fornero ma anche il fiscal compact). Piaccia o non piaccia la politica italiana, i politici italiani sembrano incapaci di darsi una mossa e di provare per davvero a risolvere i problemi del Paese che sono, in primo luogo, il moloch del debito pubblico, che con Renzi ha segnato altri nuovi record. Padoan, nonostante le promesse di inizio anno, non è riuscito ad arginarne la tendenza del trend di continua crescita. E le tasse, secondo i principali istituti di ricerca, non stanno scendendo affatto. Nonostante l’esecutivo si affanni a sostenere il contrario. Per di più le finanziarie di questo esecutivo sono infarcite di bonus un po’ a tutte le categorie.  Dai 500 euro ai diciottenni, agli 80 euro alle mamme in attesa di un bebè, ai bonus per le famiglie numerose, ai bonus libri, alle family card, agli sconti sulle bollette di casa, alla riduzione di canone telefonico, agli sconti sul canone Rai, ecc. E’ un governo che fa le regalìe. Per questo la Commissione Europea, a  primavera, farà ragionevolmente le pulci al bilancio di previsione 2017. E probabilmente lo boccerà. In questo contesto. E se non lo ha ancora fatto è per favorire un”sì” al referendum del 4 dicembre. Le riforme di Renzi non sembra abbiano inciso granché sull’indebitamento del Paese per farlo scendere a livelli accettabili. Anzi, la situazione si è ulteriormente aggravata. E le contestazioni della Ue non ci sarebbero state se il debito pubblico fosse stato contenuto entro limiti della media europea.

                                                    Il moloch del debito pubblico italiano

Debito pubblico di alcuni paesi in rapporto al prodotto interno lordo. Italia è terza dopo Giappone e Grecia.

Fonti:

www.it.actualitix.com/paese/wld/debito-pubblico-per-paeses.php

Debito pubblico % del pil

Giappone       245, 9 %

Grecia             196,95 %

Italia               133,09%

Portogallo       127,8 %

Belgio             106,75

Stati Uniti     105,85 %

Irlanda           100,63 %

Spagna            98,6 %

Francia             97,09 %

Canada            90,42 %

Croazia              88,9 %

Austria               86,71 %

Slovenia             81,77 %

Serbia               76,71 %

Ungheria           75,27%

Germania          70,75  %

Olanda              67,62 %

India                65,26 %

Finlandia            61,91 %

Polonia               51,09 %

Danimarca         46,99%

Svezia                43,93 %

Cina                   43,2 %

Romania             40,9%

Lituania              38,78 %

Lettonia             37,77 %

Corea del Sud  35,12 %

Bulgaria             28,64%

Lussemburgo     23,6%

Russia              20,4 %

Estonia             10,76 %

Marco Ilapi, 30 novembre 2016

Il debito nostro pubblico continua a crescere al ritmo di 57 000 euro al minuto

Il colossale debito pubblico accumulato dall'Italia nel corso degli ultimi 50 anni è uno dei suoi principali fattori di debolezza finanziaria, in particolare nel contesto di crisi attuale. Una montagna di debiti che, secondo l'Istituto Bruno Leoni, ammonta a oltre 2.229 miliardi di euro. Il che significa che su ogni cittadino italiano grava un debito di circa 36.748 euro. Quando si è formato questo pesante fardello? Contrariamente alla vulgata comune, non durante la Prima Repubblica, ma nel corso della Seconda.  Secondo i dati raccolti dall'economista Oscar Giannino, e divulgati in un video che sta facendo il giro della rete (pur risalendo allo scorso settembre), i governi dal 1945 (De Gasperi I) al 1992 (Andreotti VII) hanno accumulato un debito pubblico di 795 miliardi di euro, cioè il 41% circa del totale (il valore riportato da Giannino è quello di giugno 2011: 1.931 miliardi). Il restante 59% è da attribuire al periodo 1992-2011, cioè alla Seconda Repubblica. In particolare, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994, di 941 miliardi (il 48,7% del totale). Il che significa che la sola 'era berlusconiana' ha prodotto il 7,7% di debito pubblico in più rispetto all'intera storia repubblicana pre-Mani Pulite.   Concentrandosi sulla sola 'era berlusconiana', Giannino dettaglia il contributo dei singoli governi alla formazione del debito pubblico. Si scopre così che il record assoluto spetta al primo governo Berlusconi, con un incremento del debito di 330 milioni di euro al giorno. Se si sottrae l'esperienza emergenziale dei governi Amato e Ciampi, secondo è ancora un governo Berlusconi, l'ultimo, con 217,8 milioni di euro al giorno di aumento del debito. La palma del più 'virtuoso' spetta al governo D'Alema (+76,3 milioni di euro al giorno) e ai due governi Prodi (rispettivamente 96,2 e 97,5 milioni di euro al giorno di incremento). Durante la Prima Repubblica il dato è comunque inferiore: 49 milioni di euro al giorno in media. Da ultimo, i dati forniti da Giannino consentono di concludere che, su un totale di 1.931 miliardi di euro di debito pubblico, i quattro governi Berlusconi hanno contribuito per una cifra pari a 557,2 miliardi. Il che significa che il 28,8% del debito si è prodotto durante i 3.200 giorni (a fine giugno 2011) di guida berlusconiana del Paese. Giova ricordare che questi grafici riguardano valori assoluti, mentre per quanto riguarda il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo si può consultare questa infografica de Linkiesta, che spiega anche perché dati come quelli forniti da Giannino non siano sufficienti a tradursi immediatamente in un giudizio negativo sull'operato dei governi Berlusconi (valigiablu.it).

Ad oggi il debito pubblico ha raggiunto la vertiginosa cifra di 2.228.737.365, in crescita del  12%. Era di  1.912,389 miliardi nel novembre del 2011, regnante Monti. Con un più 226,825 miliardi di euro. Cresce del 12% (vedi sito www.laprimapagina.net per verificare di quante migliaia di euro cresce ogni minuto, ad oggi il debito che grava su ogni italiano è di 36.748 euro). E questo debito lo dobbiamo pagare tutti noi con un continuo aumento della pressione fiscale. O dello Stato centrale o degli Enti locali. Nonostante, ripetiamo, i governanti sostengano che le tasse diminuiscono. La gente  non se ne avvede. Come si evince dalla lettura delle tabelle seguenti, il nostro premier non solo non sta facendo nulla per la riduzione del folle indebitamento dell’Italia ma va in giro sostenendo che le tasse stanno calando. Chi ha preso per fessi? Con la sua riforma costituzionale, purtroppo, i nodi non verranno sciolti. Dopo la sciagurata abolizione delle provincie, perché non ha proposto l’eliminazione del Senato (meglio sarebbe stato della Camera dei Deputati) e la riduzione drastica del numero delle nostre regioni? I risparmi sarebbero stati sicuramente ben superiori. Ha realizzato un grande pasticcio. I tre anni del suo governo non saranno ricordati per i grandi risultati conseguiti. Che poi vinca il sì o vinca il no, per gli onesti cittadini non cambierà niente. L’unico risultato: il Paese è sempre più spaccato. Questa conseguenza è frutto della insipienza di Matteo Renzi. Il 5 dicembre, qualsiasi sia il risultato del referendum il sole sorgerà ancora. “Matteo, stai sereno!”.

Marco Ilapi, 30 novembre 2016

 

Anno        Debito pubblico italiano in milioni di euro          Debito pubblico su PIL (a)

1984                        284.825                                                     74,4%

1985                        346.005                                                     80,5 %

1986                       401.499                                                      84,5 %

1987                       460.418                                                      88,6 %

1988                       522.732                                                      90,5 %

1989                       589.995                                                     93,1 %

1990                         663.831                                                    94,7 %

1991                         750.798                                                       98,0 %

1992                        847.596                                                      105,2 %

1993                         959.111                                                       115,6 %

1994                     1.069.415                                                      121,8 %

1995                     1.151.489                                                       121,5 %

1996                     1.213.508                                                      120,9 %

1997                     1.238.170                                                       118,1 %

1998                    1.254.386                                                       114,9 %

1999                    1.282.062                                                       113,7 %

2000                   1.500.341                                                       109,2 %

2001                   1.358.333                                                        108,8 %

2002                   1.368.512                                                        105,7 %

2003                   1.393.495                                                        104,4 %

2004                   1.444.563                                                        103,8 %

2005                   1.512.753                                                          105,8 %

2006                  1.582.067                                                         106,5 %

2007                  1.599.790                                                         103,5 %

2008                   1.664.204                                                        106,1 %

2009                   1.761.229                                                        115,8 %

2010                   1.843.002                                                          119,0

Fonte:  Banca d'Italia

Qui seguito trovate il debito pubblico dall'Unità d'Italia ad oggi riportato dal sito www.blia.it

 

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