Il Tesoro studia il piano di emissioni : «Ma l’Ue deve salire a 1.500 miliardi»

Alla fine l’eurogruppo si è lasciato andare a un applauso liberatorio, reso surreale dal fatto che in realtà ciascuno applaudiva da sé. Chiusi in diciannove stanze a centinaia di chilometri l’una dall’altra, i ministri finanziari europei stavano dichiarando tutta la soddisfazione per un accordo che ognuno ha capito a proprio modo. Quell’applauso è stato la celebrazione di una faticosa tappa tolta di torno. L’area euro ha solo imboccato la via di una risposta ai danni economici imposti dal coronavirus, individuando i primi 500 miliardi di euro (ammesso che questi corrispondano realmente a risorse tutte nuove). Ma molta strada resta da fare. Visto che questa recessione ridurrà forse di 1.500 miliardi di euro i redditi degli europei, ne servono altri mille o poco meno. Sono sempre più urgenti nuovi investimenti per rilanciare e salvaguardare socialmente interi Paesi. Le tensioni smussate da quell’applauso dell’eurogruppo sono destinate a riemergere nel vertice dei leader nazionali dell’unione europea il 23 aprile, e nascono tutte dagli stessi nodi ancora irrisolti: quanto denaro serve, come e quando raccoglierlo, come distribuire gli oneri. Il picco di elettricità in questi giorni lo si è toccato martedì notte fra Roberto Gualtieri e Wopke Hoekstra, il ministro delle Finanze olandese. Alla fine si è giunti a un compromesso che Hoekstra ha definito «buono» e Gualtieri ha trovato vantaggioso: l’accesso alle nuove linee di credito del fondo salvataggi Mes — lo strumento preferito dei Paesi del Nord Europa — di fatto diventa senza condizioni e in apparenza semi-automatico nella valutazione di sostenibilità del debito. Il solo requisito è che sostenga la spesa «diretta e indiretta per i costi sanitari, di cura e prevenzione» di Covid-19. Anche se l’Italia non prevede di fare domanda al Mes, questo per Gualtieri è stato il segnale che quel programma equivale a una carta di debito utilizzabile subito. Le destinazioni per il denaro sono abbastanza vaghe da includere, per esempio, la spesa delle imprese per un ritorno al lavoro in sicurezza. Ma quei crediti facili del Mes valgono meno di un quinto del fabbisogno di quest’anno dei grandi Paesi europei. Resta invece in gran parte da cucinare il piatto principale: il Recovery Plan, il piano francese per la ripresa con varie integrazioni italiane. «Se non c’è quello — aveva detto Gualtieri l’altra notte, riferendosi al comunicato dei ministri — per me non c’è niente». Alla fine è entrato nell’accordo l’impegno a «lavorare» a un piano per la ripresa, con somme «commisurate ai costi straordinari della crisi». Gualtieri era pronto a rompere se non ci fosse stata anche la nozione di un «debito comune»: alla fine non è entrata, anche se l’idea esplicita che i costi siano «spalmati nel tempo con un finanziamento appropriato» sembra rimandare allo stesso concetto. Nell’idea francese va creato al più presto un veicolo finanziario europeo ad hoc, attraverso il quale iniziare al più presto a raccogliere a debito sul mercato risorse fino a mille miliardi. Queste ultime sarebbero garantite dai flussi di cassa di una web tax o di imposizioni sulle imprese e verrebbero «assegnate» al bilancio Ue per investimenti. L’idea di ampliare il bilancio di Bruxelles vendendo titoli sul mercato era già stata presentata in sede Ue nel 2018 da Enzo Moavero, allora ministro degli Esteri. Ora resta da capire se Olanda o Germania accetteranno di impegnarsi in quel veicolo finanziario già entro l’estate. Resta da capire se davvero Berlino e l’aia temono che Roma, Parigi e Madrid inizino le operazioni sul mercato senza aspettare i Paesi esitanti (improbabile) o se piuttosto i nordici cercheranno di ritardare e svuotare inesorabilmente l’intero progetto. Ne uscirebbe un’area euro divisa. Un’entità che tiene grazie a sempre nuovi interventi della Banca centrale europea, magari in futuro al limite del denaro conferito direttamente alle imprese. Ma sempre più squilibrata nelle istituzioni e nella società.

Federico Fubini – Corriere della Sera – 11 aprile 2020

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La corsa ai titoli entro l’estate

La partita per la ripresa inizia ora. Corsa al lancio dei titoli. L’accordo su un’emissione di debito che la Bce potrà riacquistare. Prima di diventare ministra delle Finanze in Spagna nel 2018, Nadia Calviño era stata per cinque anni direttrice generale del bilancio alla Commissione di Bruxelles. Quindi l’altra sera all’eurogruppo ha messo il dito precisamente sulla piaga, quando ha lanciato una battuta ai suoi colleghi ministri finanziari del Nord Europa: «Poi però voglio vedere, quando arriva la proposta, come vi muoverete». La proposta, come anticipato ieri dal Corriere, riguarda i cosiddetti «meccanismi innovativi di finanziamento» che dovrebbero costituire il piatto forte di qualunque risposta europea alla catastrofe produttiva indotta da Covid19. Le altre iniziative concordate ieri, per quanto utili, hanno tempi o modalità incerte e un impatto frazionale, in proporzione alla perdita di reddito per oltre mille miliardi di euro che si prospetta nell’area euro quest’anno. “Sure”, il meccanismo da cento miliardi di euro di supporto ai disoccupati proposta dalla Commissione, non ha ancora una data di innesco perché devono ratificarlo i parlamenti dei 27 Stati dell’unione europea. Le linee di credito del fondo salvataggi (Mes) potranno essere attivate senza condizioni solo se riguardano «costi diretti e indiretti di spesa sanitaria, cura e prevenzione», non la ricostruzione economica (Italia e Spagna hanno comunque già escluso di voler chiedere quei prestiti). Servono dunque almeno altri 500 miliardi di fondi pubblici da investire nella ricostruzione dell’area euro. A reperirli emettendo nuovo debito può essere solo il «Recovery Plan», il piano di rilancio proposto in origine dalla Francia. La partita vitale per la tenuta della società italiana in questa crisi si gioca lì ed è lì che l’esperienza di direttrice del Bilancio Ue l’altra sera è venuta in aiuto a Nadia Calviño. Perché il tempo stringe e il diavolo è nei dettagli. La «proposta» sul tavolo di cui parla la ministra spagnola è di legare quel piano di rilancio finanziato da emissioni di nuovo debito europeo al «Quadro finanziario pluriannuale», cioè al bilancio dell’unione. Ma quella strada rischia di restringersi nei prossimi mesi — avverte Calviño — a causa delle solite obiezioni di Germania e Olanda. Soprattutto per ora l’opzione di emettere nuovo debito europeo per almeno 500 miliardi garantendolo con il bilancio Ue presenta una seria incoerenza sui tempi: molti Paesi dell’area euro hanno bisogno di risorse al più tardi entro pochi mesi, mentre l’aggancio al Quadro finanziario di Bruxelles 2021-2027 immetterebbe risorse fresche nell’economia tra più di un anno. Certo l’accordo di ieri sera nell’eurogruppo dice solo che questo fondo dovrà essere per dimensioni «commisurato ai costi straordinari della crisi attuale» da raccogliere fra gli investitori attraverso un’emissione di debito congiunto europeo (che magari la Banca centrale europea potrà riacquistare sul mercato). Quelle risorse vanno però reperite già da quest’estate, perché altrimenti rischiano di arrivare nell’economia quando milioni di imprese dell’area euro saranno già fallite. Si tratta dunque di trovare almeno una soluzione-ponte prima del 2021 attraverso due canali suggeriti ieri dal Consiglio degli esperti economici franco-tedeschi: tramite emissioni della Banca europea degli investimenti oppure del fondo salvataggi Mes. Quelle due istituzioni operano già sui mercati in modo congiunto, ma suddividendo la responsabilità ultima del loro debito pro quota sui singoli Stati.

Federico Fubini – Corriere della Sera – 10 aprile 2020

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La lotta segreta delle due Europe

Ora più che mai, non c’è una sola Europa. Ce ne sono due. Diverse, lontane per mentalità, sospettose l’una dell’altra. Costrette a competere ma a convivere. È una duplice Europa che ha ancora su entrambi i fronti qualche figura capace di guardare agli equilibri generali oltre l’interesse particolare e di agire di conseguenza. Ne ha fra rappresentanti italiani, francesi o spagnoli da una parte, così come ne ha sul fronte opposto fra i burocrati o fra i politici tedeschi o olandesi. Ma il contrasto di idee e narrazioni diverse in questi giorni ha una durezza con pochi precedenti, mentre l’intera architettura europea finisce sotto la pressione immensa dell’epidemia.

Lo si è visto subito all’interno della Commissione dove alcuni politici designati dal centro-destra e nella sfera d’influenza tedesca — il vicepresidente Valdis Dombrovskis, il commissario austriaco Johannes Hahn — hanno rifiutato fino all’ultimo di sospendere le regole di bilancio europee, anche di fronte a una catastrofe sanitaria che sta travolgendo l’economia mondiale. Alla fine, quando era chiaro che il rischio di non cambiare nulla era troppo alto, persino la presidente tedesca Ursula von der Leyen ha smesso di dare copertura ai più rigoristi. Ma la stessa linea di frattura è corsa fino alle stanze del governo a Berlino: a calamità europea ormai evidente, anche contro l’avviso del ministro delle Finanze Olaf Scholz, Angela Merkel ha frenato all’idea di sospendere i vincoli europei sul deficit. Solo all’inizio di questa settimana — riferiscono varie persone informate — la cancelliera ha finito per cedere.

La stessa faglia si è poi aperta subito dopo nel Consiglio europeo, il vertice dei capi di Stato e di governo dell’unione. Di fronte ai colleghi in teleconferenza, Merkel tre giorni fa è rimasta illeggibile: nel cuore di una recessione gravissima, nel suo intervento non ha dedicato una sola parola all’economia. Nel frattempo i leader di Italia e Francia, Giuseppe Conte e Emmanuel Macron, proponevano di lanciare un «corona bond» europeo: un titolo garantito dal bilancio di Bruxelles i cui proventi potessero finanziare la spesa sanitaria. Anche Christine Lagarde si è messa alle spalle gli errori dei giorni scorsi e ha proposto un «eurobond» (parole sue, secondo gli astanti). La presidente francese della Banca centrale europea capisce che questa sarebbe la svolta capace di dare la credibilità istituzionale — la base di un bilancio comune — senza la quale il futuro dell’euro resterà sempre in dubbio.

Altri leader però hanno parlato una lingua diversa, per valori e visione politica. Mentre le colonne di camion dell’esercito trasportavano i morti nelle strade della Lombardia, il premier olandese Mark Rutte invitava l’Italia a chiedere un salvataggio al Fondo salva Stati (Esm): significa impegnarsi ad alcune riforme, ma soprattutto accettare che siano dirette dall’esterno e magari condizionate a un default pilotato del governo. Nella scelta dei tempi e dei toni, quella di Rutte è suonata come una richiesta di sottomissione a chi risponde a priorità e elettori diversi. Certo oggi a Bruxelles si lavora all’ipotesi che l’Esm offra programmi «precauzionali» leggeri, senza altra condizione se non di finanziare la sanità. Ma anche quelli prevedono prima di tutto una «analisi di sostenibilità del debito» del Paese in crisi: ciò permetterebbe a Olanda, Finlandia o alla stessa Germania — se vogliono — di bloccare l’accesso dell’Italia ai fondi dell’Esm se prima non accetta di sforbiciare il valore dei titoli di Stato o ne rinvia i rimborsi.

È in questo clima che mercoledì le due Europe sono entrate nelle ore decisive. La giornata parte male: il governatore di Vienna Robert Holzmann fa di tutto per confermare e rafforzare la gaffe di Lagarde, che pochi giorni prima si era lavata le mani del compito di contrastare chi punta sullo sfascio dell’euro. L’austriaco, in un’intervista, arriva a definire questa crisi drammatica come «una purificazione». Non sorprende che la mattinata mercoledì diventi difficilissima per i titoli di Stato italiani, fino agli interventi di mercato della Banca d’Italia per conto della Bce: via Nazionale non deve neanche impiegare molta forza di fuoco, perché il crollo della fiducia ha fatto collassare i volumi di mercato sul debito di Roma ad appena 300 milioni sull’intera giornata (meno di un decimo del solito).

Ma ormai nella Bce qualcosa si sta muovendo, perché Lagarde ha capito che deve cancellare la sua gaffe e sta lavorando fianco a fianco con Fabio Panetta, il collega italiano del direttivo. Da Francoforte arriva una dura presa di distanza dalle parole dell’austriaco Holzmann e parte l’accelerazione del piano che era in preparazione da giorni: si convoca un Consiglio direttivo per generare una forza finanziaria schiacciante che tamponi la crisi. Francesi e italiani da un lato, tedeschi e olandesi dall’altro come fronti avanzati dello scontro che torna a consumarsi in una giornata di tensione alle stelle. Il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, chiama il suo collega tedesco Scholz per dirgli che l’euro è in pericolo se non si permetterà alla Bce di fare il suo dovere. Gualtieri chiama anche Lagarde.

Alla fine la francese decide di fare il passo che non aveva osato compiere la settimana prima: mette in minoranza i banchieri centrali di Germania e Olanda, Jens Weidmann e Klaas Knot, e la Bce decide di salvare il sistema senza di loro. Come succedeva ai tempi di Mario Draghi. L’euro e l’economia europea per adesso non vanno in pezzi. Ma le due visioni d’Europa, scontrandosi, ci sono andate vicine.

Federico Fubini - Corriere della Srea - 20 marzo 2020

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