L'Europa guarda alla Cina di Xi Jinping

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Stati Uniti e Ue tuttora fanno insieme il 50% del Pil globale e il 30% degli scambi internazionali, al ritmo di 1000 miliardi di dollari all’anno, mentre il dialogo con Pechino si trascina nell’incomunicabilità più tesa e inconcludente tra misure Ue antidumping e sovracapacità produttive monstre che mettono alle corde l’industria europea, l’interrogativo dovrebbe essere liquidato come del tutto assurdo. L'editoriale di Adriana Cerretelli su Il Sole 24 Ore.

Possibile che la Ue si avvicini a Pechino? Grazie a Trump..., forse

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Merkel contro Draghi, l'Europa non ha pace

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Donald Trump ha ragione a prendersela con la Germania e l’Europa. Secondo la Commissione europea, l’anno scorso la zona euro, grazie alle sue operazioni correnti (vendite e acquisti di beni e servizi), ha generato un’eccedenza di 384 miliardi di euro, corrispondente al 3,6 per cento del suo Pil. Ciò significa che avremmo potuto spendere 384 miliardi in più in Europa senza aver alcun problema di finanziamento: non avevamo bisogno di elemosinare fondi ai qatarini o ai cinesi, noi stessi abbiamo prodotto la ricchezza corrispondente. L'articolo di Guillaume Duval sul sito www.voxeuro.eu.

Se Trump frusta l'Europa... per sono guai seri

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Assalto dei migranti, che fare?

Immigrazione, una grana infinita. Silvio Berlusconi non si è neanche per un momento sognato di affrontare di problema dell’immigrazione incontrollata, perché di fatto oggi lo è diventata. Addirittura sarà utile ricordare che nel 1997 (governo Prodi) il furbo ex premier (ma, in sostanza i politici sono tutti furbi, quelli di destra, di centro e di sinistra per intenderci) si mise a piagnucolare, avvertendo che non si potevano chiudere gi occhi dinanzi a questi disperati di immigrati albanesi che cercavano rifugio nel nostro Paese. Lacrime di coccodrillo, si dirà. Sono trascorsi vent’anni ed il numero degli immigrati ogni anno che passa cresce a dismisura. Oggi i flussi migratori sono tristemente centuplicati. Nel 2016 erano previsti 30 mila ingressi, invece sono stati ben 181 mila. Un esercito ormai incontrollabile di disperati che tentano di raggiungere le nostre coste con l’intento di andarsene chi in Francia, chi in Germania, chi in Gran Bretagna, chi nei Paesi nordici. La musica da qualche tempo sta, però, cambiando. Nessun Paese è più il Paese di Bengodi. La Svezia, che prima accoglieva indiscriminatamente tutti i rifugiati, ha annunciato di voler espellere 80.000 persone le cui richieste d’asilo sono state respinte. A Copenhagen osservano i flussi migratori con grande preoccupazione. La Danimarca è tra la Svezia e la Germania, vale a dire i paesi dove la maggior parte dei migranti vuole andare: è una terra di passaggio che può diventare approdo definitivo se cambiano le condizioni politiche dei suoi vicini. Quando Stoccolma ha reintrodotto i controlli alle frontiere, Copenhagen a sua volta li ha ripristinati con la Germania. L’Italia, insieme alla Grecia, sono in un cul de sac. Se la rotta balcanica, grazie all’accordo (per l’Europa parecchio oneroso) con la Turchia di Erdogan subisce uno stop, ecco che dai migranti viene scelta la rotta del Mediterraneo. E il nostro Paese viene inevitabilmente invaso da migliaia di migranti ogni santo giorno. Il nostro ministro dell’interno Marco Minniti ha deciso di cambiare rotta rispetto al suo predecessore Alfano e cerca disperatamente di metterci una toppa, snellendo le procedure di verifica e tentando di rispedire ne Paese di origine chi non ha diritto di rimanere nei nostri confini. E si tratta di svariate decine di migliaia di persone l’anno. Che, in attesa che si espletino tutte le procedure (verifica identità, controllo dei passaporti, ecc.) passano settimane, mesi, anni e, nel frattempo, l’immigrato se la dà a gambe, senza che le autorità possano farci nulla. Bisogna cambiare il modus operandi. I controlli alle frontiere devono essere assolutamente ripristinati, così come stanno da qualche tempo facendo altri Paesi, come la Germania della Merkel, l’Austria, la Danimarca e la Svezia, poi occorre .ridiscutere il regolamento di Dublino e che sia l’Unione Europea a farsi carico del problema immigrazione e non più gli Stati nazionali. Come, per inciso, l’Europa, se vuole uscire dal tunnel della violenta crisi economica in cui è precipitata nove anni fa, deve assolutamente occuparsi di crescita e non di pinzillacchere, come direbbe il buon Totò.La rivoluzione copernicana, però, sarebbe quella di attribuire al Parlamento europeo il potere legislativo e lasciare alla Commissione quello esecutivo. Come non dare ragione al prof. Giulio Tremonti, ministro dell’economa dei governi Berlusconi, quando asserisce che la Gazzetta Ufficiale del’Unione Europea «ha 30.952 pagine, 151 chilometri lineari. Con un alfabeto legislativo che va da ‘a’ come ascensori a ‘b’ come basilico a ‘f’ come furetto... Come si fa a pretendere di ‘standardizzare’ un trapano che si usa in Danimarca con quello che puoi usare a Bologna? In sintesi, l’Europa con le sue regole è entrata nelle nostre case. Tutto questo può far piacere alle lobby, ma allontana l’Europa dai cittadini. Inoltre, se c’è un rischio da evitare durante la crisi, è quello di essere ridicoli. L’Europa dovrebbe affrontare grandi problemi, come l’emigrazione o la difesa del risparmio. E, invece, si è occupata imperterrita del rosmarino, del basilico, della salvia…». L’Europa deve cambiare strada e strategia se vuole sopravvivere, altrimenti muore. E c’è poco da fare.

Marco Ilapi, 2 marzo 2017

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