L'altro bollettino

Mentre accenna ad abbassarsi la curva dei caduti, sale in modo devastante quella dei disoccupati. Lo sguardo di noi reclusi trasloca febbrile dall’una all’altra, ma indugia sempre più spesso sulla seconda: la prossima partita dell’umanità non si giocherà negli ospedali, ma nei capannoni. Su dieci persone al mondo che lavorano — dicono i numeri diramati ieri — otto sono chiuse in casa. E di queste otto, una non troverà più il suo posto, quando uscirà. Delle rimanenti sette, cinque dovrebbero poter riprendere da dove si erano interrotte. Ma le altre due no. Le altre due, spesso impiegate in settori a bassa specializzazione, saranno costrette ad accettare condizioni e paghe ancora più mortificanti di quelle da cui provengono. Che fare? Lavori pubblici e reddito di sussistenza, proprio perché sono le prime ricette che vengono in mente a tutti, rappresentano inevitabilmente dei clichè: riflessi del passato che non è detto possano bastare. Servono capitali e cervelli freschi, in grado di pensare idee nuove e, in Italia, una parola nuova: sburocrazia, che significa meno rallentamenti, meno timbri e quindi meno mazzette potenziali. Da mesi, i potenti e i famosi ci ripetono che siamo tutti sulla stessa barca, forse nel timore di finire nella stessa bara. Ma la cascata dei buoni sentimenti sarà messa alla prova tra breve (brevissimo, si spera). Quando, per sentirsi parte di una comunità, non basterà più starsene chiusi in casa, ma bisognerà andare a riaprire il mondo.

Massimo Gramellini – Corriere della Sera – 8 aprile 2020

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