Anima mundi: la poesia ci salverà

  • Pubblicato in Cultura

LImmaginazione  si origina dalla poesia che crea il mondo e forse viceversa, nel teatro pieno, pronto ad accogliere la nuvola di magia che nasce dall’affabulazione di Lucilla Giagnoni, mentre suoni e colori lo riempiono e lentamente incantano. La luna  e la terra si guardano e l’uomo cerca risposte che i poeti indagano. Poeta deriva dal greco ποιέω, poieo’ che significa inventare, creare, comporre. Poiesis è dunque il procedimento attraverso cui qualcosa che non c’era può diventare realtà. Suggestioni nutrono il nostro cuore e immagazziniamo, come una risorsa, saperi che vengono da lontano, filosofie antiche di cui l’attrice nel suo monologo, ci fa tastare sensibilmente il senso panico che le distingue.

La Natura, così grande, potente e che vogliamo dominare, ci lascia attoniti, come quando guardiamo stupiti le prorompenti cascate d’acqua che scendono dalle montagne e riempiono con impeto le superfici di un lago. Schizzi e onde intorno. La Natura è di più … capace di stravolgere, di spazzarci via. Essa è  tuttavia bellezza: sono montagne verdi, anse di fiumi che tratteggiano ghirigori sulle superfici, terra e fiori … siamo noi. Tutto questo si ammira anche in una bella foto che vediamo a teatro, scattata “dall’alto” nell’ultima spedizione dell’uomo sulla Luna. Il viaggio verso la conoscenza di Lucilla Giagnoni si nutre in primis di poesia, e mente e cuore la accompagnano come due antichi filosofi.

Giacomo Leopardi, ciclopico creatore di visioni, le regala versi che poi a sua volta lei dona a noi, in un girotondo che si specchia sulla grande luna, sul palco del teatro, dove compaiono parole capaci di creare e di dare un significato al nostro “viaggio”. Vivere e morire … morire o vivere … L’aspirazione all’Infinito leopardiano,  che nasce proprio da ciò che sembra terminare come noi esseri umani, diventa leit motiv della piece teatrale. Nella poesia del letterato di Recanati leggiamo: quell’ermo colle che diventa ultimo orizzonte da dove possiamo immaginare interminati spazi e dove l’infinito silenzio ci fa cogliere la percezione dell’eterno. E come scriveva il poeta: il naufragare m’è dolce in questo mare. Nella lirica che chiude i suoi Canti e che è stata ritenuta il suo testamento: La Ginestra, che  potremmo anche chiamare rosa, ossia fiore bellissimo che cresce nel deserto dove ogni parvenza di vita è stata annichilita dal furore del vulcano, egli ci restituisce la sua consapevolezza sulla forza distruttrice della Natura. Sulle pendici del Vesuvio la ginestra cresce “eroicamente” come coloro che hanno preferito la luce alle tenebre. Essa rappresenta la voce della verità e il coraggio che si innalza sopra il grigiore delle miserie umane.

A sollevarci dal timore della distruzione Lucilla Giagnoni, nello spettacolo di ieri sera al Teatro Comunale di Vicenza, ha chiamato in aiuto fantasiosi folletti e gnomi che lei ha saputo interpretare con pungente ironia per farci cogliere la stupidità dell’uomo che impegna le sue energie nell’inquinare la terra, farsi la guerra, odiare, combattere, combattere … Cosa? Futura, questa bambina che sembra una promessa  e che lei ci fa conoscere non ha sesso, è uomo, donna, bambino, bambina … è tutto … Morire, vivere, quale vita dell’essere umano in un altro pianeta o altrove. Fili ci legano e legano l’universo. Le moderne teorie scientifiche spiegano la vita nel sottosuolo in una miriade di  legami e milioni di galassie che si attraggono e si respingono, a cui anche noi apparteniamo, disegnano traiettorie, strade, congiunzioni che ci racchiudono. La mente non basta per comprendere questa immensità … ci sovviene … lasciamolo raccontare a Lucilla con la sua consueta passione.

Anima Mundi" di Lucilla Giagnoni ha aperto la Trilogia della Generatività, l'ultima dopo la Trilogia della Spiritualità e quella dell'Umanità. Collabora ai testi Maria Rosa Pantè, le musiche sono di Paolo Pizzimenti e le luci e i video di Massimo Violato.

Patrizia Lazzarin, 4 marzo 2023

Leggi tutto...

In viaggio con Merianin. Maria Sibylla Merian

  • Pubblicato in Cultura

Un viaggio di formazione lungo la vita e dentro i luoghi di una donna che potremmo definire rivoluzionaria. Maria Sibylla Merian fu tale per diverse ragioni. Nata nel 1647 a Francoforte, amava disegnare e studiare gli insetti, per lei simbolo della perfezione dell'opera di Dio e in questo andò contro la sua famiglia e le superstizioni popolari e religiose che consideravano tali esseri diabolici. Fu pittrice, si occupò di scienza e fece un lungo viaggio avventuroso nel Suriname, accompagnata solo dalla figlia più giovane, rovesciando in tale maniera le convenzioni dell'epoca che relegavano le donne a occupazioni marginali e non di grande valore all'interno del mondo scientifico e artistico. Mise in discussione la teoria aristotelica, allora giudicata corretta, secondo cui i bruchi nascevano non dalle uova, ma dalla rugiada che cadeva sulle foglie.

Presso la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, dal 3 marzo al 29 aprile, una mostra a lei dedicata è l'occasione per un viaggio verso i paesi tropicali a partire dalla sua opera più famosa Metamorfosi degli insetti del Suriname, di cui l'Archiginnasio, come altri importanti musei e biblioteche d'Europa, possiede una copia. Le pagine del libro antico di questa illustratrice e naturalista vissuta nel XVII secolo sono legate, nella rassegna, a un filo di rimandi con un libro d'artista a lei dedicato. Durante il percorso potremmo ammirare volumi antichi riccamente illustrati e farci incuriosire da suggestioni iconografiche di diversa provenienza dal Seicento ad oggi e dalle tavole originali stampate a mano del libro d'artista Archivio Merianin (le Magnificheeditrici, 2022) che intrecciano, bacheca per bacheca, un dialogo con i volumi antichi e i documenti relativi alla vita e all'opera di Merianin, così chiamata per distinguerla dal suo celebre padre.

Il suo genitore, Matthäus Merian il Vecchio, era un famoso editore ed incisore che morì quando Sibylla aveva solo tre anni. Ella ricevette un'educazione artistica dal patrigno Jacob Marrel, un pittore di fiori e nature morte che le insegnò a dipingere e a realizzare incisioni. Già dall'età di tredici anni aveva cominciato a distinguersi in tale arte. Fu in particolar modo affascinata dai bruchi che si trasformavano in farfalle e cominciò così ad allevarli e a studiarli. Sposatasi nel 1665 con l'artista Johann Andreas Graff, lavorò per mantenere la famiglia ricamando e dipingendo tessuti per le casate nobili e insegnando tali conoscenze alle figlie delle famiglie dell'alta borghesia per le quali inventò e realizzò ll libro dei fiori, un campionario di modelli floreali a cui fece seguito una seconda opera, espressione dei suoi principali interessi: La meravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro peculiare nutrirsi dei fiori.

Il libro più famoso di Merian è però Metamorfosi degli insetti del Suriname, pubblicato ad Amsterdam nel 1705, dopo un viaggio di studio da lei compiuto nel 1699 nel paese tropicale, all'età di 52 anni e di cui la Biblioteca dell'Archiginnasio conserva sia una copia in lingua latina, sia in lingua francese. Il testo uscì infatti con un titolo in latino, la lingua degli scienziati. L'opera suscitò grande interesse ancora prima della sua edizione. Ad Amsterdam al suo ritorno fu organizzata una mostra con tutte le meraviglie che aveva portato con sé dal lungo viaggio.

Per la creazione del volume osservò e disegnò gli insetti che aveva visto e possedeva ancora. Ogni disegno doveva essere poi colorato, trasformato in incisione e quindi stampato. Stupisce il particolare metodo di osservazione, descrizione e rappresentazione di insetti, animali e piante tropicali. Le splendide illustrazioni, infatti, mostrano al centro la pianta nutrice circondata dall'insetto nei vari stadi di sviluppo rappresentati simultaneamente e il formato del libro permette l'incanto della grandezza naturale.

Per i ragazzi dai 7 ai 10 anni sono stati pensati dei laboratori artistici e di stampa a partire dalle tavole di quest'opera. Basandosi sul procedimento da lei usato per comporre le proprie illustrazioni: osservazione, incisione e acquerellatura, i partecipanti potranno iniziare a realizzare un'incisione, movimentare un torchio calcografico, ottenere una stampa e una controstampa da acquerellare e imparare i nomi delle piante e delle farfalle rappresentate. I tre laboratori gratuiti, a cura di Monica Monachesi di Officina fantastica e le Magnificheeditrici si terranno sabato 11, 18, 25 marzo 2023, dalle 10 alle 12.30. La prenotazione obbligatoria si effettua scrivendo a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Leggi tutto...

Renoir, l’alba di un nuovo classicismo

  • Pubblicato in Cultura

Gli occhi  con venature di luce e dall’azzurro intenso, simile al colore dei lapislazzuli usati negli affreschi “antichi” e rinascimentali, teneri nell’umanità che lasciano trasparire, fanno da contrappunto armonico alla distesa blu che si stempera nelle  differenti tonalità del mare e del cielo, nelLa Bagnante bionda di Pierre Auguste Renoir, l’immagine simbolo della mostra che si apre oggi, a Palazzo Roverella, a Rovigo. Dalla macinazione del  lapislazzulo si ottiene un colore chiamato “oltremare”, definito nei trattati di pittura quattrocenteschi, la tinta più perfetta. Utilizzato per il manto delle Madonne e colore simbolico dei reali di Francia, il lapislazzulo è il blu per eccellenza e il più ricercato. I cieli azzurro turchese della Cappella degli Scrovegni e della Cappella Sistina beneficiano delle sfumature di questa polvere di stelle, come potremmo chiamarla per la forza luminosa che  promana. Nella Baigneuse blonde del 1882, appena nominata, compare la modella ventiduenne, Aline Charigot, futura moglie di Renoir, l’artista francese nato a Limoges nel 1841 e che noi annoveriamo nel gruppo d’avanguardia degli Impressionisti.

Ma quella Venere ideale, il cui corpo dalle forme tornite e piene esprime la bellezza della femminilità, è già l’espressione della nuova ricerca stilistica del pittore che, alla fine degli anni ’70, incomincia a porsi numerosi interrogativi e a cercare una luce diversa da quella en plein air, per riprodurre il reale che acquisisce in maniera progressiva nei suoi quadri, un carattere di universalità e atemporalità. La luce di Algeri e della penisola italiana che egli visita nel 1881  lo cattura in  un tour attraverso  luoghi ricchi di storia e  fondamentali per la sua formazione. A Venezia scoprì Carpaccio e Tiepolo, mentre Tiziano e Veronese li aveva già studiati al Louvre. A Roma fu invece colpito dagli affreschi nelle Stanze Vaticane di Raffaello e dal suo Trionfo di Galatea nella villa Farnesina e una lezione importante per il suo percorso artistico è sicuramente la visita di Napoli e al suo museo archeologico. Lo affascinarono il sole sul mare di Capri e di  Sorrento  e le pitture di Pompei. Si matura un’aspirazione classicista, che già era in nuce nella sua formazione e background, e che l’aveva portato ad apprezzare, nel tempo in cui era solamente un “dipintore” su ceramica,  artisti esponenti del rococò, come Jean Honorè Fragonard e Antoine Watteau, ma che prende forma,  negli anni successivi, nel suo apprezzamento per Jean August Dominique Ingres.

Nel 1883 egli legge un libro che sicuramente è fonte di  nuove idee e ricerche formali. Si tratta della traduzione, di Victor Mottez, allievo di Ingres, del trecentesco Libro dell’arte di Cennino Cennini,  di cui egli scriverà addirittura la prefazione per la nuova edizione del testo avvenuta nel 1910. Tra insegnamenti su pennelli, leganti e colori in Cennini, Renoir trova l’ispirazione  per ripensare alle finalità della sua arte e al modo di rendere le sue aspettative. Metterà ad esempio, in un primo tempo, in discussione la bontà dell’uso dell’olio, ma soprattutto, anticipando per alcuni aspetti la volontà di Giorgio de Chirico di ribadire la necessità di un rappel a l’ordre, o se vogliamo  di un ritorno al mestiere, modificherà il proprio stile in senso classico rivolgendo i propri sforzi verso la cura del disegno e la nitidezza delle linee. Ecco allora che le figure dei suoi quadri diventano piene, solide come  le  sculture nel tramonto della sua vita illustrano in modo particolarmente efficace, ma che intuiamo a colpo d’occhio, anche dal confronto  della Bagnante che si asciuga i capelli del 1890 e della  Donna che si asciuga degli anni 1912-14, opere entrambe visibili in rassegna a Rovigo.

Renoir innamorato di una bellezza che aspira all’eternità, nei suoi seimila dipinti realizzati in sessanta anni di vita, morirà infatti nel 1919, ci restituirà, nelle forme materiche dei fiori delle sue nature morte, nei paesaggi con boschi, prati, case e superfici marine e  nei corpi nudi di donne simili a Veneri, la gioia di vivere che nasce dalla contemplazione dell’armonia e della piacevolezza del visibile. La classicità mediterranea  lo guida, come abbiamo visto,  anche  negli ultimi anni di vita, quando  colpito  dall’artrite deformante egli  sarà la mente e lo scalpello degli ultimi ritocchi dell’opera scultorea Venus Victrix, la dea che tiene nelle mani il pomo della vittoria assegnatale da Paride. La scultura modellata nel giugno del 1914 dall’assistente catalano Richard Guaino, allievo di Aristide Maillol e rifinita da Renoir, esprime una monumentalità serena e maestosa. Nell’esposizione potremmo ammirare l’opera precedente a questa: la Piccola Venere in piedi poiché sulla prima pende da poco il dubbio di una sua provenienza problematica. La mostra di Rovigo, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e la produzione di Silvana Editoriale, ha la curatela di Paolo Bolpagni.

 Il confronto con le opere di Giorgio De Chirico e quello fra i dipinti impressionisti di Renoir e quelli degli italiani a Parigi, durante la stagione impressionista, offrono nuove chiavi di conoscenza dell’arte del pittore francese. Il rimando e i legami fra le espressioni artistiche italiane e quelle del paese d’oltralpe sono, come si ha occasione di capire durante la visita, un filo conduttore, un leit motiv dell’esposizione. I paesaggi di Renoir sono posti accanto a quelle di pittori della generazione successiva, quali Carlo Carrà, Arturo Tosi e Enrico Paulucci e il paragone si rinnova con i quadri che raffigurano fiori, soprattutto degli autori sopra citati, a cui si unisce Filippo de Pisis.  Una rassegna che unisce passato lontano e vicino come quando accosta Renoir  a Romanino e Rubens. Si conclude  con Armando Spadini, cantore dell’infanzia e degli affetti familiari, definito da Giorgio de Chirico, un Renoir italiano. Nel 1936 il famoso regista Jean Renoir, figlio secondogenito di Pierre Auguste, diresse un breve film di circa quaranta minuti ambientato nella seconda metà dell’Ottocento, dal titolo Una gita in campagna. Nelle sue inquadrature ritroviamo, come avremo occasione di comprendere nell’ultima sala della mostra, le scene e le atmosfere della pittura del padre, grazie al restauro di alcuni spezzoni della versione originale del film che reca sottotitoli in italiano. A Rovigo avremmo l’occasione di  ammirare accanto ai grandi maestri del passato a cui Renoir si ispiro, quarantasette sue opere provenienti da diversi musei europei.

Patrizia Lazzari, 25 febbraio 2023

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .