Milano, design film festival

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Dal 6 al 10 marzo 2024 avrà luogo l’undicesima edizione di Milano Design Film Festival con la direzione artistica di Cristiana Perrella. Le sedi  dove si svolgerà saranno la Triennale Milano, Anteo Palazzo del Cinema e la  Fondazione dell'Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano. In totale 5 giorni di manifestazione, 30 titoli in programma e 5 premi. La kermesse che è nata nel  2013 racconta, attraverso il cinema nelle sue varie forme, le concezioni più contemporanee del design e dell’architettura italiani e internazionali. Tuttavia l’universo  che si rivela  nel Festival supera le questioni estetiche e funzionali per abbracciare quelle sociali, politiche, etiche ed ambientali e darci così una chiave di lettura per comprendere la realtà in cui viviamo.

“Il mondo del progetto è infatti da tempo in grande trasformazione, sempre più interessato a proporre modelli, a costruire scenari, piuttosto che a fare cose … Molti designer oggi condividono un atteggiamento critico nei confronti delle dinamiche che sostengono un’economia di consumo e le sue conseguenze geopolitiche e propongono esempi di circolarità e integrità … spiega Cristiana Perrella.  I film in programma in MDFF 11 restituiscono in modo sempre più preciso questa trasformazione, anche quando guardano al passato, raccontano storie che parlano di futuro, visioni e personaggi che hanno saputo andare oltre il loro tempo, oltre gli steccati della loro disciplina”.

 MDFF 11 inizia  mercoledì 6 marzo alle 20.00 all’Anteo con Emilio Ambasz di Mattia Colombo e Francesca Molteni, alla presenza degli autori: l’architetto argentino Emilio Ambasz e l’architetto e storico dell'architettura Fulvio Irace. Attraverso la figura di Ambasz e grazie ad alcuni dei suoi più significativi progetti realizzati tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Duemila, il documentario racconta la rivoluzione della Green Architecture.

 Molti i filoni di ricerca rintracciabili tra i film in programma: l’architettura indiana viene analizzata in The Sense of Tuning di Bêka & Lemoine, (Francia, India, 2023, 98’), e in The Promise – Architect BV Doshi di Jan Schmidt-Garre, (Germania, 2023, 90’) film che racconta uno degli architetti più influenti del XX secolo in India e vincitore del Premio di Architettura Pritzker nel 2018.

L’architettura museografica è centrale per Depot - Reflecting Boijmans di Sonia Herman Dolz (Paesi Bassi, 2023, 86’), che considera l’esperienza del Depot Boijmans Van Beuningen, il primo deposito museale completamente accessibile al pubblico, e per In The Mood For Art di Michael Schindhelm (Svizzera, 2023, 53’), che esplora la meraviglia architettonica del museo M+, progettato da Herzog & de Meuron e che ospita la collezione più significativa al mondo di arte contemporanea cinese.

Sono moltissimi i ritratti di progettisti, da Alvaro Siza Vieira: A Tribute to the Master Architect di Augusto Custodio (Portogallo, Brasile, 2023, 61’), che svela la vita e l'opera rivoluzionaria dell’architetto portoghese Álvaro Siza Vieira, a György Kepes. Interthinking Art + Science di Márton Orosz (Ungheria, Canada, 2023, 96’), documentario che costituisce la prima indagine completa sulla vita di György Kepes, precursore dell'arte multimediale.

In alcune pellicole è centrale il passaggio generazionale e lo sguardo dei figli sui padri: in Radical Landscape, di Elettra Fiumi (Italia, Svizzera, 2022, 87’), la regista racconta, dalla prospettiva di figlia, la figura di Fabrizio Fiumi, uno dei fondatori del gruppo 9999 che contribuì a definire la scena dell'architettura radicale.

Ask the Sand, di Vittorio Bongiorno (Italia, 2022, 60’), è il viaggio di un padre e di un figlio alla ricerca di Arcosanti, la città utopica costruita nel 1970 nel deserto dell'Arizona dall'architetto italiano Paolo Soleri, allievo di Frank Lloyd Wright; Skin of Glass, di Denise Zmekhol (Stati Uniti, Brasile, 2023, 90’), è la storia della più grande favela verticale di San Paolo, una torre di di 25 piani progettata da Roger Zmekhol, padre della regista, nel 1968 divenuta oggetto di occupazioni da parte di movimenti che lottano per il diritto alla casa.

Non mancano le esperienze dal taglio sociale come The Architects of Hope: The First Steps of Rebuilding Ukraine, di Paul Thomas (Ucraina, 2023, 60’), film che segue da vicino i principali studi di architettura ucraini impegnati nella ricostruzione delle città devastate dal conflitto in corso, e Where we grow older, di Daniel Schwartz (Canada, 2023, 30’), documentario che esplora come la crescente popolazione anziana stia ridefinendo costrutti architettonici.

La moda e il suo impatto sull’ambiente sono analizzati in Fashion Reimagined, di Becky Hutner (Regno Unito, Stati Uniti, 2022, 110’), che racconta l’incredibile esperienza della fashion designer Amy Powney e del suo brand Mother of Pearl, precursore di un cambiamento sociale e Tactile Afferents, di Formafantasma e Joanna Piotrowska (Italia, 2022, 6’), un viaggio alla ricerca della sostenibilità nell'industria della lana che passa dal tatto tatto e dai gesti come modalità di comunicazione tra esseri umani e animali.

 Non ultima l’esperienza con il cibo di Food & Design, di Mu-Ming Tsai (Taiwan, 2023, 56’), film che offre una prospettiva inedita sul significato e sulle possibilità creative legate al cibo.

Il programma comprende anche talk, presentazioni con gli autori e momenti di approfondimento sui temi dei film come quello dedicato al design degli ambienti di lavoro a cura di DEGW.

A completare il programma due speciali proiezioni fuori concorso: l’attesissimo film High & Low – John Galliano, di Kevin Macdonald (Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, 2023, 116’) in programma per venerdì 8 marzo alle 21.30 all’Anteo Palazzo del Cinema e la première della versione restaurata de L’Inhumaine di Marcel L’Herbier (Francia, 1924, 135’) con sonorizzazione live di Lorenzo Senni, evento di chiusura ad invito sabato 9 marzo alle 19.00 nel Salone d’Onore di Triennale Milano.

Presentato per la prima volta in Italia dopo l’anteprima alla Festa del cinema di Roma lo scorso ottobre, High & Low è un'analisi sincera e intelligente della rapida ascesa, della caduta e della recente rinascita dell’enfant terrible della moda John Galliano. Le interviste con i suoi amici più cari, i familiari più stretti e con celebrità come Naomi Campbell, Penélope Cruz, Anna Wintour, insieme al racconto di John Galliano stesso, ritraggono l'uomo dietro il genio nella sua ricerca di redenzione.

Concepito come prologo all'Esposizione internazionale delle arti decorative di Parigi nel 1925, mostrando il meglio della produzione francese in pittura, scultura, architettura, musica e moda, L’inhumaine è invece testimonianza visiva di uno dei periodi artistici più grandiosi di Parigi e uno dei massimi esempi in cui la sintesi di tutte le arti si manifesta attraverso il cinema.

La proiezione nel Salone d’Onore di Triennale Milano seguirà la premiazione di AFA – Architecture Film Award e DFA – Design Film Award per le categorie Feature e Short, e di MDFF Student Award, prevista alle 18.00. La serata, su invito, vedrà la possibilità di accesso anche ai primi 100 abbonati al Festival che si registreranno alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Per la giornata di chiusura del festival, domenica 10 marzo dalle 15.00 alle 21.00, alla Fondazione dell'Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano, saranno proiettate le repliche dei film vincitori.</p> <p>Biglietti e abbonamenti per Milano Design Film Festival saranno in vendita nella biglietteria di Anteo Palazzo del Cinema o online (<a href="https://anteo.spaziocinema.18tickets.it/">https://anteo.spaziocinema.18tickets.it/) a partire da giovedì 22 febbraio.

Biglietto unico a 5 euro per ciascuna sessione, abbonamento al Festival 15 euro. Per questioni di capienza, I possessori di abbonamento dovranno prenotare il biglietto della proiezione a cui desiderano assistere in biglietteria o online sul sito di Anteo Palazzo del Cinema.

Patrizia Lazzarin, 21 febbraio 2024

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Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone

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Apre al pubblico al Museo di Roma a Palazzo Braschi da martedì 20 febbraio a domenica 23 giugno 2024 la grande mostra “Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

La mostra presenta centocinquanta capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento e si focalizza su quello che è stato il filone artistico più innovativo del tempo e internazionalmente ancora oggi influente: l’ukiyoe. Letteralmente traducibile come “immagini del mondo fluttuante”, si tratta di un genere pittorico nato in epoca Edo (1603-1868)  e che include rotoli da appendere e da srotolare tra le mani, ma anche paraventi di grande formato, dipinti a pennello su seta o carta, oltre a stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta.

La rassegna  è una panoramica sui circa duecentocinquant’anni del paese nipponico, durante  il governo militare dei Tokugawa. Fu un lungo periodo di pace segnato da grandi cambiamenti sociali, economici ed artistici che ebbe fine a metà dell’Ottocento con la riapertura forzata del Paese agli scambi con le potenze occidentali e la Restaurazione Meiji che riportò al centro del potere l’Imperatore. Potremmo ammirare nell’esposizione le opere dei più importanti maestri dell’ukiyoe, più di 30 artisti, a partire dalle prime scuole Seicentesche come la Torii fino ai nomi più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Tōshusai Sharaku, Keisai Eisen per giungere  alla grande scuola Utagawa con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi e Kunisada che rappresentò l’apice e forse anche il dissolvimento del genere.

La tecnica dell’ukiyoe, importata dalla Cina, implementò la diffusione di immagini e libri permettendo una produzione in serie grazie anche al talento degli artisti ingaggiati. La produzione di stampe, infatti, rappresentò un vero e proprio mercato, tantissimi furono gli artisti e i professionisti, tra pittori, intagliatori, stampatori, calligrafi, che lavoravano in atelier sotto la direzione di un editore il quale sosteneva economicamente il progetto, sceglieva artisti e soggetti, e immetteva le opere sul mercato.

La grande novità che l’ukiyoe convogliava erano i soggetti, completamente diversi dalla grande pittura parietale aristocratica al servizio dei potenti e dalle scuole classiche di Kyoto.

A Edo a dettare gusti e le mode era la classe cittadina emergente, composta soprattutto di mercanti arricchiti che, pur non avendo potere politico, cominciarono a permettersi il godimento del lusso e di intrattenimenti di ogni genere. Ukiyo, che fino ad allora era stato inteso nel senso di attaccamento all’illusorio mondo terreno da cui rifuggire, secondo l’insegnamento buddhista, ora prendeva un senso opposto di godimento dell’attimo fugace e di tutto ciò che era alla moda.

In questo senso l’ukiyoe è una testimonianza diretta della società giapponese del tempo, degli usi e dei costumi, delle mode da indossare, dei luoghi naturali e delle vedute urbane più ricercate. Dalle immagini del teatro kabuki con i volti degli attori più affermati fino ai quartieri di piacere ravvivati dalla bellezza di cortigiane e geisha altrettanto note, agli spettacoli di danza, musica e di intrattenimenti con ogni forma d’arte. L’ukiyoe, tuttavia, dietro al racconto di nuove mode e stili di vita, lascia trasparire anche una raffinatezza culturale testimoniata dalla diffusione delle arti intese come discipline formative dell’individuo colto, talvolta utilizzate come espediente per aggirare la censura del governo che vietava soggetti legati a cortigiane e attori, nascosti da artisti ed editori sotto velati insegnamenti morali e moralistici.

La rassegna è coprodotta e organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto Cultura ed ha la curatela  di  Rossella Menegazzo.

Spiega Rossella Menegazzo: “L’ukiyoe, oggi conosciuto in tutto il mondo come il filone artistico giapponese preminente per la forte influenza che ha avuto sull’arte europea dell’Otto e del Novecento, in realtà rappresentò per l’epoca anche un nuovo mezzo di divulgazione - attraverso le immagini e i libri illustrati - di valori culturali nuovi che si andavano imponendo. Dietro a rappresentazioni di un mondo di piaceri e intrattenimenti terreni spesso si celavano insegnamenti, concetti morali e messaggi che venivano passati abilmente, scavalcando la forte censura governativa che voleva colpire il lusso e le classi emergenti. Le opere in mostra ci raccontano quanto quella di Edo fosse una società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma ci raccontano anche l’apertura del Giappone all’Occidente e i rapporti speciali che il paese ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento”.

“Sono felice che il Museo di Roma ospiti una così prestigiosa e rappresentativa selezione di un genere pittorico che ha attraversato i secoli, rappresentando un punto di svolta nella storia dell’arte giapponese e influenzando non solo la cultura nipponica ma quella di tutto il mondo. L’ukiyoe ha influenzato infatti numerosi artisti occidentali, da Van Gogh a Monet, fino agli odierni manga, diventando un ponte culturale tra Oriente e Occidente e Roma, che nella sua lunga storia è stata sempre aperta alle altre culture, rappresenta il luogo ideale per accogliere queste opere straordinarie”, così l’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor.

Accanto a dipinti e silografie sono esposti anche strumenti musicali, giochi da tavolo, un soprakimono (uchikake) e accessori del corredo femminile e maschile alla moda, restituendo così la realtà di molti oggetti d’arte applicata rappresentati nell’ukiyoe e collezionati a fine Ottocento dai primi artisti e professionisti italiani residenti in Giappone.

IL PERCORSO DI MOSTRA

L’esposizione si snoda attraverso un percorso di sette sezioni che accompagnano il pubblico alla scoperta di aspetti molteplici del lungo periodo Edo: culturali, estetici, artistici. sociali, politici ed economici.

Il percorso prende avvio mostrando come la rappresentazione della bellezza femminile (bijin), soggetto centrale dell’ukiyoe, sia diventata veicolo di diffusione non solo di mode e valori nuovi, ma anche di concetti educativi e morali. Le donne di artisti come Utagawa, Toyoharu e Kitagawa Utamaro sono raffigurate impegnate in attività artistiche come la pittura, la calligrafia, il gioco da tavolo di strategia, la poesia e la musica, considerate discipline chiave per la formazione di una persona colta. Il tema della musica è approfondito nella sezione anche attraverso una selezione di strumenti musicali del tempo, che ritroviamo rappresentati nelle stampe, provenienti dalla collezione di Vincenzo Ragusa e Cristoforo Robecchi.

La mostra prosegue con un approfondimento sulle arti performative, da una parte la danza, quella ufficiale eseguita sul palcoscenico sulla scia del successo del kabuki (buyō) e quella popolare, eseguita in occasione di festività e festival (matsuri) lungo le vie, come la danza del Leone per il Capodanno, dall’altra il teatro kabuki, nato proprio nel Seicento, le cui locandine contribuirono ai primi sviluppi dell’ukiyoe. La ritrattistica di attori divenne uno dei filoni più richiesti e attraverso le loro figure si diffusero mode e tendenze. Ma non mancarono anche le vedute dei quartieri del teatro e degli interni dei teatri con gli attori sul palco e il tutto esaurito di pubblico: in particolare Okumura Masanobu fu il primo a introdurre la prospettiva lineare in questo ambito, fino a quel momento assente nella pittura orientale, per restituire la tridimensionalità dello spazio in modo attraente e all’avanguardia per il tempo.

La sezione successiva è dedicata ai quartieri di piacere, sviluppatisi appena fuori città, dove, una volta varcato il portone, non valevano più le regole shogunali ma quelle della moda, della seduzione e dell’eleganza che le cortigiane contribuivano a costruire grazie anche alle finanze dei ricchi clienti. Gli interni delle case da tè, lo struscio lungo la via centrale del quartiere di Yoshiwara a Edo, ma anche la quotidianità della vita di queste donne dei sogni erano i soggetti di grandi maestri come Utagawa Toyokuni, Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusa, Chōbunsai Eishi, Keisai Eisen e tanti altri. Immaginario arricchito per il pubblico attraverso la presentazione di un prezioso soprakimono (uchikake) imbottito color indaco e ricamato in fili d’oro e colorati dalla collezione del Conte di Bardi, alcuni ventagli e accessori come i portatabacco (inrō) e lo specchio da toletta tutti provenienti dalle collezioni del Museo delle Civiltà di Roma.

L’intrattenimento, i giochi e i passatempi sono il focus della sezione successiva in cui si coglie di nuovo il ritratto di una società scandita da attività stagionali all’aperto, passeggiate tra i fiori di ciliegio, sotto gli aceri, per raccogliere i cachi o le conchiglie,  e intrattenimenti serali, passatempi come gare o intrattenimenti con giocattoli e animali domestici. Lavori come quelli di Utagawa Toyohiro, di Utamaro, ma anche di Kuniyoshi, che dedicò intere serie di stampe al divertimento (giga), come ritratti in forma di graffiti, caricature e composizioni arcimboldesche, scene di giocoleria e acrobazia, esplorano in modo unico il godimento di un periodo di pace.

Particolarmente importante nell’ukiyoe è la rappresentazione di località celebri dentro la città e di vedute naturali e architettoniche di tutte le province del Giappone. Queste ultime due sezioni rappresentano un viaggio lungo il Giappone partendo da Edo e dai suoi scorci, per intraprendere, attraversando il Ponte di Nihonbashi (Ponte del Giappone), considerato il “chilometro zero”, un tragitto fino alla capitale imperiale di Kyoto. Guardando alla prospettiva adottata per realizzare scorci di strade, infilate di negozi, interni di ristoranti che dominano le opere di Eirin e Hiroshige, ad esempio, soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, si può evincere l’influenza che le vedute europee, importate dalla prima metà del Settecento, ebbero sul filone artistico giapponese.

 Il percorso espositivo, dunque, lascia percepire quello che era il viaggio attraverso le montagne lungo il Kisokaidō e lungo il mare sul Tōkaidō, per chi si spostava dalle province a Edo, con scenari naturali e vedute del Fuji da diverse angolazioni, più o meno note, del territorio giapponese. È a questa sezione che appartengono i capolavori come la Grande Onda di Kanagawa, parte delle Trentasei vedute del Monte Fuji di Katsushika Hokusai e i tre trittici di Utagawa Hiroshige dedicati ai “Tre Bianchi”, quello della neve, quello della luna e quello dei fiori di ciliegio qui sostituito dalla schiuma delle onde, con le località di Kiso, Kanazawa e Naruto.

La forte influenza esercitata dall’arte giapponese e dall’ukiyoe sulla cultura occidentale di fine Ottocento e inizio Novecento è restituita in mostra attraverso il racconto dell’esperienza unica di due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, che furono invitati dal governo giapponese Meiji di fine Ottocento come formatori e specialisti nei primi istituti di grafica e arte. Essi furono figure-chiave nello sviluppo delle prime professioni artistiche di stampo occidentale, insieme ad Antonio Fontanesi per la pittura e Giovanni Vincenzo Cappelletti per l’architettura.

La conoscenza profonda del Giappone nei lunghi anni di permanenza permise loro di diventare anche collezionisti, formando due tra i più importanti nuclei di arte orientale in Italia, oggi conservati presso il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova e al Museo delle Civiltà di Roma.

In mostra la presenza italiana in Giappone di fine Ottocento e l’affascinante aspetto del collezionismo orientale in Italia sono anche testimoniati da alcuni pezzi appartenenti al Museo delle Civiltà di Roma, acquisiti da Luigi Pigorini e appartenuti al primo Console italiano in Giappone Cristoforo Robecchi e al conte Enrico di Borbone, conte di Bardi, gran parte della cui collezione è oggi al Museo d’Arte Orientale di Venezia.

Patrizia Lazzarin, 20 febbraio 2024

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L’umiltà di San Francesco emerge nel Cimabue restaurato

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La Madonna in trono col bambino, angeli e san Francesco del pittore Cimabue torna nuovamente a rilucere nella basilica umbra dopo il restauro. L’opera  conosciuta come la Maestà di Assisi ha significato anche   in qualità di  documento storico poiché in essa appare  uno dei ritratti più antichi di san Francesco,

Marco Moroni, custode del Sacro convento di Assisi ha evidenziato,  durante la  conferenza stampa di venerdì scorso, come la figura  di san Francesco appaia  in questo affresco più vicina a come egli era noto.

“Vediamo qui un Francesco povero, umile, nella sua semplicità  e con le stigmate a differenza dell’opera della volta delle vele di Giotto, sopra l’altare, dove appare vestito d’oro e servito dagli angeli. Francesco che va incontro a tutti e sente tutti come fratelli. Questa dimensione del santo è quella più vera. Dobbiamo ringraziare  Cimabue per tale interpretazione”.  

Venerdì vi è stata la presentazione e lo svelamento dell'affresco a conclusione dei lavori di restauro realizzati da un'équipe della Tecnireco, diretta dal capo restauratore della Basilica di San Francesco, professor Sergio Fusetti,  grazie al contributo della casa automobilistica Ferrari.

Una pietra miliare perché Cimabue è stato  uno dei primi  protagonisti del rinnovamento della pittura italiana. Secondo lo storico Vasari: con lui la “maniera greca” dello stile bizantino cede il passo a quella “latina”. Compare ora  una nuova naturalezza nelle figure e un’attenzione alla raffigurazione dello spazio. Le  opere realizzate da Cimabue in un arco cronologico che va dal 1265 circa al 1302, anno della sua morte, vengono considerate come  l’immediato precedente di Giotto.

Opinione questa che appartiene già ai contemporanei di Cimabue, come Dante che lo scrisse in un celebre passo della Divina Commedia dove  fa esplicito riferimento alle “novità” e al successo dell'arte giottesca. Nel Purgatorio si legge infatti: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura».

Nella Basilica di San Francesco ad Assisi, diventata il simbolo del rinnovamento della pittura italiana del Duecento a  Cimabue spettano le Storie angeliche  nel transetto sinistro, quelle apostoliche  in quello destro e nell’abside le Storie della Vergine e l’immensa volta coi Quattro evangelisti. Da qui il pittore e la sua bottega passarono nello spazio della navata dove decorarono i sottarchi della quarta campata e la relativa volta colpita dal crollo del terremoto del 1997.

 Il restauro dell’affresco  era  iniziato a gennaio 2023,  dopo  50 anni dall'ultimo intervento, ed è servito un  anno di lavoro per poterlo completare. Databile tra il 1285 e il 1290,  esso è  la prima opera realizzata da Cimabue all'interno della Basilica ed è ubicato  nella parte destra del transetto settentrionale della chiesa inferiore della Basilica.  

  "Sono estremamente grato al professor Fusetti, alla sua équipe e ovviamente a Ferrari - ha detto fra Marco Moroni - per la sinergia che ha permesso di portare a nuovo splendore un'immagine che non è solo un'opera d'arte, ma è, per noi francescani e per tutti i devoti del Santo, un richiamo dall'alto valore simbolico alla figura e ai valori di san Francesco stesso".

"Tutto ciò è particolarmente significativo mentre ci prepariamo al grande centenario francescano del 2026 in cui celebreremo gli 800 anni della pasqua del Santo di Assisi", ha aggiunto il custode. "Il ritratto di san Francesco, rappresentato in questo capolavoro di Cimabue, ci riporta necessariamente alla sua figura storica che manifesta ancora oggi una straordinaria attualità e continua ad essere fonte di provocazioni profonde per ciascuno di noi, per la Chiesa, per il mondo intero", ha concluso fra Moroni.

Durante la conferenza stampa, moderata da Cristina Roccaforte, responsabile dell'Archivio storico del Sacro Convento, sono state  illustrate nei dettagli le vari fasi del restauro.  Il prof. Elvio Lunghi, noto esperto del patrimonio artistico custodito dalla Basilica di Assisi, ha parlato del valore spirituale che la Maestà del Cimabue ha ricoperto lungo i secoli per le comunità francescane del Sacro Convento che hanno più volte manifestato la fedele volontà di conservare l'affresco, proprio per la sua stretta connessione con la vita di preghiera in Basilica.

Patrizia Lazzarin, 18 febbraio 2024


   

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