I giorni di vetro

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I giorni di vetro, il romanzo della scrittrice Nicoletta Verna possiede un linguaggio che si veste di una lamina metallica per tracciare i contorni di un dolore che si tinge di rosso a causa di una violenza a volte mossa da ideali, ma spesso senza ragione. Siamo a Castrocaro, un paese nel cuore dell'Appenino tosco emiliano, in provincia di Forli, città dove è nata anche l'autrice. In questo territorio i vertici fascisti si riunirono nel settembre del 1943 per istituire la Repubblica di Salò, avvenimento poco noto, come ha dichiarato anche Verna, in diverse occasioni.

Poco più di una decina di km separano Castrocaro da Predappio, dove nacque Mussolini. L'uomo nero che spadroneggia sulle vite di donne e uomini è il Fascismo. Il romanzo è cronologicamente costruito negli anni che corrono dall'omicidio Matteotti, nel 1925, fino alla fine della seconda guerra mondiale.

I fili del racconto sono tessuti dalle mani delicate di Redenta, una bambina e poi donna che nella sua essenza e immensa bontà osserva spesso il mondo da lontano. Capace di capire cose che altri non vedono, viene considerata scema. Da piccola non parla e così la credono muta per lungo tempo, più tardi si ammala di poliomelite diventando claudicante alla gamba destra e con una mano poco funzionale.

Lei è la prima di tre sorelle a riuscire a sopravvivere. I neonati partoriti dalla madre Adalgisa prima di lei ora piccoli angeli o folletti, sono i Mazapegul che lei vedrà accanto a se nei momenti vissuti tra la vita e la morte. La sua è una famiglia tremendamente povera nei primi tempi anche a causa di un padre che affascinato dalla guerra e da Mussolini, e dalle mignotte, porta pochi soldi a casa. Poi le cose cambieranno, miglioreranno un po', magari soprattutto per altri, ma Redenta sempre la vedremo trattenere e sopportare i mali del mondo e non credere a nessuna felicità possibile.

I ritratti di Redenta, come della giovane Iris partigiana, di Bruno, Diaz, la madre e molti personaggi sono delineati con uno scalpello da scultore che ne definisce il caratteri e i modi. Essi sembrano palpitare, respirare l'aria dei boschi, noi li vediamo feriti, ci pare di dover raccogliere la loro sofferenza e a volte il loro sangue. Vediamo i luoghi con i loro palazzi e monumenti come Castrocaro e il suo Campanone e la Fortezza. Ne percepiamo l'importanza per chi vi abita, con cui sembrano legarsi per fare un tutt'uno.

E poi il Tempo ... Il tempo della vita e della morte noi lo sentiamo, mentre la narrazione si svolge, travalicare e sconvolgere i confini che ne delimitano i rispettivi territori. Appare dunque la fragilità di Redenta, di Adalgisa, di Marianna, di Iris, dei combattenti anche se su opposte sponde, come Diaz e Vetro, ma lo vediamo in tutti gli uomini e le donne che incontriamo nel romanzo, dove si mostra veloce e imprevedibile il caso che ti salva la vita o l'evento aspettato o no, che ti strappa al mondo. Un mondo costruito sulla sofferenza, sulla povertà per tanta gente.

La violenza diventa un linguaggio essa stessa e come ha scritto l'autrice: la violenza come primordiale e inevitabile forma di interazione fra gli esseri umani. Questa violenza nel distruggere determina il progresso: l'evoluzione è sopraffazione, dunque violenza. Colpisce l'espressività, l'incisività delle parole e delle frasi dove si fa strada in modo naturale anche il dialetto romagnolo. Parole che formano "sistemi" che diventano luoghi, sensazioni, emozioni, dolore, anche il nostro, mentre cerchiamo o speriamo in un esito che faccia cessare quella situazione o tormento.

Vediamo la speranza e il desiderio dei giovani che credono in un domani migliore, che si innamorano e ballano sulle balere improvvisate di Castrocaro. Entriamo in un paesino fra le montagne come Tavolicci dove non ci sono chiese e scuole prima di ... La storia di gente semplice diventa epica, potremmo forse dire che è l'epos di un popolo che lotta per la libertà. E allora i paragoni con la Storia di Elsa Morante si possono pensare.

Concita di Gregorio ha detto che questo romanzo ha come un magnete intorno al quale tutto intorno gravita ... una calma rovente. Parole calzanti che colgono in modo chiaro la potenza di questa prosa dove si stagliano le donne che hanno lottato in modi differenti, durante la Resistenza. La figura femminile in Verna spicca per spessore e positività. La scrittrice ha pubblicato prima di Giorni di Vetro e sempre per Einaudi Il valore affettivo che ha avuto la menzione speciale al Premio Calvino e ha vinto il Premio Severino Cesari e il Premio Massarosa.

Patrizia Lazzarin, 4 agosto 2024

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A casa mi testo

È Jenny De Nucci, attrice e content creator, la protagonista della campagna social per A CASA MI TESTO, il progetto di delivery dei test HIV e HCV di Anlaids Lombardia.

Si sviluppa come  un programma realizzato per rendere sempre più semplice e rapido l’utilizzo dei test salivari HIV e HCV, direttamente a casa, in totale autonomia e anonimato. Fare il test in modo regolare è il modo migliore per garantire sicurezza e salute a tutti e tutte.

“Ho preso a cuore A CASA MI TESTO perché, purtroppo, ho constatato che la prevenzione da HIV è un tema non molto discusso tra i ragazzi della mia generazione. Ho deciso, quindi, di prestare la mia voce per una causa così importante per cercare di sensibilizzare i miei coetanei sul fatto che sottoporsi a controlli periodici e prendersi cura della propria salute è un gesto di amore e rispetto per noi e per gli altri”, dichiara Jenny De Nucci.

La campagna di reel e storie realizzata grazie alla collaborazione con l’agenzia Wannabe parte da una lista di cose che creano disagio nei giovani – come andare a comprare i profilattici – e che Jenny De Nucci spiega essere indispensabile affrontare soprattutto se si tratta di preservare la propria salute e quella degli altri.

 Nel primo reel Jenny De Nucci racconta ai suoi followers che “secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istituto Superiore di Sanità sono aumentate le nuove infezioni tra i 25 e 35 anni. Più della metà delle nuove diagnosi HIV in Italia è tardiva” e per questo motivo – conclude – “fare il testi HIV è una cosa assolutamente normale”.

Nel secondo reel e nelle storie Jenny De Nucci racconta come è semplice fare il test salivare HIV ricevendolo a casa e usufruendo gratuitamente del servizio di consulenza telefonica con un operatore di Anlaids Lombardia prima, durante e dopo il test.

Jenny De Nucci ha iniziato a lavorare nell’influencer marketing circa 15 anni fa, negli anni della velocissima formazione di tutto il segmento. Racconta: sono consapevole del fatto che si tratta di un settore che va curato con grande attenzione ed  è uno strumento estremamente potente e chi fa il mio mestiere ha il dovere di incanalarlo nelle giuste direzioni. Questo progetto è una giustissima direzione. Siamo vicino ai giovani, lottiamo con loro e per loro, per i loro diritti e le loro consapevolezze”.

A CASA MI TESTO è il progetto delivery che prevede la consegna a casa del kit di test HIV e HCV e il counseling telefonico gratuito (al numero 02 33608680/83) di un operatore prima, durante e dopo l’esecuzione del test. Un modo sicuro, facile e rispettoso della privacy per tutti e tutte. I test salivari HIV e HCV sono disponibili su www.anlaidslombardia.it (da 15 euro per 1 test HIV o HCV, 20 euro HIV + HCV, spedizione inclusa, pagamento Paypal o bonifico, erogazione liberale).

All’interno della busta, che non è contrassegnata dal mittente Anlaids, in modo da garantire ulteriormente la privacy del contenuto, ci sono le istruzioni per eseguire facilmente il test di screening che rileva gli anticorpi e che prevede una risposta attendibile e rapida in circa 20 minuti.

Patrizia Lazzarin, 2 agosto 2024

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Il giallo della giustizia: Antonio Manzini

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Giustizia e verità appartengono a un binomio utopico.  Esse si separano facilmente nella ricerca delle soluzioni ai problemi dell’esistenza umana. Una separazione consensuale e ingannevole.  Una Giustizia assoluta e dunque che possiamo scrivere con la G maiuscola, decisa anche nel suono  del suo pronunciarsi, più probabilmente è un’altra cosa  dalla giustizia con la minuscola, quella degli avvocati, giudici, pm …  che la dovrebbero tutelare nei tribunali.  

L’ultimo libro dell’attore, sceneggiatore, regista e scrittore di gialli, Antonio Manzini attraverso una narrazione vivace per gli imprevisti e, al tempo stesso sottile nell’analisi psicologica, mette in scena il teatro “del fare giustizia”. Protagonisti del romanzo edito da  Mondadori dal titolo: Tutti i particolari in Cronaca,  sono un’archivista di tribunale  e un giornalista. I piani del racconto si intrecciano: il diario del cronista di nera racconta altro, allarga, anticipa notizie della storia che Manzini dispiega sulle pagine.

Tra le righe si legge chiara la dicotomia che esiste spesso tra giornalisti e forze dell’ordine che entrambi, per strade diverse,  inseguono  l’agognata verità. Strade che non appaiono come rette infinite, ma possono essere secanti e collidere creando incidenti.

 Carlo Cappai che lavora in tribunale sente lungo i corridoi impolverati le pratiche irrisolte dentro i faldoni  chiamarlo, sussurrare, chiedere aiuto. In quei faldoni tante morti che non hanno trovato Giustizia, tante voci che lo conducono a cercare il colpevole nelle lunghe notti nel suo studio. Il suo lavoro non si conclude in quello spazio. Egli è un uomo che sembra non sentire fatica: un destino di solitudine il suo. Incompreso e in parte osteggiato dal padre che è stato giudice apprezzato e che egli invece considera complice di brutte ingiustizie. Un distacco anche sostanziale dalla famiglia da cui se ne andrà dopo la laurea, facendo più lavori per campare, al confine tra il lecito e l’illecito.

Una compagna di scuola uccisa dai fascisti durante una manifestazione è all’origine della sua scelta di vita e del suo desiderio di Giustizia. Ma le morti sono più, sono altre, anche di persone che non sono assolutamente uno stinco di santo. Dove cercare il colpevole? Si è parlato di giustiziere come nei film, ma la soluzione non si presenta così chiara e mostra più risvolti. Il giornalista Walter Andretti, da poco passato alla cronaca nera del suo giornale conoscerà Carlo Cappai  nel suo viaggio fra archivi di tribunali, caserme,  fra gente benpensante o perbene e prostitute infelici sulle strade del mondo.

Andretti crede nel suo mestiere che gli serve per campare, punzecchiato dai capi redattori del momento, ma determinato a mandare in stampa la notizia che scotta prima degli altri giornali. Nel romanzo ci sono i valori e i sentimenti a cui le persone di sani principi o per altri,  idealiste, non vogliono rinunciare, a volte commettendo errori … che non si possono impunemente dichiarare. Cappai persona enigmatica troverà un “testimone” in Andretti che stima per il suo desiderio di  cercare la verità.

Le soluzioni ai casi di omicidio se sembrano apparentemente risolversi nella prima parte del libro,  in seguito si arricchiscono di ulteriori vicende e particolari capaci di svelare  la complessità della psiche e dei sentimenti dell’essere umano. Manzini si conferma con questo libro uno scrittore capace di suscitare interesse nell’intreccio dei suoi gialli. In prefazione egli riporta una frase di Eric Auebach che può essere utilizzata anche nel nostra  lettura, mentre siamo alla ricerca del colpevole o dei colpevoli. Essa dice: “Il segreto deve essere cercato non esclusivamente nell’intreccio, ma nel narratore”.

Molti conoscono dello scrittore la lunga serie di romanzi iniziata nel 2013  e dedicati a Rocco Schiavone, il  vicequestore della polizia  un po’ borderline, insofferente alle regole.  Cinque Indagini romane per Rocco Schiavone, edito da Sellerio nel 2016,  ha vinto il premio Chiara e il premio della Satira, diventando poi una serie televisiva.

Patrizia Lazzarin, 31 luglio 2024

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