L’inverno fra di noi

L’inverno fra di noi

In queste giornate umide  di gennaio in cui il freddo sembra penetrare  nei pori della pelle, se gettiamo lo sguardo nei giardini che circondano le case, i corpi energici e forti delle gazze, con il  loro piumaggio bianco e nero, ci invitano a seguirle nei loro movimenti e a mirarle per i loro colori contrastanti che sanno scrivere, come un carboncino bianco su una  lavagna di ardesia, frasi che spiegano il  mistero delle stagioni. Due toni, quello chiaro e scuro: neri e bianchi come le loro piume, sono prestabili ai tasti di un pianoforte posto lì nella natura, per farsi suonare da un musicista vagabondo, innamorato di Vivaldi o De Andrè. Osservandole fuori dalla finestra appaiono operose sui rami degli alberi e sui tetti rossi e grigi delle abitazioni. Il loro volo e le loro soste sono attimi di brio. A volte sembrano quasi giungere sul davanzale, lì a due passi dai nostri occhi. Sono momenti che ci fanno stupire della magia naturale che abbiamo intorno a noi. Sono secondi racchiusi dentro una frazione di tempo senza rumore, nello spazio che accoglie le nostre riflessioni ed emozioni.

In inverno, nella stagione dei biancospini, questi uccelli anche per il candore delle tinte chiare del loro piumaggio si legano al colore delle distese dei prati innevati proprio come capita osservando il dipinto  del pittore impressionista Claude Monet. Nella tela intitolata La gazza, la neve carica gli alberi che si alzano con le loro braccia verso il cielo. Il bianco definisce lo spazio e lo riempie come ovatta e tutto diventa soffice. La luce nel suo splendore cadenza così il ritmo del nostro sguardo. Ombre colorate originate dai toni del blu e del giallo costruiscono il sentimento del  paesaggio dove la protagonista solitaria siede sui pioli di un cancelletto di legno. Il fascio di  luce che colpisce l’ingresso che conduce all’abitazione, dove poggia la gazza, lo trasforma in una rampa immaginaria di uno scalone di un grande teatro, illuminato da imponenti lampadari e si diffonde poi, in tante sfumature fino alle parti più alte di un cielo che, qua e là, contiene macchie plumbee. Cosa ci attrae nel quadro? La luce o le ombre, il silenzio o il piccolo volatile che diventa parte dell’incanto niveo? Dove colpisce il martelletto di un pianoforte  posizionato dentro di noi, mentre suona sinfonie che rileggono il nostro passato?

Luci gialle di piccole finestre che nei loro toni sembrano già essere una promessa delle braccia di una calorosa famiglia tracciano il sentiero nel Ritorno dal bosco del pittore divisionista Giovanni Segantini. Qui protagonista  è una donna che assomiglia a una bretone che trascina, da sola, una pesante slitta carica di legna che servirà ad alimentare il focolare. Il quadro di fine Ottocento ci porta in una valle fra le montagne, in prossimità delle case di un isolato villaggio. Pochi colori e pennelli, anche in questo caso, sanno concentrare un sapore prezioso, capace di legare la nostra intimità a quella dell’artista. È un sentire che ci consente di volare sopra la violenza come Marc Chagall nel suo dipinto Sopra Vitebsk, realizzato nel 1914 nel clima della prima guerra mondiale. Voliamo lontano dalle atrocità che riempiono i giornali e le tv con le notizie provenienti dall’Ucraina e dall’Iran, e non solo. Quelle case e mura coperte di neve, nel quadro di Chagall, sembrano pretendere purezza e bellezza  che non si deve macchiare di violenza e sangue.

Chi è quell’uomo, vestito con uno scuro pastrano, con un bastone ricurvo e un grande sacco sulle spalle? Porterà, come un’attesa Befana, speranza e gioia o rovescerà un borsone simile a un vaso di Pandora che contiene disgrazie per gli esseri umani? Forse la risposta auspicabile è che esso incarni le nostre migliori energie perché il Bene come un giovane Golia che non si arrende unisca i suoi assi e vinca. Allora potranno nascere  immagini fuori e dentro di noi che restituiscano integra la bellezza del mondo e la speranza e indichino la strada del Futuro.

Patrizia Lazzarin, 3 gennaio 2023

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