Pittura come Logos della Poesia

Pittura come Logos della Poesia

Ottone Rosai a cavallo delle due guerre mondiali. In Via Toscanella, donne ferme all'angolo della strada, spiccano sul giallo dei palazzi che sembrano arrivare al cielo. Gli edifici ora color senape, ora giallo crema, sfumano nei toni. Sulle loro superfici sono disegnate porte e finestre che si allungano e rimpiccioliscono diventando paradigmi di luoghi solitari. Si respira un'aria di mistero che nasce dallo stupore di trovarsi davanti ad uno spazio che sembra al tempo stesso appartenere al nostro intimo e poi in fretta allontanarsene. La strada limpida per il biancore niveo diventa al tatto, ghiaccio solido. Il dipinto Via Toscanella del pittore Ottone Rosai è uno spazio consacrato all'eternità. Spesso nei suoi quadri ritroviamo quell'attimo sospeso di infinito destinato a rimanere conficcato nel nostro pensiero. In lui si legge la grande lezione di Masaccio che non dimentica l'arte di Giotto e di Cimabue. L'esperienza figurativa del Duecento, Trecento e Quattrocento rimane come dentro un mare, un faro che illumina il suo percorso di artista. Via Toscanella è compiuta nel 1922 a chiusura di quel triennio 1919-1922, per lui fecondo in campo creativo. Sale da biliardo, caffè, osterie sono i luoghi che ama frequentare per cogliere quell'umanità e per narrarla, come spiega Giovanni Faccenda il curatore della mostra che è tornata a riaprire in questi giorni a Montevarchi, nel Palazzo del Podestà. Il racconto non "assomiglia ad una commedia vernacolare ma si distingue come narrativa di spessore universale ove aleggiano affinità con Dostoevskij, Campana e Palazzeschi." Cinquanta opere tra oli e disegni dell'artista fiorentino che si riferiscono tutti ad un periodo preciso della sua vita, compreso nell'arco fra le due guerre, fra il 1919 ed il 1932, saranno visibili fino al 6 giugno 2021. L'occasione offre la possibilità di ammirare dipinti molto famosi, ma anche inediti, provenienti da collezioni private che la tenacia delle ricerche del professor Faccenda fra le persone che ebbero rapporti con Rosai, con i suoi galleristi ed i suoi eredi hanno fatto emergere. Incontro in Via Toscanella del 1922 è la metamorfosi del silenzio della poesia che diventa loquace verbo pittorico. Sguardi muti e rosse bocche serrate esprimono con spirito di sintesi la difficoltà del dialogo fra esseri umani, dentro la via fra quei palazzi, già a noi noti, che diventano ora più scuri nel colore. Per Trattoria Lacerba, ma in genere per molte delle sue opere si adattano mirabilmente alcune affermazioni del saggista e pittore Ardengo Soffici: "questo popolano fiorentino è dei rarissimi, e forse il solo, nella cui anima e nella cui opera si possono ritrovare incontaminati la pura passione per la realtà poetica del mondo e il rispetto per i principi fondamentali e imperituri dell'arte genuina [...] ciò che mi premeva soprattutto di additare al pubblico era ... la squisitezza e la novità del colore, la finezza degli impasti, la sobria energia del disegno, e specialmente l'accento tutto paesano risultante dalla scelta dei soggetti e la maniera casalinga a un tempo sapiente e festiva di trattarli". Ed è proprio nella sapienza nel tratteggiare e comporre piccole riunioni di uomini e donne, coppie isolate o singoli personaggi che leggiamo la cifra stilistica di Rosai, come quando la riconosciamo nell'indolenza dei protagonisti del disegno I giocatori di toppa, ma soprattutto in tutte quelle verità umane belle, ma spesso tristi, quasi fonte di stupore per essi stessi, che ci mostrano nelle loro pose e nei volti. In Collina d'Ulivi e in Piazza del Carmine del 1922 c'è l'immagine di una Toscana antica, quella che, come ebbe a definirla lo scrittore Alberto Savinio, riferendosi alla pittura di Rosai, rappresenta una visione "più fonda, più etrusca". Ma forse nelle tele e nei disegni dell'artista fiorentino riusciamo a carpire anche lo spirito dei tempi, resi così rigidi, poveri e fragili nelle cose e negli uomini dalle guerre e dalle difficoltà economiche e tuttavia, animati da fugaci speranze di miglioramento. Nel 1929 Rosai, nel colmo del suo pessimismo, dipinge I suonatori di Piazza della Passera, dove ritroviamo ancora i muri della vecchia Firenze d'Oltrarno di Via Toscanella e dove rivediamo gli uomini che l'artista amava: sagome silenziose e solitarie della sofferta dignità umana. Pagliaio del 1930 segna il cambiamento dei valori plastici e pittorici di Rosai che cerca ora un chiaroscuro capace di creare una nuova sintesi. Egli vive in quel periodo un momento di transizione che lo traghetterà verso i quadri scuri degli anni del 1934- 1940, dove si timbrano tangibili i ricordi della sua dolorosa esperienza umana, segnata nella sua prima parte dal suicidio del padre nell'acque dell'Arno a causa di difficoltà economiche. Al Caffè del 1937 le figure impegnate nel gioco, nella lettura del giornale o in piedi, nella loro purezza di colore, acquisiscono una sfumatura di trascendenza: traducono un realismo che si è condito del sapore dell'umano. Nel quadro Il ponticino delle monache, sempre dello stesso anno, il colore diventa luce che si riversa sulla tela in vibrazioni: il blu sembra fondersi nel verde e viceversa, in un mondo sospeso dove cielo e terra vorrebbero incontrarsi.

Patrizia Lazzarin, 30 aprile 2021

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