Georges de la Tour. L’Europa della luce

  • Pubblicato in Cultura

Prima mostra,  in assoluto in Italia, a Palazzo Reale a Milano dal 7 febbraio al 7 giugno  dedicata a  Georges de La Tour, pittore  della meraviglia, non intesa strettamente come nella concezione comune dell’arte  barocca, ma rivelatrice di quei sentimenti e di quelle vibrazioni  che cogliamo, non solo dentro le  pupille  delle donne e degli uomini  dei suoi quadri, ma anche nei nostri sguardi che cercano di afferrare i significati profondi dell’umanità rappresentata. Uomini e donne  resi protagonisti dal lume di candela che li proietta sulle scene del mondo. Siano essi,  bari o santi, malandrini o prostitute, vecchi e donne anziane, poveri musicisti o giovani soldati, siamo sospinti, come attratti da una malia, dentro  una ricerca  nelle terse superfici colorate del pittore per scoprire  una  verità umana intrigante o difficile da catturare. Artista misterioso, di cui poco si conosce, il pittore francese, nato a Vic-sur-Seille in Lorena nel 1593,  è stato riscoperto nel XX secolo grazie a  grandi mostre che  hanno rivelato la qualità della sua pittura  al grande pubblico. Prima fra tutte, quella tenutasi al Louvre nel 1934sui  Pittori della realtà in Francia nel Seicento, curata da Charles Sterling e Paul Jamot,  per continuare con la rassegna del 1972 all’Orangerie, dove Jacquies Thuilliers e Pierre Rosenberg hanno definito un catalogo di opere originali del pittore  costituito da circa 31 quadri, ora diventati, con le recenti attribuzioni, circa una quarantina. Una scoperta che ha inizio nel 1915  con lo studioso del Barocco, Hermann Voss che attribuisce tre  opere all’artista, fino ad allora sconosciuto, e che in Italia  diventa noto   grazie al famoso storico dell’arte Roberto Longhi. Pittore del re come si legge in un atto di battesimo del 1639 e  come racconta nel 1751, anche Dom Calmet, il suo primo biografo,  che ci riferisce che egli  donò al re Luigi XIII un dipinto di sua mano raffigurante un San Sebastiano nella notte,  Georges de La Tour trascorse la maggior parte della sua vita in Lorena. Una terra che, fra il 1631 e il 1640, le guerre tra la l’Impero e la Francia resero un  teatro di guerre e di  saccheggi  e dove, ad  aumentare   il senso di desolazione e di rovina, scoppiò la peste. È presumibile che molte delle opere del lorenese siano state disperse, in quei  tristi tempi, nell’incendio di chiese e conventi. Quello che rimane è certamente in grado di restituirci il significato profondo del maggiore pittore francese del Seicento come ha spiegato l’ambasciatore francese in Italia, Christian Masset,  durante la conferenza stampa. La mostra di Milano completa un percorso di gestazione iniziato nel 2008, ma che si è concretizzato negli ultimi tre anni, ha spiegato il direttore del Palazzo Reale, Domenico Piraina. L’esposizione di due tele del maestro francese a Palazzo Marino a Milano nel 2011 che aveva superato per numero di visite anche quella sulla Conversione di San Paolo del Caravaggio del 2008,  testimonia l’interesse per questo pittore, che nella mostra ora in corso viene messo in relazione con i grandi maestri del suo tempo come Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime BigotFrans Hals, Jan Lievens e molti altri,  in un gioco di rimandi assai interessanti per comprendere gli echi e i richiami intercorsi fra gli artisti. Un progetto costoso e complesso che vede il coinvolgimento di 28 prestatori di tre continenti e che annovera, fra di essi, istituzioni museali assai prestigiose come la National Gallery of Art di Washington D.C., il J. Paul Getty Museum of Los Angeles e anche  molti musei francesi come il Musèe de Beaux-Art di Nantes. La mostra  promossa dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira è curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon ed ha un comitato scientifico di notevole spessore  composto da Pierre Rosenberg, già direttore del Louvre, Gail Feigenbaum, direttrice  del Getty Research Institute e Annick Lemoine, direttore del  Musèe Cognacq-Jay. Scienza ed arte, magistero ed intuizione: quali ingredienti fondamentali si mescolano nella pittura del lorenese? Pittore della luce, come suggerisce il sottotitolo della rassegna: Europa della luce. In un interrogativo latente di quanto la sua opera sia imbevuta di caravaggismo, di quel realismo e di quella luminosità che svela, togliendo ragnatele e cataratte dalle nostre pupille, La Tour sfugge ad una definizione univoca. Quelle monete lanciate sul tavolo del dipinto La negazione di San Pietro, una delle sole  tre opere da lui  firmate a noi pervenute, o quelle facce di miserabili nel quadro La rissa tra musici mendicanti  del J. Paul Getty Museum di  Los Angeles, traducono con esiti pittorici per certi versi opposti la lotta umana per la sopravvivenza. Da una parte il pennello del pittore sembra quasi frantumare la pelle dei presenti in mille rughe rivelando la caducità dell’essere umano dall’altra le superfici levigate e le forme conoidi e a mandorla, in cui si potrebbero ad arte  scomporre volti, arti e vesti, rivelano il desiderio di una perfezione che ci trasferisce in un'altra dimensione, che a volte sembra magica. Lo spazio della concentrazione come  nel quadro  dell’Educazione della Vergine del Frick Collection di New York, dove l’interno  non è qui una taverna, e  dove una candela illumina il volto della futura madre di Cristo, sembra trasportarci in modo delicato, in una realtà fatta  di luce che sembra tendere alla perfezione  o meglio ancora  all’essenza delle cose. Infatti spesso le scene di George de La Tour sono spogliate degli orpelli e  gli addobbi e gli elementi che definiscono la poetica del soggetto sono  ridotti all’essenziale per concentrare l’attenzione, con la stessa forza della luce che penetra e scava la superficie delle cose, sulle verità della vicenda narrata.  Le parti del quadro  diventano geometrie in cui possiamo scomporre le scene raffigurate.  I colori come il rosso delle vesti formano una cascata di colore. Il rosso è simbolo di vitalità e  di forza che si sprigiona come energia che fuoriesce dal dipinto. Si origina  una nuova visione della realtà che a sua volta nasce da una diversa interpretazione di essa, come nella Maddalena penitente della National Gallery of Art di Washington che ammiriamo nelle prime sale della mostra, colta  nel momento della meditazione, dentro uno spazio intimo, mentre accarezza con serena pacatezza la forma di un cranio, diversamente da molte rappresentazioni che ne esaltano il carattere di peccatrice. La Tour, vicino ai francescani, nella sua poetica sembra progressivamente cercare nella confusione del mondo verità semplici ed uniche  che traduce in forme nitide e terse, quasi esemplari. E quell’attenzione ai poveri, ad un’umanità di derelitti e non di sovrani e potenti della storia, a quei suonatori di gironda, come quello grande, enorme che appare a Palazzo Reale, è espressione di un sentire che si fa greve e al tempo stesso monumentale della fatica di vivere.

Patrizia Lazzarin, 7 febbraio 2020

Leggi tutto...

Tutte le ore del mondo

  • Pubblicato in Cultura

Incontrarsi nella diversità può essere uno slogan che diventa una verità credibile, non solo un’utopia auspicabile. Gli scatti del noto fotografo francese Gerald Bruneau, da sempre dedito a ritrarre gli aspetti sociali, spesso conflittuali del nostro mondo contemporaneo,  ci presentano al Centro Diagnostico Italiano, a Milano, in via Saint Bon 20, momenti di una giornata, dove i protagonisti sono soprattutto i bambini, quelle giovani marmotte che appartengono alle fasce meno ricche della nostra società, per cui niente è scontato, ma si misura con uno sforzo quotidiano atto a garantire la normalità.  Tutte le ore del mondo. Ritratti di accoglienza, relazione e cura nella Baranzate multietnica è il titolo della mostra fotografica apertasi in questi giorni e che sarà visitabile fino al 30 giugno. Cosa accade a Baranzate? Ci troviamo in un comune alle porte di  Milano,  dove è nato questo  progetto di vita per contrastare la povertà educativa minorile. Nelle foto piccoli bimbi sembrano salutarci con il loro sorriso coinvolgendosi nelle loro attività giornaliere. Appena svegli, durante la colazione, mentre sono a scuola, dal medico o ancora nella lettura delle fiabe e mentre giocano nel parco, fino al momento in cui la famiglia si ritrova alla cena serale: i loro volti, le loro espressioni, la meraviglia e lo stupore, la gioia e le titubanze srotolano, su un tapis roulant filmico, la storia di famiglie provenienti da tutto il mondo. Questo viaggio reale e al tempo stesso immaginario, pur essendo ambientato nel comune milanese, allarga infatti  i suoi confini geografici fino alle terre dello Sri Lanka, del Perù, dell’Ecuador, della Romania, del Senegal, della Somalia e del Marocco. Le storie che raccontano le famiglie ritratte sono diverse, come le culture dei loro protagonisti. Ogni azione della giornata è catturata dai click del fotografo che accosta  immagini  a due a due, unendo gruppi familiari di nazionalità differente, legati dai giochi e dai sorrisi dei più piccoli. Sono proprio loro gli artefici di una storia diversa e possibile: una futura realtà d’integrazione attraverso le lingue, i colori e le abitudini di queste piccole marmotte che tracciano una strada di comunicazione  fra i popoli,  disegnata e costruita  non sulle rotaie o sul grigio e polveroso asfalto, ma sul dialogo. La mostra ideata e curata dalla Fondazione Bracco con l’Associazione La Rotonda e il Centro Diagnostico Italiano è parte di un progetto triennale iniziato a Baranzate nel 2018 e che è stato scelto nell’ambito del Fondo Nazionale per il contrasto alla povertà minorile.  Kiriku – A scuola di inclusione è un piano di promozione  riservato  ai bambini dagli 0 ai 6 anni e ai lori genitori e, gli ambiti in cui  la Fondazione, l’Associazione La Rotonda  e il Centro Diagnostico  si muovono, vanno dalla salute all’apprendimento e alla cultura e cercano di favorire la crescita della comunità attraverso la  partecipazione e la sua crescita autonoma. In questa azione sono coadiuvati  dal Comune  di Baranzate, dall’Istituto Comprensivo Gianni Rodari  di Baranzate, dal  Politecnico di Milano – Tiresia,  dal Museo Poldi Pezzoli, dalla  Parrocchia  Sant’Arialdo  di   Baranzate e dall’impresa sociale Con i Bambini. In Italia, in un territorio di periferia alle porte di Milano, dove l’accoglienza non è più un’utopia, tutto si tinge di colori diversi, ha dichiarato Gerald Bruneau. È sempre una sfida testimoniare, in immagini, la vita in movimento e l’intimità delle persone.  Grazie a questo progetto di mostra, ho potuto accostare empaticamente le vite di questi piccoli Kiriku e ho visto bambini immersi in un mondo multicolore   vivere   senza conflitti le diversità al loro interno, passando con naturalezza dalla dimensione multietnica a quella familiare, che custodisce nei gesti quotidiani identità e tradizioni. In questo programma sono stati coinvolti trecentosettantuno bambini assieme ai loro genitori ed insegnanti.  Da chimica non mi stancherò mai di stupirmi del potere delle reazioni, e del mistero di creare qualcosa di nuovo con ingredienti noti, ha affermato Diana Bracco, Presidente della Fondazione omonima. Il potere di queste piccoli è infatti stupefacente nell’avvicinare realtà geografiche tanto lontane attraverso gesti quotidiani ed abitudini, dove ognuno di loro non perde la propria identità, ma la trasforma in qualcosa di  nuovo come in un ben riuscito esperimento alchemico.

Patrizia Lazzarin, 31 gennaio 2020

Leggi tutto...

Il ritorno della Madonna Litta a Milano

  • Pubblicato in Cultura

Quella manina paffutella di Cristo bambino che stringe il seno della madre che lo guarda con amorevolezza e lo scarto lieve del suo piccolo corpo robusto catturano l’osservatore nel quadro della Madonna Litta, opera di straordinaria fattura stilistica e memore di  un colore che si traduce in luce.  L’opera attribuita a Leonardo da Vinci  nel museo dell’Ermitage di San Pietroburgo  e che è tornata nel tardo autunno a Milano, dove è stata concepita e realizzata negli ultimi anni del Cinquecento, sarà visibile  fino al 10 febbraio al Museo Poldi Pezzoli. Il pulviscolo dell’aria caro a Leonardo e, nelle aperture delle finestre, quelle cime azzurre che si stagliano lontano, ricreano l’atmosfera viva di un paesaggio  che sembra naturale attraversare anche solo con lo sguardo. La fine sostanza dei capelli castani della Vergine, ornati da una preziosa e raffinata acconciatura, incorniciano un volto che possiede la  bellezza che si origina dal piacere per l’eleganza e l’armonia e allo stesso tempo riflette la  dolcezza dell’essere madre. Questo dipinto, uno dei massimi capolavori dell’Ermitage, torna dopo trent’anni nella città meneghina: un fatto eccezionale reso possibile grazie  al sostegno della Fondazione Bracco,  a cui si uniscono la Regione Lombardia e il Comune di Milano. Nella mostra Leonardo e la Madonna Litta sono presentate venti opere: undici straordinari dipinti, sette disegni e due incisioni che furono eseguiti da Leonardo, dai suoi allievi  e seguaci in buona parte durante gli anni in cui egli operava alla corte di Ludovico il Moro. La rassegna, che è stata inclusa fra le celebrazioni nazionali dei 500 anni dalla morte di Leonardo promosse dal Ministero per i beni e  le attività culturali e per il turismo, ha il merito di ricreare quel milieu culturale nuovo che la lezione leonardesca aveva introdotto nel Nord Italia e, in particolare, in area lombarda. Il grande artista fiorentino e  i suoi discepoli più importanti, come Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d’Oggiono e altri, come l’ancora misterioso Maestro della Pala Sforzesca, si mostrano  artefici consapevoli del ruolo intellettuale dell’artista, attenti ad un  diverso uso del colore e ad una concezione dello spazio che rimodula il rapporto con i soggetti del quadro. La rassegna è stata curata dagli  studiosi Andrea Di Lorenzo e Pietro C. Marani e reca gli  importanti contributi delle ricercatrici  Maria  Teresa  Fiorio e Annalisa Zanni. Le analisi diagnostiche: riflettografie ai raggi infrarossi, UV, radiografie, infrarosso in falso colore, rese possibili grazie al sostegno della Fondazione Bracco, che da sempre persegue un impegno che si fonda sulla valorizzazione del rapporto fra arte e scienza, hanno rivelato e in alcuni casi confermato attribuzioni, stili e metodologie di lavoro di Leonardo e della sua scuola, imbevuta di umanesimo e arricchita dal contatto con uomini di lettere. Maria Teresa Fiorio e Pietro C. Marani ritengono  che i due più antichi allievi del genio fiorentino, Marco d’Oggiono e Giovanni Antonio Boltraffio, non solo devono essere considerati i principali diffusori delle novità vinciane già nel primo quinquennio dell’ultima decade del Quattrocento, ma sono anche gli esecutori materiali di alcune pitture uscite dalla bottega di Leonardo, che come tali venivano recepite quali opere originali del maestro, essendo egli responsabile dell’invenzione. La bottega di Leonardo come quella di Andrea Verrocchio, il suo maestro, doveva essere ben organizzata e prevedere diverse specializzazioni per rispondere alle numerose commissioni e richieste. Il committente della Madonna Litta, precisa  Andrea di Lorenzo,  opera che egli invece attribuisce a Giovanni Antonio Boltraffio, pittore di cultura umanistica e di estrazione nobile, fu eseguita per la devozione di un raffinato e facoltoso committente, come indicherebbero la qualità dell’esecuzione e la preziosità dei pigmenti adoperati nel quadro. Il blu oltremare impiegato infatti per il manto della Madonna fu  realizzato con polvere di lapislazzuli che aveva un costo maggiore dell’oro. In mostra i visitatori avranno modo di comprendere  come si attribuisce la paternità di un’opera d’arte vedendo gli strumenti  scientifici adoperati, il significato dei documenti storici e il valore dell’interpretazione stilistica.  La studiosa Zoya Kuptsova,  poi ci spiega nel catalogo,  le vicende dell’acquisizione del dipinto della Madonna Litta da parte dello zar Alessandro II dal conte Antonio Litta, a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, e insieme, anche racconta  le vicissitudini  di alcune rilevanti raccolte private italiane  vendute all’Ermitage, che testimoniano il grande interesse della famiglia degli zar per la cultura italiana. Si illustra la storia  della Madonna Litta che diventa così  testimonianza  dell’apprezzamento  che Leonardo ebbe  da subito nel mondo lombardo, se si considerano  solo  il numero delle  copie  richieste alla bottega e ai suoi seguaci.  L’opera  rimane ancora  oggi non solo icona esemplare  del Museo di San Pietroburgo, ma emblema di un’espressione artistica preziosa, in grado di tradurre il significato dell’umano nelle sfumature  della luce  e del colore.

Patrizia Lazzarin  23 gennai 2020

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .