The last drop, l’ultima goccia

The last drop, l’ultima goccia

Lo scenario è cupo, mostra scene di guerra e terre colpite dalla siccità, vite divise fra bombardamenti e fame. Dalle immagini si origina la difficile domanda: è più grave la morte di  un bambino in Ucraina o quella di  un bambino in Kenya? L’occasione per toccare quasi con mano gli effetti delle crisi globali e degli effetti del cambiamento climatico è la mostra fotografica THE LAST DROP di Fabrizio Spucches, a cura di Nicolas Ballario, inaugurata in questo fine settimana all’Acquario Civico di Milano, con la presentazione dell’Indice Globale della Fame. Spucches ha realizzato più di 90  scatti fotografici che rappresentano soprattutto madri e bambini, ma ci sono anche i volti degli anziani, segnati della fatica del vivere. Essi  sono gli abitanti delle terre del Corno d’Africa e dell’Ucraina. L’ultima goccia, the last drop, è quella versata da un vaso di Pandora che semina disperazione. Due luoghi di vita, non cosi nei fatti: da un lato l’Africa con la sua endemica carenza d’acqua e dall’altra l’Ucraina, dove la sua abbondanza garantisce fertilità, mentre la guerra in corso continua a devastarla. L’acqua è il filo conduttore in ognuna delle due dure storie. Possiamo usare le parole dell’artista ucraino Pavlo Makov  per spiegare quello che queste foto vogliono impedire: l’indifferenza e l’abitudine, dopo un po’ di tempo, alla sofferenza degli altri. Il mondo è diventato per tutti noi un appartamento troppo piccolo. Uno spazio spesso insufficiente, una stanza che ci costringe, in cui le porte nemmeno si chiudono, forse nemmeno esistono più. Se sei in difficoltà dentro la tua stanza, troppo piccola e soffocante, non puoi pensare che gli altri non ti sentano … Perché tutti noi abbiamo due possibilità: morire insieme, o vivere insieme. Un’altra strada non esiste. La guerra in Ucraina ha mostrato i contraccolpi economici anche nella nostra quotidianità tranquilla. Difficile non pensare a conseguenze più drammatiche ad esempio per le popolazioni del Corno d’Africa dove prima del febbraio 2022 si era ad un passo dalla carestia. Gloria Zavatta, presidente del CESVI,  un’organizzazione umanitaria laica e indipendente che si occupa dell’emergenze di fame, educazione e ambiente nei luoghi più poveri del mondo, spiega: Ci domandiamo che connessioni esistono tra una mamma sola che ogni giorno combatte contro la malnutrizione acuta di suo figlio in Somalia con una di Buča che è dovuta fuggire per mettere in salvo i suoi figli piccoli, lasciando un compagno e il figlio più grande nel Paese in guerra?  Entrambe rischiano ogni giorno di perdere i loro cari. Sul viso di ognuna  scorre una lacrima, una goccia …, non quella finale … Una vive in difficoltà da sempre, l’altra ha visto crollare il suo mondo. Qui le pareti delle case rimaste in piedi coprono i resti di una vita quotidiana: libri smembrati, pianoforti divelti, stoviglie in frantumi … La Somalia, il Kenya o l’Etiopia colpite da una grave siccità e da un’agricoltura in ginocchio, negli ultimi anni hanno dovuto importare le materie prime da altri paesi. Ucraina e Russia gli fornivano prima del conflitto il 90% del fabbisogno di grano. Si sono cosi tracciate le coordinate che legano i destini di popoli lontani. Dentro l’azzurro che è il cielo di tutti siamo condotti a vedere oltre gli sguardi di chi ha perso i propri cari e le proprie cose. Occhi resi opachi dal dolore. Giovani, vecchi, donne e uomini coperti da un sacco nero, simbolo di negazione, dove un fiore di girasole, emblema della resistenza del paese ucraino, sembra unire idealmente le loro mani.  E poi verso il Sud, non quello delle spiagge calde assolate e dei mari cristallini, ma vicino ad uomini che per mancanza di cibo si rifugiano nelle droghe. La siccità genera fame e depressione e molti giovani con poco si preparano degli stupefacenti fatti in casa come il qāt che provoca effetti simili all’anfetamina o il  changa che significa letteralmente uccidimi in fretta: un potente cocktail alcoolico a base di metanolo. La presentazione dell’Indice Globale della Fame ha evidenziato come in nove paesi nel mondo  la fame è di categoria allarmante e in  trentacinque è grave. Fra i primi cinque ci sono la Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen. Lo scorso anno le persone denutrite risultavano essere 828 milioni. Questo rappresenta un’inversione di tendenza rispetto ad un decennio di progressi nella lotta alla fame. Porre fino ad essa è solo un sogno o è ancora una possibilità? Nell’Indice Globale leggiamo che il cibo è sufficiente a sfamare tutti gli abitanti del pianeta. Chi soffre la fame semplicemente non vi ha accesso. Per far fronte a  questa battaglia bisogna sicuramente ridurre gli sperperi e non impedire l’esportazione di cibo e di fertilizzanti insieme alla cura di progetti di trasformazione delle economie locali dei paesi in difficoltà.

Patrizia Lazzarin, 5 novembre 2022

                            

Newsletter

. . . .