I grandissimi Van Gogh, Monet e Degas a Padova

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Piccoli scrigni e forzieri ricchi di gioie che emanano  luce e colore sono le opere che sono appese alle pareti  delle sale di Palazzo Zabarella  a  Padova, nella mostra VAN GOGH MONET DEGAS, visibili al pubblico dal 26 ottobre al primo marzo 2020, provenienti dalla Mellon Collection of French Art  del Virginia Museum of Art di Richmond, espressione del gusto raffinato dei coniugi  americani Paul e  Rachel Bunny Mellon, innamorati della natura e di una città che abbonda  di sfumature anche emozionali come è da sempre Parigi. Nella prima sala dell’esposizione i corpi in bronzo di due giovani ninfe scolpite, opera dello scultore francese Aristide Maillol, nella lucentezza della materia e nella proporzione morbida delle forme sono un annuncio alla bellezza che si respira attraversando gli spazi della rassegna che ospita, in esclusiva per l’Italia, oltre settanta capolavori di artisti eccellenti che hanno operato in un arco di secolo che comprende i primi decenni dell’Ottocento  per giungere agli anni Trenta del Novecento. Tante espressioni pittoriche che attraversano il Romanticismo per approdare alle sperimentazioni delle avanguardie che rovesceranno il nostro modo di guardare la realtà: Eugène Delacroix,  Thèodore Gèricault, Claude Monet, Edouard Manet, Edgard Degas, Henry Matisse, Pablo Picasso e molti altri artisti che hanno saputo rendere, usando le parole di George  Clemenceau, uno degli artefici del Trattato di Versailles e amico del pittore Monet, più penetrante la nostra percezione dell’universo. Il percorso espositivo che nasce grazie alla collaborazione fra la Fondazione Bano, che da alcuni anni mostra interesse ad episodi significativi del collezionismo  privato, poi confluiti in raccolte pubbliche di respiro internazionale, e il Virginia Museum of Fine Arts si articola in sezioni dove ogni quadro ci conduce ad un’altra visione, ci porta passo dopo passo dentro la gioia  del reale: sulle spiagge di sabbia battute dal vento  della pittrice francese  Berthe Morisot, lungo le vie di Parigi, in prossimità di  scorci e vie che si perdono in lontananza nelle tele di Maurice Utrillo e di Stanislas Lèpine: nel primo  nella vivacità del colore e nel taglio delle prospettive, nel secondo  nella lucentezza di pietre e acque che nella loro trasparenza, tinta di rosa, sembrano mostrare luoghi dove fermarsi per godere pace e  silenzio.  Il paesaggio e la natura   da sempre emblemi dei  nostri stati interiori, nelle marine di Eugène Boudin sembrano rivelare la loro forza e maestosità. Nella tela: Ingresso al porto di le Havre,  la nave,  al centro, si staglia nel biancore delle sue vele sulle onde increspate mentre  attorno tante imbarcazioni  nei loro colori  sembrano gareggiare con un cielo pieno di nubi, ma comunque luminoso. Mare e isole lontane, acque che recano il fascino dell’esotico nella tela Palme di cocco vicino al mare di Camille Pissarro  riflettono  l’amore dei due coniugi Mellon per i loro possedimenti in Antigua, nelle Piccole Antille. Un amore per la vita, per  la corsa, soprattutto per i cavalli  che della vita sembrano la proiezione veloce del divenire, nei dipinti o sculture in mostra, tra cui sono da segnalare i piccoli bronzi di Degas, espressione degli interessi specifici di Paul Mellon. I fiori, quasi colti dal campo, che con le loro tinte sembrano rifrangere la vivacità dei colori di un arcobaleno nato  sull’azzurro del cielo  dopo un violento temporale, rivelano gli interessi di Bunny innamorata dall’infanzia della botanica. Le margherite di Van Gogh, Il vaso di fiori di Odilon  Redon o il Bouquet di zinnie di Henry Fantin-Latour sono quadri di piccole dimensioni, come molte altre opere in mostra, ma quel piccolo spazio racchiude l’essenza di visioni che si traducono in poesia. I luoghi siano essi marine con poche o tante presenze umane, paesaggi estesi  o vedute ravvicinate concentrano il sentire del poeta-pittore e riflettono la capacità di sintetizzare in un tocco di pennello la bellezza anche delle cose semplici. La materia sia essa grani di sabbia o onda che si frange sulla battigia, brina che diventa ghiaccio come  Sul lago di Marly di Alfredo Sisley oppure  ancora colore che è  sostanza vivente, oggetto, animale  suona le corde della nostra anima come uno straordinario  arpista. Una musica sembra riempire le stanze della mostra con note melodiose.  La  bellezza dei  luoghi  e il loro  eco  sull’animo erano infatti anche  la gioia  dei coniugi Mellon e che ritroviamo nel gusto per gli interni delle  dimore curate e progettate  da Bunny. Paul e Bunny erano una coppia accogliente e riservata che annoverava fra le sue amicizie la regina d’Inghilterra, il principe del Galles e Jacqueline Kennedy. I due coniugi collezionarono molte opere d’arte soprattutto francese che rivelano la loro sensibilità e che sono parte di quelle esposte in mostra a Palazzo Zabarella. I  quadri  di loro proprietà furono poi donati a grandi musei come la National Gallery di Londra, lo Yale Centre for British Art di New Havene  e il Virginia Museum of Fine Arts di Richmond. Il presidente della Fondazione di Palazzo Zabarella, Federico Bano ha citato i molti sostenitori di questa prezioso progetto che accresce il ruolo della città di Padova quali sono BPER Banca, Porsche, Despar, Antenore Energia, Studio Casa e Studio Terrin. Una mostra che ha la direzione culturale di Fernando Mazzocca e la curatela di Colleen Yarger e ci trasporta nei luoghi della vita parigina ma anche nella campagna francese. Un viaggio nei luoghi a volte, in altre occasioni vicino ai volti e alle espressioni del cantore delle anime belle Pierre- Auguste Renoir, come nel Ritratto del figlio dell’artista, Jean, mentre disegna o nelle Giovani ragazze che guardano un album. Chiude la mostra La piccola ballerina di  quattordici anni di Degas, nella sua gonna di tulle trasparente, lungo un corpetto che nella gradazione dei toni dei nocciola giunge al volto brunito concentrato, gli occhi chiusi, assorto nell’attimo che precede il passo di danza. In essa si concentra la magia di un attimo di vita. Quella vita cosi bella di cui sembra brillare l’essenza nei chicchi d’uva di Henry Fantin Latour, anche nei grani  un po’ troppo maturi, più rossi e in alcuni parti tagliati  che come negli uomini  nel trascorrere del tempo  conservano comunque il colore  o meglio  la vivacità dell’esistere.

Patrizia Lazzarin, 25 ottobre 2019

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Orate pro pictora

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Pregate per la pittrice, o più correttamente in latino Orate pro pictora, è la frase con cui si firma l’artista del Cinquecento Plautilla Nelli nel dipinto ad olio dell’Ultima Cena che ora è ritornata sulle pareti di Santa Maria Novella a Firenze, dopo un restauro durato quattro anni. Una dichiarazione estremamente moderna perché Plautilla Nelli era una monaca ma soprattutto perché in quel periodo storico non era consueto indicare l’autore di un’opera. Quell’Ultima Cena che nel movimento degli apostoli intorno a Cristo rivela gli attimi di tensione proprio nel momento in cui Gesù allude al tradimento di uno di loro, Giuda Iscariota, traduce la lettura di questo avvenimento nel pensiero e nell’arte di Plautilla e delle sue consorelle. Un’interpretazione che è testimonianza della vivacità dei conventi, dove spesso giungevano a farsi monache ragazze di ricca famiglia che le vicende patrimoniali dei loro congiunti destinavano a questi luoghi appartati e che diventavano grazie alla loro azione e presenza centri di cultura. Giovani colte e preparate che come nel caso di Plautilla trasformavano i chiostri in luoghi dediti all’arte, alla letteratura, alla filosofia e alle scienze. Ricordiamo ad esempio la badessa del Monte Sainte-Odile in Alzazia, Herrat di Landsberg che promosse alla fine del dodicesimo secolo la prima enciclopedia illustrata della storia o nel quattordicesimo secolo Giovanna Petroni, direttrice nel convento di Santa Maria a Siena di uno scriptorium dedito alla produzione di libri miniati. Plautilla Nelli che fu elogiata nelle Vite del 1568 da Giorgio Vasari, storico dell’arte per antonomasia del nostro Cinquecento, torna in questa antica chiesa che l’ospitava, già da due secoli, quando con le soppressioni napoleoniche l’originario monastero di Santa Caterina da Siena in Cafaggio, dove si trovava il dipinto, venne soppresso e i beni in esso contenuti furono dispersi. Questa collocazione rende Visible come si legge nel titolo del catalogo edito per quest’occasione da Florentine Press, l’artista fiorentina togliendo come nel quadro, dopo il restauro, quella patina nebbiosa e untuosa e quelle ridipinture che avevano cancellato le fisionomie dei soggetti e restituisce così un volto anche a Plautilla. Per le monache e per le donne in generale era veramente impegnativo nel passato dipingere quadri di storia o di argomento sacro poiché non potevano studiare anatomia e non potevano entrare nelle botteghe d’artista che allora sostituivano le Accademie. Il restauro che è stato promosso dall’Associazione no-profit statunitense Advancing Women Artists (AWA) si è realizzato in collaborazione con la Soprintendenza di Firenze e la comunità dei Frati Domenicani di Santa Maria Novella. La fondatrice di AWA, Jane Fortune, scomparsa solo un anno fa, si chiedeva perché non ci siano o siano poche le donne artiste nei musei e nei libri d’arte. Potremmo chiederci tutti: dove sono finite tutte quelle pittrici di cui raccontava l’esistenza Christine de Pisan, donna di grande cultura, nel 1405 nel suo libro Citè des dames (Città delle dame). L’associazione statunitense ha come finalità quella di riportare alla luce e di far conoscere il ricco patrimonio di creatività femminile che è fiorito in Toscana e dal 2009, anno della sua fondazione, ha restaurato sessantacinque opere di artiste di un arco di tempo che copre cinque secoli. Interesse condiviso anche dall’amministrazione del Comune di Firenze che ha insignito della massima onorificenza: il Fiorino d’oro, Jane Fortune, per l’impegno profuso in questa missione. Un’azione profonda e capillare che si è arricchita anche di brillanti iniziative per raccogliere fondi per i restauri come quella Adopte-an-Apostle che figurano nell’Ultima Cena di Plautilla. Il primo ad essere adottato fu San Giovanni, il personaggio reso con maggior dolcezza e circondato dall’abbraccio di Cristo. Gli altri donatori scelsero gli apostoli con il nome dei loro familiari o amici. L’impresa più difficile riguardava l’adozione di Giuda Iscariota. La soluzione fu ottenuta grazie al principio che non importa quanto discutibile sia l’atto commesso, l’autore ha sempre diritto ad un processo e su questo presupposto dieci donatori della Gray’s Inn, una delle storiche associazioni per avvocati britannici di Londra, si sono uniti per finanziare il restauro di Giuda Iscariota, convinti anche dall’avvocato inglese Nicolas Davidson che con ironia, potremmo dire tipicamente inglese, ha dichiarato che gli avvocati come i tassisti sono obbligati a prendere il primo cliente in fila. La tela dell’Ultima Cena costruita da tre pannelli uniti insieme da cuciture ha un’ampiezza di cm 192 x 671 x 6 e i restauri hanno rilevato la caratteristica pennellata di Plautilla, densa di colore, dove i chiaroscuri non sono resi da velature sovrapposte ma da colore a corpo: una pennellata vigorosa. La sua pittura è ispirata ad una essenzialità narrativa che frate Savonarola aveva raccomandato nel suo libro: De simplicitate Christianae vitae, dove dichiarava che i concetti più profondi si celano spesso sotto apparenze umili e dimesse. L’Ultima Cena di Plautilla Nelli è un invito a pensare alla Comunione come a un modo per mettere in relazione i fedeli e Cristo. Il suo dipinto ad olio racconta anche delle fornaci di Firenze a lei coeve e della qualità dei vetri prodotti come bottiglie, calici e bicchieri ma allo stesso tempo mostra su quella tavola elegante l’esistenza nella città fiorentina di esempi della migliore porcellana cinese. Plautilla Nelli dopo la monografica dedicatagli agli Uffizi dove erano visibili quindici delle venti opere, tra oli e disegni a lei attribuiti, torna ad essere una presenza significativa a Santa Maria Novella. Secondo la stima di Jane Fortune ci sono in Toscana ancora 1500 opere di donne artiste esposte o in deposito nei magazzini. Un impegno dunque che continua per Advancing Women Artists che ha curato anche il restauro delle opere di Plautilla Nelli esposte in mostra nel 2017.

Patrizia Lazzarin, 21 ottobre 2019

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Quel foglio con la caduta di Icaro

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Mantova, capitale della cultura, celebra l'artista Giulio Romano in un evento di respiro internazionale.

Il foglio con la Caduta di Icaro, disegnato a penna ed inchiostro  da Giulio Romano per il soffitto della  Camera dei Cavalli, nell’appartamento di Troia di Palazzo Ducale, proveniente dal Musèe de Louvre di Parigi,  racconta storie del mito,  di lotte impari   fra il genio divino e  quello umano  e   ha il merito, piccolo e grande tassello della rassegna, di esplicare  la fantasia creativa del più rinomato e capace allievo di Raffaello: Giulio Pippi, detto Romano. Il disegno con una cornice assai pregiata dipinta dal famoso storico dell'arte del Cinquecento,  Giorgio Vasari,  è visibile, poco distante da uno specchio,  posto sotto l’affresco dell’infelice Icaro, in un appassionato gioco di rimandi figurativi, nella mostra che si inaugura al pubblico  il  sei ottobre nell’antica Reggia dei Gonzaga, una delle più grandi d’Europa per il numero delle sale e che  appare in tutta la sua maestosità, in una giornata di sole nel suo innalzarsi  sulle acque del lago. Il suo titolo Con nuova e stravagante maniera, dalla definizione  dello scrittore delle Vite degli artisti, Giorgio Vasari, condensa i significati  e soprattutto le modalità espressive della pittura del dopo Raffaello. Sulle  ceneri dell’artista urbinate la capacità creativa del suo  discepolo Giulio Romano cercherà la linfa vitale con cui sviluppare tante nuove idee mediante un recupero dell’antico ancora più pregnante. L'esposizione nata in sinergia e con l’intelligente collaborazione  del  Louvre di Parigi, che per la prima volta presta settantadue opere del genio manierista,   permette così di ricostruire il percorso di un artista che giunto da Roma alla Corte dei Gonzaga, già rivela la consapevolezza del suo valore   sia nei timori del duca che si preoccupa  che alcuni progetti  di Giulio siano stati rubati   sia nelle parole di  Vasari  che lo elogia nella sue Vite e acquista  il disegno che vediamo ora in mostra nella sala dei Cavalli a Palazzo Ducale. Quella sua capacità di disegnare, d’inventare lasciando ai  colleghi il colore delle immagini era una necessità continua per Giulio Romano come si può comprendere anche visitando Palazzo Te a Mantova dove si snoda l’altro percorso espositivo a lui dedicato:  Giulio Romano: Arte e desiderio. Le opere che possiamo ammirare a Palazzo Gonzaga sono propedeutiche, esplicative delle invenzioni che vediamo distendersi sulle pareti  e sui soffitti di Palazzo Te e di Palazzo Ducale. Racconti dell’epopea omerica, di storia romana, tratti dalla poesia antica e dalla fantasia del mito riempiono le stanze   e permettono di mettere a confronto l’idea, il disegno con l’opera pittorica o architettonica conclusa. Un’occasione straordinaria come si intuisce dalle parole del direttore del complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova, Peter Assmann, che dall’inizio del suo incarico sognava di concretizzare una mostra sul pittore, architetto e uomo di cultura Giulio Romano. Il progetto elaborato dal comitato scientifico, di cui fa parte assieme a Laura Angelucci, Paolo Bertelli, Renato Berzaghi, Paolo Carpeggiani, Sylvia Ferino-Pagden, Augusto Morari, Roberta Serra e Luisa Onesta Tamassia diventa   un’opportunità anche per rafforzare l’immagine di Mantova come città d’arte in Europa e nel mondo. Nei fogli in mostra, Jean- Luc Martinez, direttore e presidente del Musèe de Louvre indica un’opportunità per conoscere  la trama di relazioni intessute da   Giulio con i  suoi più stretti collaboratori,  a cui affidava le sue “idee” e disegni: Fermo Ghisoni, Rinaldo Mantovani e soprattutto Giovan Battista Bertani che dopo la sua morte  assumerà la direzione dei lavori del Palazzo. Altre collezioni museali italiane e straniere hanno prestato assieme  ai disegni anche dipinti e arazzi come il Victoria &Albert  Museum di Londra e l’Albertina di Vienna. Lungo le sale  dell’antica reggia possiamo ricostruire nella loro fase di progettazione tutte le attività e i cantieri  seguiti dall’artista sia nel territorio mantovano sia in altre regioni, nei palazzi  e nelle chiese o nei disegni per arazzi come i Trionfi di Scipione per il re di Francia, Francesco I, portati oltralpe dal suo allievo Primaticcio. Un tracciato a serpentina  di luoghi e momenti clou   che iniziano dalla sua collaborazione romana con Raffaello nelle Stanze del Vaticano, nella villa del banchiere Agostino Chigi o nella loggia di Villa Madama, commissionata dal papa Giulio II, fino a comprendere l’intero arco  ventennale della sua permanenza a Mantova. Le invenzioni di Giulio Romano si esplicano in  campi diversissimi, anche in quello dell’arredamento  come può essere uno degli oggetti  realizzato per la mostra sull’antico  progetto del pittore. Nell’appartamento   della Rustica vediamo tanti disegni di architetture destinate  alla costruzione  di Palazzo Te dove spiccano nella loro luminosità,  fra la forza espressiva data dal bugnato e dalla solidità delle colonne doriche, la bellezza di  luoghi chiusi che si relazionano in maniera armonica con l’ambiente. Un arazzo  in lana e seta con Giochi di putti svela il nascere progressivo  in epoca rinascimentale di un interesse  per un amore più libero, sciolto dai vincoli dell’idealizzazione  di stampo petrarchesco  che  lascia maggior spazio alle forme d’espressione.  Questo pezzo  è di eccezionale valore storico, come si legge nella scheda dell’opera di Claudia Bonora Previdi, nel catalogo  edito da Skira, perché è il primo soggetto di questo genere voluto da Federico II Gonzaga e disegnato dall’artista Giulio Romano. Una Venere fra mille Amorini intenti a giocare, pescare e cogliere frutti dai rami mentre un Satiro seminascosto la sta spiando. Alcuni acquerelli colorati, uniti insieme, visibili in mostra mostrano la bellezza di puttini che catturano una lepre: sono opera di Giulio Romano che poi vediamo  riprodotta al centro dell’arazzo.  Le sfumature di colore rendono la consistenza della materia: il rosa delle carni, il piumaggio delle ali e il pelo dell’animale. Ancora una volta un’occasione per vedere il processo creativo dall’inizio alla sua realizzazione: dall’arazzo all’acquarello del particolare, dal disegno-progetto d’insieme all’arazzo. A Palazzo Te la mostra Arte e Desiderio, promossa dalla Fondazione Te e Comune di Mantova, in collaborazione con la casa editrice Electa ha come protagonista l’erotismo nell’arte e propone ai nostri occhi modi nuovi di pensare al corpo e alla sessualità nel Rinascimento. La statua di Venere acefala,  emblema dell’amore, appartenuta allo stesso Giulio Romano grande collezionista di opere antiche,  ci introduce nella prima sala alla celebrazione della bellezza femminile e al desiderio che essa  suscita. L’esplorazione del mondo statuario e scultoreo classico favoriva negli artisti la scoperta di nuove forme, di soggetti ed atteggiamenti inusuali che si riflettevano  sul modo comune  di pensare  provocando anche decise reazioni. La storia dei Modi, di cui si riproduce nella mostra una copia, lo spiega. I disegni di pose erotiche realizzati da Giulio Romano, commentati da Pietro Aretino in maniera licenziosa  e infine stampati da Marcantonio Raimondi causarono l’arresto di quest’ultimo. L’insofferenza per un amore platonico e al contrario l’inclinazione verso una bellezza che si traduce in desiderio carnale è anche il fil rouge di questa mostra su Giulio Romano che esplora le diverse inclinazioni del sentire amoroso. Il progetto scientifico curato da Guido Rebecchini, Barbara Furlotti e Linda Wolk-Simon si concentra sul tema della rappresentazione del desiderio che si esplica nel Palazzo Te in più parti, dalla Camera di Ovidio a quella di Amore e Psiche e che culmina nelle sale finali con la visione di quadri straordinari. Quadri che chiudono un’epoca e che precedono  i nuovi dettami della Controriforma del Concilio di Trento di lì a pochi anni. Si “scopre” il corpo femminile sia nel quadro della Fornarina di Raffaellino del Colle sia nella Cortigiana di Giulio Romano. Le due tele appaiate sulla parete fanno emergere una diversa interpretazione del nudo, che nel pittore della corte dei Gonzaga non ha timore di mostrare la naturalezza, quasi invitante, con cui si presenta allo sguardo dello spettatore la donna vestita di trasparenze e gioielli. In maniera diversa nella sanguigna con Venere e Adone destinata alla Stufetta del Cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena nel Palazzo Apostolico, Giulio Romano racconta un eros intriso di passione e bellezza. Dopo la censura dei Modi e il sacco di Roma nel 1527 gli artisti attingono dal mito e in particolare dalle Metamorfosi di Ovidio, per esprimere la potenza della passione amorosa. Michelangelo, di cui si riproduce in mostra una copia del suo disegno di una Leda con Giove trasformato in cigno, accanto all’eros mostra  nella scelta della figura del dio  anche un simbolo del potere apprezzato dalla committenza aristocratica. I nostri occhi si sgranano sulla materia del quadro che sembra sempre più splendente, ne I due amanti di Giulio Romano, opera emblematica del mondo d’intendere  l’ars amandi del pittore, dove giovinezza e piacere erotico dei due amanti  sembrano staccarsi per forte contrasto dalla donna anziana che si nasconde dietro la porta. La tela che proviene dall’Ermitage di San Pietroburgo torna a Mantova dopo trent’anni per questa mostra, dopo essere stata cinque secoli fa l’occasione  per Giulio Romano di farsi apprezzare dal Duca di Mantova. Più vicino ad una sensibilità raffaellesca è invece l’arazzo posto accanto ai Due amanti, Visione di Aglauro nella camera matrimoniale di Erse, del Metropolitan Museum of New York che nella delicatezza delle trame racconta la storia d’amore di Erse  con Mercurio, con un’imagerie e una sensibilità adatta a giovani fanciulle dove  Cupidi e angeli  sembrano confondersi. Le grandi aspirazioni dei Gonzaga e le loro importanti relazioni con l’imperatore Carlo V, si traducono  nella tela con la Danae di Correggio, ultima opera visibile in mostra  e uno dei quattro dipinti regalati al monarca che dominava su un regno su cui  si diceva non tramontasse mai il sole. Qui  la bellezza del corpo femminile si esprime nella straordinaria delicatezza delle forme.  Il  sindaco  di Mantova Mattia Palazzi ha ricordato il conferimento della Medaglia  del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’iniziativa  di portata internazionale che si concluderà il 6 gennaio 2020 e che ha avuto fra i tanti sostenitori come sponsor principale  la Banca Intesa Sanpaolo.

Patrizia Lazzarin, 6 ottobre 2019

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