La solitudine di Francesco

Papa Francesco un riformatore in ritirata, titolava Libération l’analisi a commento di Querida Amazonia, l’esortazione apostolica post sinodale attesa dal mondo più per capire se ci sarebbe stato il via libera all’ordinazione di uomini sposati che per condividere drammatici appelli sul futuro della grande foresta e di chi la abita. A corredo dell’articolo, il quotidiano della gauche francese pubblicava una foto eloquente: la poltrona bianca del Papa vuota, minuscola nella vastità dell’Aula Paolo VI. E di cose così se ne sono viste tante, in quei giorni: Francesco a capo chino, volto marmoreo, serissimo con lo sguardo puntato all’orizzonte. E si leggevano paragoni forti e impegnativi: Querida Amazonia come l’Humanae vitae di Paolo VI, che dopo quel testo con cui resistette alle pressioni novatrici che volevano ottenere il placet papale alla pillola, decise di non scrivere più nulla, osservando quasi rassegnato il fumo di Satana che s’intrufolava nel cuore della cristianità e guardando il “Sole che inesorabilmente tramonta”.

Francesco, con l’esortazione, ha fatto quel che nessuno si sarebbe aspettato: non ha accolto le istanze più divisive ma votate a grande maggioranza dai padri sinodali che lui stesso aveva convocato a Roma. I padri gli chiedevano di autorizzare l’ordinazione di capifamiglia per assicurare i sacramenti nei villaggi dell’Amazzonia e di aprire finalmente alle diaconesse. Nel documento del Pontefice, neanche una riga in merito. Anzi: si ribadisce che l’unico a poter consacrare l’eucaristia resta il sacerdote. E’ fondamentale, ha scritto Francesco, che della faccenda non si faccia una mera questione numerica: serve pregare e lavorare per le vocazioni. Dalla Germania, dove nei mesi scorsi qualche vescovo profetizzava grandi cambiamenti per la chiesa derivanti dalle decisioni amazzoniche – “Niente sarà più come prima”, assicurava mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen – sono giunte grida disperate, di delusione suprema per quanto il Papa aveva deciso. Il vescovo di Stoccarda, mons. Gebhard Fürst, affidava a Twitter il suo scoramento, assicurando però che di tutte le questioni spinose si sarebbe discusso eccome nel Sinodo tedesco, quello biennale e “vincolante”, che a fine gennaio ha tenuto la sua prima grande conferenza a Francoforte. E poco ha potuto fare per fermare lo scoramento mons. Victor Manuel Fernández, teologo di fiducia del Papa e ora vescovo di La Plata, spiegando che in realtà nessuna porta è chiusa e che si continuerà a camminare su un sentiero tracciato. 

Scenario plausibile, se non fosse che l’imprimatur papale alla rivoluzione era atteso ora, non in un domani indefinito. Viri probati, donne diacono, uomini idonei e riconosciuti dalla comunità con famiglia legittimamente costituita e stabile e diaconato permanente: niente di tutto questo trova spazio in Querida Amazonia. Subito, dagli estremi – destra e sinistra – sono piovute critiche al Papa: se da una parte si chiede dove sia finito il suo coraggio, dall’altra si biasima la presunta ambiguità, quel detto-non detto che non risolve apparentemente nulla. E lui, Francesco, in mezzo, silente. L’esortazione “mi ha sorpreso ma non mi ha deluso”, dice al Foglio il vaticanista Luigi Accattoli: “Avevo scommesso che avrebbe dato risposte almeno parziali, o iniziali, di avvio di processi, come Bergoglio ama dire, alle proposte riformatrici del documento finale e ho perso la scommessa. Ma non sono deluso perché quelle proposte non sono state accantonate e restano in attesa di risposta: una risposta che è stata rinviata ma non è stata negata”. Francesco è isolato, ora? “Non credo che lo sia. Ha recuperato anzi una centralità che era venuta in discussione negli ultimi tempi. Certo ha perso qualche sbandieratore di sostegno, ma non credo sia una perdita vasta né preoccupante”. Quanto al paragone con Humanae vitae, “anche io nel mio blog l’ho svolto”, dice Accattoli, “che è improprio ma è utile a chiarire come sia cambiato il ruolo del Papa in questo mezzo secolo: non è più necessario che il vescovo di Roma chiarisca e decida tutte le questioni che gli vengono poste. Lo considero un cambiamento positivo”. Fa mea culpa R. R. Reno, direttore del magazine americano First Things. In un editoriale apparso online poco dopo la pubblicazione dell’esortazione, Reno s’è detto felice di essersi sbagliato rispetto a quelli che erano i suoi presentimenti: “Temevo che Papa Francesco avrebbe autorizzato il clero sposato nella regione amazzonica, cosa che avrebbe creato un precedente sicuro per quanti desiderano cambiare il sacerdozio in tutto l’occidente. Non ho mai dubitato della forte volontà del Santo Padre”, aggiunge il direttore di First Things: “Temevo che il Papa avrebbe usato la sua energia e la sua tenace determinazione per minare la disciplina del celibato sacerdotale; disciplina che serve nella chiesa, nel ricco mondo dell’Europa e dell’America del nord, come unica resistenza visibile alla rivoluzione sessuale. Davanti alle pressioni per aprirsi al ‘cambiamento’, Francesco ha mostrato un impegno costante nei confronti della saggezza spirituale della chiesa latina, non diversamente dal coraggioso rifiuto di Paolo VI, intimidito dagli ‘esperti’ nel dibattito sulla contraccezione”. 

Querida Amazonia va letta e compresa nella sua integralità, spiega Reno al Foglio: “Papa Francesco ha sempre manifestato vicinanza alla pietà popolare, che spesso è ‘tradizionale’, se si può usare questa parola. In questo senso, l’esortazione non sorprende chi ha seguito da vicino il suo pontificato. Tuttavia, negli ultimi anni, il Pontefice si è anche segnalato per un certo rilassamento di alcune norme della chiesa: il caso del divorzio, del nuovo matrimonio con conseguente riaccostamento alla comunione, è l’esempio più eclatante. Querida Amazonia suggerisce fermi limiti allo spirito di sperimentazione di nuove forme e vie di sviluppo. E questo è forse un ‘punto di svolta’, anche se a mio giudizio Papa Francesco è più intuitivo che sistematico nelle sue valutazioni, per cui suppongo ci saranno molti ‘punti di svolta’”.

Robert Royal, presidente del Faith & Reason Institute, osserva che “per il Papa l’ambiente era il punto centrale del Sinodo. Certo, è vero che si discuteva molto di viri probati e diaconesse, particolarmente tra i media. Ma non era chiaro, fin dall’inizio, perché bisognasse trattare i due temi nello stesso Sinodo. E come ho scritto nel mio articolo ‘Amazonia Dreaming’ su The Catholic Thing, non sono convinto che di viri probati e diaconesse non si discuterà più. E’ giusto che il Papa non abbia dato il via libera, tra l’altro sulle donne il suo giudizio è molto tradizionale. Poniamo però il caso che un vescovo ‘estremista’ in Brasile o in Germania dica che servono e il rapporto finale del Sinodo dà quella possibilità. 

Lui ordina i viri probati. Cosa farà in quel caso il Papa?”. Quanto a un Pontefice isolato, “non si tratta tanto di questo”, dice al Foglio Royal, “quanto di essere a un punto molto delicato: i cattolici tradizionalisti non hanno molta fiducia neppure di un’esortazione che è molto migliore rispetto a quanto si attendevano. I progressisti, dal canto loro, lamentano la ‘mancanza di coraggio’ ma intanto stanno già pensando ad andare oltre l’esortazione, soprattutto nei paesi anglosassoni. E in un certo senso hanno ragione, perché la porta non è chiusa. Rimane tutto com’era. Credo che il Papa abbia deciso – o quantomeno ha dato questa impressione – di aver rinviato la decisione su tali questioni, una posizione che però non piace a nessuno”.

E’ la “terza via” che parecchi osservatori hanno delineato, dal The Tablet all’italiano Il Regno, con un editoriale pubblicato sull’ultimo numero. Scrive il direttore Gianfranco Brunelli che “Querida Amazonia potrebbe scontentare un po’ tutti. Una grande attesa, caricata di aspettative, poco importa da parte di chi, finisce per retroagire negativamente sull’evento stesso. L’attesa più che il contenuto ne determina il criterio ermeneutico. E’ quel che succede qui da noi (diversa è la recezione latinoamericana) circa l’esortazione post sinodale pubblicata il 12 febbraio”. “Il documento – prosegue – affronta alcuni (non tutti) dei nodi presi in carico dal Sinodo: dallo sfruttamento del suolo, all’ingiustizia economica, ai diritti delle popolazioni indigene, alle necessità pastorali delle comunità. Ma è su quest’ultimo punto, e segnatamente sulla questione dei ministeri, che l’attenzione europea-occidentale si è concentrata. 

Ai ‘conservatori’ non basterà quella che appare una frenata del Papa. Ai ‘progressisti’ appare come una smentita del Sinodo panamazzonico. Là dove il Documento finale sinodale ha aperto a larga maggioranza in determinati casi al sacerdozio uxorato, il Papa non ha rilanciato. Il Papa non ha detto sì, ma ha ribadito che ‘occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale’, affinché ‘i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita’. C’è in realtà un’apertura in via d’eccezione lasciata al discernimento delle chiese locali, ma non una modifica della disciplina generale. Più spedita l’accoglienza del rito amazzonico”. A giudizio di Brunelli, insomma, “il Sinodo panamazzonico ha aperto un processo e il Papa ha lasciato aperto il processo. La mens del documento è infatti la questione sinodale e il peso da dare ai sinodi anche in rapporto agli interventi papali nelle esortazioni post sinodali. Questo è il centro”. A ogni modo, secondo Accattoli, sui temi più delicati e controversi all’ordine del giorno “il Papa ha frenato. Quantomeno nel senso di un rinvio e della scelta di una più lunga e vasta istruttoria. Almeno così credo di capire”. Di certo, nella genesi di Querida Amazonia, potrebbe aver giocato un ruolo non indifferente il percorso sinodale tedesco, che ha già subìto la reprimenda romana: prima con la lettera del Papa al popolo di Dio che è in Germania, quindi con le missive del cardinale Marc Ouellet e del presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, mons. Filippo Iannone. Ha inciso la posizione della Conferenza episcopale tedesca sulle decisioni di Francesco rispetto all’esortazione? “Sì, ha inciso”, risponde Accattoli. 

“Immagino che dietro il rinvio delle decisioni amazzoniche sui diaconi sposati e sulle donne diacono vi sia l’intenzione papale di un analogo rinvio delle verosimili analoghe richieste che verranno dal Sinodo tedesco. E’ come se Francesco avesse accolto l’istanza fatta valere dalla minoranza del Sinodo amazzonico sulla necessità che questioni che toccano tutti debbano essere vagliate da tutti. Magari risolte dal Papa ma dopo un’istruttoria universale e non solo regionale o nazionale”. A giudizio di Robert Royal, “il detto del Papa secondo cui ‘bisogna avviare processi e non dominare spazi’ – ha in qualche modo incoraggiato la minaccia tedesca. Come in altri casi, Bergoglio ha iniziato cose che non può controllare. E’ lui che Accattoli: sui viri probati “ha frenato, ma ha recuperato una centralità che era venuta in discussione negli ultimi tempi”. “Penso che il Pontefice pensasse a quanto accade in Germania mentre scriveva l’esortazione”, dice R. R. Reno, direttore di First Things ha preconizzato una chiesa del futuro meno centrata su Roma, in cui le conferenze episcopali potranno decidere su vari argomenti con conseguenze globali. Un errore, perché non si è data la giusta attenzione ai possibili conflitti in una chiesa molto divisa. Francesco ha cercato di controllare i processi tedeschi, senza riuscirvi”. Ed è proprio l’aria che tira in Germania, secondo R. R. Reno, ad aver influenzato il Papa: “Penso che stesse proprio pensando al ‘percorso sinodale’ in corso in quel paese quando ha posto limiti chiari alle innovazioni attese nella disciplina riguardante l’ordinazione dei sacerdoti e l’ammissione delle donne al diaconato. 

E’ tipico dei gesuiti – aggiunge il direttore di First Things – incoraggiare iniziative indipendenti e Papa Francesco sta incoraggiando questo spirito di iniziativa in vari paesi e regioni. Ma è anche tipico dei gesuiti tirare di tanto in tanto la corda che ci lega alla tradizione apostolica. Questo sembra stia accadendo nel suo rapportarsi alla chiesa tedesca”. 

E ora, siamo a un punto di svolta del pontificato? Secondo Robert Royal, sarebbe stato preferibile organizzare il Sinodo in Amazzonia. Farlo a Roma ha dato l’impressione – e il Papa l’ha detto apertamente – che l’Amazzonia sia il modello per la chiesa universale. Dunque, la possibilità d’ordinare uomini sposati in un contesto particolare – decisione limitata e pragmatica – si presentava come un cambiamento potenzialmente molto radicale. C’è chi cercherà di portare avanti quelle istanze”. Si può sostenere che con Querida Amazonia è terminata la spinta propulsiva riformatrice del pontificato? “No”, risponde Accattoli. “Il recupero di centralità tra le istanze che hanno il Papa come destinatario è un recupero di forza e quindi anche di spinta propulsiva. Il recupero comporta nell’immediato un rallentamento delle iniziative innovatrici, ma la direzione dell’azione complessiva resta di segno riformatore”.

Andrea Matzuzzi - Il Foglio - 22 febbraio 2020

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Ulisse, l’arte e il mito

  • Pubblicato in Cultura

L’Odissea è il racconto del viaggio di Ulisse, ma al tempo stesso è la metafora  del desiderio di conoscenza  dell’essere umano e del suo  spirito estremamente  vitale d’avventura. Nello spazio ampio dell’ex chiesa di San Giacomo Apostolo e nelle sale dell’antico convento domenicano della città di Forlì, si narra la vicenda di Ulisse, dell’eroe omerico che seppe, con l’astuzia, mettere la parola fine all’assedio della città di Troia, durato dieci anni, a seguito al rapimento da parte del giovane Paride della bellissima e contesa Elena, moglie del re greco Menelao.  In fondo alla lunga navata della basilica, il Cavallo realizzato in alluminio dall’artista contemporaneo Mimmo Paladino, nel suo colore grigio che rimbalza con i toni chiari delle pareti dell’edificio, sembra far ripartire la moviola di una narrazione antica e far scorrere davanti ai nostri occhi le vicende che portarono alla conquista della città troiana. Immaginiamo scendere i soldati da quel cavallo e …  restiamo bloccati ed esterrefatti a guardare il bel calco del XVIII secolo dei Musei Vaticani del sacerdote Laocoonte, di cui ci narra Virgilio nell’Eneide, che cerca invano di far comprendere ai troiani il pericolo e viene stritolato assieme ai  figli, fra dolorosi contorcimenti, dalle spire dei serpenti inviati dalla dea Atena, favorevole alle sorti dei Greci. Ulisse. L’arte e il Mito la mostra che si e’ aperta nell’antico monastero forlivese e che sarà visibile fino al 21 giugno, racchiude il significato universale di questo eroe greco che è diventato nei secoli un simbolo in grado d’incarnare i valori o meglio il sentire della civiltà antica e al tempo stesso di quella moderna. Eterno viaggiatore, il suo ritorno a casa nella sua cara Itaca,  è lungo e costellato di avventure in luoghi che mescolano reale e fantasia, vicino a maghe e ninfe, tentato dal canto delle sirene, prima di poter riabbracciare la moglie Penelope e il figlio Telemaco, insidiati dai Proci che vogliono usurparne il potere, sposando Penelope. La donna, come tutti sanno, resiste tessendo quella famosa tela, diventata un simbolo della perseveranza e della fedeltà femminile. Duecentocinquanta opere in mostra, dall’antico al Novecento, provenienti dai più famosi musei nazionali ed internazionali, alcune mai uscite dalle loro sedi originarie, sono i tasselli di un mosaico che testimonia l’accoglienza e l’attenzione riservata alle vicende del poema omerico e  ai suoi protagonisti nella cultura occidentale. Accanto ad Ulisse incontriamo Penelope, la maga Circe, il mostro Polifemo, la ninfa  Calipso, le Sirene che ammaliano con il loro canto  e l’Olimpo degli Dei, da Zeus a Poseidone, da Afrodite ad Atena, che diventano emblemi dei vizi e delle virtù degli esseri umani. Sensibilità, idealità, convinzioni diverse nei secoli saranno espresse dagli artisti e dagli scrittori, che nella pittura, scultura, nelle pagine miniate, nella poesia e nei trattati di scienza, riserveranno spazi maggiori o minori alle diverse figure del mito di Ulisse, ai suoi compagni di viaggio e di vita. L’idea del viaggio, soprattutto nei mari che appaiono infiniti, ci suggerisce, appena entrati negli spazi della mostra, la nave greca di Gela del V secolo a.C., che dopo una lunga permanenza nelle profondità delle acque marine, possiamo ora ammirare in parte, miracolosamente ricostruita. Essa diventa quasi  il simbolo della parabola esistenziale di Ulisse, ma può essere  anche il comune denominatore dell’uomo di ogni tempo che viaggiando cerca il nuovo, l’altro, o ancora se stesso. E tutti quegli dei, attorno, accanto alle pareti, nella bellezza della nudità dei loro corpi, come nella statua di Venere, tipo Landolina, del II sec d.C. del Museo Archeologico del Molise o nell’Afrodite pudica del I secolo a. C., di collezione privata,  o ancora  nella forza della loro muscolatura tesa nello sforzo, come, in quella copia in gesso dipinto, dello Zeus bronzeo dell’Artemision dell’Università di Ginevra, sono gli interlocutori privilegiati  di un dialogo dove l’uomo s’interroga del suo ruolo nel mondo. Dei litigiosi e dei solidali che mutano le sorti di eroi e di  uomini semplici. Nelle sale dell’esposizione scorrono soggetti ed avvenimenti  del grande poema omerico dell’Odissea che  hanno avuto fortuna e sono entrati nel patrimonio comune di idee. Omero, di cui sono ammirabili due ritratti del tipo ellenistico cieco del II secolo, è stato interprete di un sentire umano ricco di poesia e non solo di racconti di guerre,  di un  gusto della vita che si alimenta di contrasti.  I vasi greci nelle loro forme eleganti,  siano essi un’hydria, un’oinochoe o una kylix mostrano la fortuna nell’antichità dell’episodio dell’accecamento del mostro Polifemo. Con esso si  rivela  l’intelligenza  di Ulisse  che  insieme ai compagni riesce ad infilzare un grosso e lungo  palo  nell’occhio di Polifemo e non finire così ingoiato nel ventre  del  gigante. Questo successo  continuò anche in epoca romana. Nella villa della Sperlonga  l’imperatore Tiberio aveva commissionato un ciclo  di sculture sulle imprese di Ulisse di cui faceva parte l’accecamento di Polifemo. Scene dell’Odissea sono visibili negli affreschi, risalenti al I secolo a.C., strappati da una casa romana a metà dell’Ottocento, e ora di proprietà dei Musei Vaticani. Colori luminosi, a volte avvolti in una nebbiolina pronta a dissolversi, riempiono la tavolozza dell’affresco che ci conduce ai luoghi della Discesa di Ulisse negli Inferi. Fu notevole la fortuna di Ulisse in epoca imperiale: la caduta di Troia dovuta alla sua astuzia è anche il punto d’avvio di un mito  che conduce ad Enea, eroe della stirpe troiana da cui trae origine la famosa gens Iulia, fino ai lidi laziali e alla fondazione di Roma, a quella  Roma che diventerà poi un impero. Un altro mito quello delle Sirene sembra accompagnare con il loro canto, nelle forme prima di donne – uccello e poi di donne - pesce l’immaginario occidentale. Donne che diventate in maniera progressiva nello scorrere dei tempi, sempre più belle e seducenti, incarneranno in epoca simbolista l’idea  di un amore passionale e coinvolgente, dove l’elemento acqueo e il mare in particolare, sembrano lo scenario ideale per la manifestazione di istinti fortemente vitali e dove il fascino femminile si unisce  alle meraviglia del mondo naturale. Si possono citare come esempi: l’opera Tritone e Nereide del 1895 di Max Klinger, le Sirene di Cesare Viazzi  e la Sirena di John William Waterhouse dei primissimi anni del 900’. Le sirene sono viste come   dispensatrici di sapienza ma anche di morte. Due temi importanti nella vita di Ulisse  e di ogni uomo. Ulisse che Dante collocò nell’ottava bolgia dell’Inferno, quella dei fraudolenti, assieme a Diomede con il quale ha rubato il palladio da Troia e come  artefice dell’inganno del cavallo. Al poeta fiorentino Ulisse interessa soprattutto per la sua umanità: per quel suo desiderio di conoscenza proprio di ogni essere umano dotato di intelletto, che si scontra nella ricerca dell’infinito e della natura dell’universo con i limiti della ragione. Voci  ancora, non più  delle Sirene stavolta, si sentono  fuoriuscire da una sala dell’esposizione, dove si proietta un’immagine che avvolge l’eroe greco in lingue di fuoco. Voci, echi  di ieri … che affascinano per le suggestioni dei quesiti. In un  video, quasi alla fine del percorso espositivo, in Encounter, opera di Bill Viola, famosissimo artista contemporaneo, due donne camminano in viaggio verso poli opposti e  s’incontrano, per pochi attimi, all’intersezione dei loro percorsi. La conoscenza della donna anziana passa così  alla più giovane. Un sapere è ancora qui, nel video, il significato principale  delle vite di noi uomini. Una figura  portatrice di un significato emblematico riconosciuto è Penelope, da quella  in marmo del I secolo d.C. dei Musei Vaticani, assorta in pensieri, a quella  del Beccafumi del 1514, nella sua eleganza rinascimentale, da quella della pittrice svizzera Angelica Kauffmann dal volto chino sul telaio e vestita di preziose vesti degli anni 60’ del Settecento  a quella infine, dove si vede intenta a disfare la sua tela, al lume di candela, nel dipinto di Joseph Wright of Derby,  negli anni  80’ dello stesso secolo. La rassegna, come si è detto, ricchissima di opere è articolata in sedici sezioni e  fa focus su Ulisse, un mito diventato storia, non su un periodo o su un autore come ha spiegato Gianfranco Brunelli, direttore del progetto espositivo.  Essa è la quindicesima mostra forlivese ideata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì in collaborazione con il Comune e ha la main partnership di Intesa Sanpaolo. Il comitato scientifico della mostra è composto dal presidente Antonio Paolucci, dal direttore Gianfranco Brunelli, dai curatori della mostra  Francesco Leone, Fernando Mazzocca, Fabrizio Paolucci, Paola Refice e da numerosi studiosi fra cui Daniela Vullo della Soprintendenza ai Beni Culturali di Caltanissetta a siglare un’intesa di collaborazione con la Regione Sicilia. Il catalogo è edito da SilvanaEditoriale e speciale menzione merita l’allestimento dello studio Lucchi e Biserni che ha realizzato anche il cavallo sul piazzale antistante l’ingresso, che nella sua mole bianca annuncia la mostra ai visitatori.

Patrizia Lazzarin, 16 febbraio 2020

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