Coronavirus e Mr. Trump, quel che non funziona

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Sembra davvero che questi di Trump siano gli anni in cui la scienza sia diventata un'opinione, che la si possa manipolare come se fosse un'idea politica. D'altronde si sa, quando una bugia è detta e ripetuta, poi alla fine la gente ci crede, la mette meno in dubbio e dopo un po' diventa realtà. Illudere persone spaventate, disperate e poco propense a fare ricerche un po' più approfondite un gioco da ragazzi. Quelli che temono il virus, un brutto tumore, una vita passata ad accudire un figlio autistico farebbero di tutto pur di cacciare via la causa del terrore, e sono estremamente vulnerabili alle sciocchezze dette in conferenza stampa da uno come Trump o alle false informazioni degli sciamani che assicurano di avere la soluzione. Il commento di Marina Viola su Lettera 43.

Le debolezze di Trump

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Stati Uniti, Trump scalpita ma decidono i governatori. E Fauci torna nel mirino

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Decido io quando riaprire l’America, dice Donald Trump. In realtà le misure di “lock-down” (chiusura) o “shelter in place” (reclusione domestica) sono state prese dai governatori degli Stati Usa e saranno loro a deciderne la levata. Ma l’uscita del presidente conferma da che parte sta lui: nel partito di chi vuole un ritorno all’attività in tempi rapidi, perché teme che i danni della depressione economica possano superare quelli dell’epidemia.

Anche le voci (smentite, per adesso) sul siluramento del massimo esperto sanitario della Casa Bianca, Anthony Fauci, sono state collegate ai dissensi con Trump su un rapido allentamento delle restrizioni. Ma il presidente ce l’ha con Fauci soprattutto perché il medico ha ammesso che una risposta più rapida da parte del governo federale avrebbe potuto ridurre il bilancio delle vittime.

«I media bugiardi – ha twittato ieri Trump – sostengono che sta ai governatori riaprire gli Stati. Non è vero, è una decisione del presidente. Detto questo, lavoriamo insieme ai governatori, e presto prenderemo una decisione con loro». La realtà è che il governo federale ha pochi poteri in questo campo, per lo più limitati al commercio e al trasporto; tutto il resto lo decidono i governatori.

Lo stesso Trump finora aveva preferito sottolineare le responsabilità dei singoli Stati, per scaricare su di loro le colpe dei ritardi. Quel che conta, è il crescendo di pressioni da più parti per rivedere le restrizioni. Il bilancio dei disoccupati è già salito probabilmente oltre i 20 milioni, e presto questa “seconda pandemia” comincerà a mietere vittime. Inoltre i dati degli ultimi giorni, da New York alla California, sembrano indicare uno stallo nel numero di nuovi contagi e di decessi, anziché la crescita esponenziale che si temeva. Nel dibattito sulla riapertura è intervenuto il candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, che ha presentato il suo piano per accelerare una normalizzazione. Questi gli aspetti salienti: acquisire rapidamente la capacità di fare test in massa per selezionare i già immunizzati e permettergli di tornare al lavoro; in consultazione con il settore privato, mettere a punto il “nuovo modo di operare”, tutte le innovazioni nell’organizzazione aziendale che consentiranno di aumentare la sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro; investire nella sicurezza del personale che non ha smesso di lavorare, come fattorini delle consegne, commessi, addetti ai magazzini del commercio online. Sulla falsariga delle proposte di Biden l’equivalente americano della Confindustria, la US Business Roundtable, ha istituito una task force per progettare una graduale riapertura. Gli imprenditori indicano tre requisiti. Primo: un aumento massiccio dei test diagnostici che cominci a liberare dalle restrizioni fasce della popolazione. Questo dipende dal sistema sanitario. Il secondo prerequisito invece chiama in causa le aziende. Si tratta di sicurezza nei luoghi di lavoro: regole sull’ingresso dei clienti; sulla pulizia e disinfezione di fabbriche, uffici ed esercizi commerciali; disponibilità di m aschere, guanti, disinfettanti per i dipendenti; misuratori di febbre agli ingressi di edifici ed esercizi pubblici; regole sulle distanze da tenere. Il terzo requisito chiama in causa le autorità locali: assicurare il trasporto pubblico in sicurezza; riaprire le scuole minimizzando i rischi.

Federico Rampini - la Repubblica - 14 aprile 2020

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Trump, scontro con il virologo

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Anthony Fauci è diventato, suo malgrado, l’ostacolo principale per il «partito della ripartenza». Proprio oggi ci sarà la prima riunione della «Task force 2» insediata da Donald Trump: un altro gruppo di esperti che studierà come «riaprire l’america». Ne faranno parte medici e scienziati, ma ci saranno anche manager, imprenditori e finanzieri. Il mondo del lavoro, le grandi aziende, le lobby dei diversi settori stanno premendo sulla Casa Bianca. E il presidente ha affidato il compito di fare da raccordo con il nerbo produttivo del Paese al segretario al Tesoro Steven Mnuchin e al genero-consigliere Jared Kushner. Mnuchin, in particolare, è la figura da osservare con attenzione. Fin qui si è mosso con efficacia, mediando con i democratici e portando a casa un pacchetto di misure da 2.200 miliardi. Nancy Pelosi ha raccontato ai giornalisti del Congresso che durante una conversazione con lui le era capitato di citare Bergoglio. «Vede Madam Speaker, lei ascolta la voce del Papa, io quella dei mercati» le aveva risposto. Il Segretario al Tesoro non si fa impressionare dal Pontefice e nemmeno dai modelli matematici di Fauci e di Deborah Birx, la coordinatrice della Task force numero uno, quella degli scienziati. È questa una delle forze che sta mettendo in difficoltà il settantanovenne scienziato di Brooklyn, figlio di un farmacista e pronipote di un immigrato da Sciacca. Lo schieramento dei suoi avversari, in realtà, è composito. Ci sono altri ministri, come l’attorney General William Barr, i consiglieri Peter Navarro e Larry Kudlow, la segretaria ai Trasporti, Elaine Chao. Vi partecipano i parlamentari repubblicani più conservatori, raccolti nell’house Freedom Caucus. Un gruppo molto ascoltato da Trump, visto che ha pescato tra i suoi fondatori il nuovo Capo dello Staff alla casa Bianca, Mark Meadows. Nei giorni scorsi Andy Biggs, presidente del Caucus, si chiedeva in un articolo pubblicato dal Washington Examiner, se avesse senso «lasciare gli Stati Uniti nelle mani di Fauci». Non potevano mancare i conduttori di Fox News, al completo. Ogni giorno da settimane, Sean Hannity, Laura Ingraham, Jeanine Pirro, Tucker Carlson, seminano dubbi sulla credibilità del dottor Fauci. Gli rimproverano di essere stato lui a mal consigliare Trump a febbraio, sostenendo che «il rischio di infezione per gli americani fosse basso». Gli rinfacciano l’allarmismo creato con previsioni catastrofiche sul numero dei morti: tra i 100 mila e i 240 mila, quando i nuovi calcoli ora si fermano a 60 mila. Laura Ingraham ha addirittura formato una specie di team di medicina alternativa per convincere Trump a promuovere l’uso di un farmaco anti-malaria, l’idrossiclorichina, contro il Covid-19. Ma, ancora una volta, ecco che spunta Fauci a rovinare i piani: «Non ci sono prove sufficienti sull’efficacia di questa medicina». Per storia e temperamento il virologo non è interessato ai conflitti. La sua carriera si è sviluppata tutta nel settore pubblico. A 44 anni assume la guida del National Institute of Health ed ha mantenuto l’incarico con sei presidenti, da Ronald Reagan a Trump. Dopo una vita da ricercatore e suggeritore, ora si trova al centro dell’attenzione. Gira con la scorta. In rete gli ultrà trumpiani lo insultano sistematicamente. I suoi ammiratori, invece, comprano magliette o ciambelle con la sua immagine. La sua reazione? «Pensiamo a come sconfiggere il coronavirus, il resto è secondario».

Giuseppe Sarcina – Corriere della Sera – 14 aprile 2020

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