Inps e carceri. I disastri comunicativi dietro ai due collassi di stato

Alla fine la colpa è di un hacker, un altro nemico invisibile dopo il virus. Il clamoroso ko del sito dell’Inps nel giorno della partenza delle richieste del bonus da 600 euro è stato attribuito, secondo il premier Giuseppe Conte, a un “attacco hacker”. Nella versione del presidente dell’Inps Pasquale Tridico l’attacco dei pirati informatici è stato addirittura “violento”, anche se inizialmente aveva dichiarato che i problemi erano dovuti all’eccesso di traffico: “Stiamo ricevendo 100 domande al secondo, una cosa mai vista sui sistemi dell’Inps”. Cento domande al secondo non sono un numero esorbitante, un flusso da black friday, ma tanto è bastato a causare il black out dell’Inps. Pare che nei giorni scorsi i sistemi informatici dell’Inps siano stati oggetto di un attacco “denial of service distribuito” (DDoS), un’inondazione di traffico da più fonti che porta al blocco di un sito, ma che di certo non gli fa sputare dati sensibili di cittadini a caso. In ogni caso l’Inps, come tutte le organizzazioni pubbliche e private, ha il dovere di tutelare i dati delle persone anche dalle intrusioni. Il fatto è che, anche in questo caso, c’è stato un evidente errore di gestione e di comunicazione. Come è accaduto con la fuga di notizie del famigerato decreto dell’8 marzo, che ha provocato l’assalto ai supermercati e alle stazioni ferroviarie, allo stesso modo l’annuncio di un click day da parte di Tridico ha causato un assembramento ai cancelli virtuali dell’Inps che ha poi causato il collasso del sito. A nulla sono valse le precisazioni e le rassicurazioni sulla sufficienza dei fondi del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che aveva definito “assolutamente fuori luogo” il click day: ormai il timore di restare esclusi era entrato nella testa dei cittadini rimasti senza reddito, e così l’annuncio di Tridico ha causato l’affollamento che ha prodotto il crollo del fragile sistema informatico, anche perché nonostante l’errore l’Inps non è corso ai ripari con uno scaglionamento (geografico, alfabetico, per età) delle richieste.

Durante una crisi la comunicazione non è un aspetto secondario ma sostanziale: un errore può causare danni enormi e spesso irreversibili. Oltre al decreto di Conte e al click day di Tridico, abbiamo visto un altro esempio fallimentare con le carceri. La pessima gestione e comunicazione dei provvedimenti da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha provocato rivolte, incidenti, evasioni e tanti morti. Anche in questo caso il capo del Dap, Francesco Basentini, che ha sempre negato l’esistenza del sovraffollamento carcerario, è rimasto al suo posto. Perché ormai con la scusa che “non è il momento delle polemiche”, chi occupa ruoli decisionali è diventato irresponsabile, proprio nel mezzo di una crisi senza precedenti in cui è necessario avvertire il peso della responsabilità. Sarà vero, come si ripete con questa continua e logora retorica bellica, che in guerra bisogna obbedire e stare vicini ai generali. Ma in guerra dopo le Caporetto i Cadorna vengono rimossi.

Luciano Capone – Il Foglio – 2 aprile 2020

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Ci manca la Pa digitale

Il disastro informatico capitato al sito dell’Inps ieri mattina parla di un’inadeguatezza strutturale e cronica della Pubblica amministrazione nei confronti del digitale. Secondo tutte le ricostruzioni, il crollo del portale Inps che ieri ha rivelato le informazioni personali dei cittadini iscritti è un errore elementare a seguito del quale il presidente Pasquale Tridico e il governo hanno cercato di intorbidire le acque parlando di un attacco hacker (che forse c’è stato, ma non ha causato il disastro). Stefano Zanero, professore associato di Informatica del Politecnico di Milano ed esperto di sicurezza nell’ambito del digitale, dice al Foglio che la diffusione non autorizzata dei dati degli utenti potrebbe essere nata da un problema di “caching”. Significa, detta in maniera molto semplice, che per ovviare al notevole flusso di richieste i tecnici dell’Inps hanno per sbaglio reso disponibili le pagine che contenevano i dati personali dei cittadini, compresi codici fiscali e indirizzi.

Chiaramente non ci sono certezze sulla natura del problema senza poter analizzare i dati dall’interno, e non è da escludere che un attacco hacker possa rendere non disponibile un sito internet, ma la diffusione dei dati è un’altra questione. Stefano Quintarelli, informatico e imprenditore, dice che “se c’è stato un attacco hacker lo può sapere solo l’Inps.

Qualche dettaglio potrà emergere dalla denuncia alla polizia postale che il presidente Tridico avrà fatto”. Questo senza contare che se davvero gli hacker possono accedere così facilmente ai dati dei cittadini si apre una questione gigantesca di sicurezza nazionale. Il problema è che q"esto fallimento dell’Inps getta una pessima luce anche su tutto il resto della Pa: “Almeno in teoria, quella dell’Inps dovrebbe essere una delle infrastrutture informatiche meglio progettate dell’intera Amministrazione pubblica italiana”, dice Zanero. “Assieme al fisco e ad altri enti, l’Inps è da sempre strutturato per accogliere un’enorme quantità di dati ed è una delle strutture più digitalizzate della Pa”.

C’è anche il problema che in questo caso la quantità di richieste era tutt’altro che enorme. Tridico ha parlato di cento richieste al secondo che avrebbero messo in ginocchio i sistemi, che “sono numeri da 1998”, continua Zanero. “Le soluzioni per ovviare a un afflusso di utenti di questo tipo esistono da vent’anni, e se anche la tecnologia non fosse stata accessibile sarebbe bastato scaglionare gli accessi”. “Quando si parla di digitalizzazione della Pa l’Italia mostra di essere al di sotto degli standard richiesti da precise normative europee e standard internazionali”, dice al Foglio Lucio Scudiero, avvocato specializzato in digitale, privacy e cybersecurity. “La crisi del coronavirus ci costringe a una transizione marcata da fare in tempi brevissimi, ed è sempre più evidente che la scarsa attenzione prestata a questo tema negli anni passati sta pesando sull’oggi: mancano le infrastrutture, mancano gli investimenti ma soprattutto mancano le competenze”. Nonostante"la buona volontà di molti, nel momento in cui ne avremmo più bisogno il processo della digitalizzazione della Pubblica amministrazione ci sta tradendo. Mentre la pandemia ha fatto da grande acceleratore in molti ambiti della politica e dell’impresa privata, la Pa è ancora impantanata".

Eugenio Cau - Il Foglio – 2 aprile 2020

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Su Draghi a Chigi, le lettere al Foglio

Al direttore – “Pochi avranno la grandezza necessaria a piegare la storia, ma ciascuno di noi può operare per modificare una minuscola parte degli eventi e tutte queste azioni formeranno la storia di questa generazione”. Robert Francis Kennedy, Cape Town 1966. Oggi, in Italia, le parole di mio padre Robert Kennedy riecheggiano nell’onda di speranza (Ripple of Hope) rappresentata da tutte quelle persone schierate in prima linea contro un nemico tanto insidioso, quanto invisibile, il Covid-19: sono medici, infermiere e infermieri, forze dell’ordine, militari, addetti alle pulizie e alle sanificazioni, ma anche lavoratrici e lavoratori di tanti comparti, e volontari. Tutti impegnati in una guerra senza sosta per fermare il contagio. La Robert F. Kennedy Human Rights Italia (www.rfkitalia.org), impegnata nella difesa dei diritti umani in Italia, in particolare nelle scuole, ha deciso di dedicare risorse ed energie ad aiutare quegli “angeli” che ogni giorno sono in prima linea per tutti noi. Avremo l’onore di ospitarne alcuni presso la nostra sede di Firenze dove abbiamo 12 stanze. Sono davvero emozionata che la nostra organizzazione potrà in qualche modo essere utile in questa difficile sfida. E per questa ragione abbiamo lanciato una campagna di raccolta fondi per la Protezione civile sia in Italia sia negli Stati Uniti, un ponte ideale tra due paesi uniti nella stessa lotta. “Dobbiamo avere tutti un sogno: il sogno di un mondo migliore, che sapremo costruire attraverso l’amore, l’empatia e il rispetto reciproco”, in queste parole, che ho pronunciato il mese scorso all’Università Cattolica di Piacenza, si racchiudono i valori che l’Italia sta dimostrando al mondo. Per poter partecipare: www.gofundme.com/f/RFK-Italia-per-la-protezione-civile. Kerry Kennedy

Al direttore - Alla vigilia di un cruciale vertice dell’Ue, Mario Draghi scrive un articolo sul Financial Times che segna uno spartiacque sul futuro dell’Europa. Salvo poche eccezioni, la politica italiana lo registra distrattamente e con sospetta pigrizia mentale. Non me ne vogliano il bravo premier Conte e quell’onestissimo uomo che è il presidente Mattarella, ma con la sua mossa l’ex governatore della Bce conferma che è l’unica personalità autorevole che abbiamo in grado di tenere testa alla Germania e ai suoi satelliti. L’idea di un governo di unità nazionale da lui guidato ora non è praticabile, e credo che nemmeno sia nelle sue corde. Tuttavia, se siamo in guerra (come tutti affermano), ci vuole un generale che conosca l’arte della tattica e della strategia militare. Fuor di metafora, nulla osta a che – accanto a quello per l’emergenza sanitaria – venga nominato anche un commissario straordinario per l’emergenza economica, con poteri di trattativa a Bruxelles. Si prenda pure questa proposta solo come una provocazione intellettuale, ma la casa sta bruciando e, quindi, c’è bisogno di pompieri che conoscano bene il loro mestiere. Perché (copyright di Matteo Renzi) non si può morire di coronavirus, ma nemmeno di fame. Michele Magno

Ci sono molti spunti interessanti nel formidabile contributo inviato al Financial Times da Mario Draghi. Ma tra i tanti, quello che dovrebbe far riflettere – oltre al passaggio sul debito – riguarda il passaggio sul lavoro. “La priorità – ha scritto Draghi – non deve essere solo offrire un reddito di base a chi perde il lavoro – spiega. Dobbiamo proteggere la gente dalla perdita del lavoro. Se non lo facciamo emergeremo dalla crisi con una permanente occupazione più bassa”. Anche in tempi di crisi, dunque, la priorità non deve essere spendere tutto ciò che è necessario spendere per sussidiare chi rimane a casa, anche senza lavoro, ma è spendere tutto ciò che è necessario spendere per aiutare chi deve creare lavoro a crearne sempre di più. Un perfetto programma di governo.

Al direttore – Certamente il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, avrebbe potuto spiegarsi meglio, ma non ha fatto delle affermazioni allarmistiche e strampalate, quando ha detto che l’Inps dispone di risorse sufficienti a erogare le pensioni solo fino a maggio. Il sistema pensionistico è finanziato col criterio della ripartizione ovvero le pensioni in essere sono pagate dai contributi prelevati, nello stesso arco temporale, dalla produzione e dal lavoro. In sostanza sono gli attivi di oggi che hanno in carico i pensionati di oggi, essendo i loro versamenti, da lavoratori in attività, serviti a finanziare le pensioni di ieri. Sembra evidente che se si chiudono le fabbriche, si sospende la riscossione dei contributi, il ciclo si interrompe. Ciò non significa che le pensioni non saranno pagate, dal momento che interverrà lo stato – come è suo obbligo – per far fronte alle esigenze di cassa dell’Inps. Al più presto, però, la situazione dovrà normalizzarsi e dovranno tornare a girare le macchine negli opifici. Giuliano Cazzola

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