Post elezioni, la politica del rinvio di Pd e M5S

Ricordate la bubbola «faremo subito una nuova legge elettorale per correggere le distorsioni del Sì»? La ricordate, no? Bene, è confermato: era una bubbola. Una presa in giro. Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini, e “giù per li rami”, tutti i fautori del Sì per tutto settembre si erano sbracciati per una inutile approvazione di un testo base almeno alla Camera come fosse una prova d’amore, ecco il nostro correttivo alle distorsioni che verranno prodotte dal taglio dei parlamentari. (...) Siamo entrati cioè in una fase per certo aspetti mai vista nella quale i partiti non sanno chi sono e cosa vogliono fare. L'incertezza sul futuro dei "piccoli" determina a cascata anche un certo brancolamento del Partito democratico, che deve ora rifare i conti a proposito di un alleato tramortito (il Movimento, e lasciamo stare Liberi e uguali che non è mai nato) e avendo di fronte un avversario molto forte ma che potrebbe mutar pelle. Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

Il Pd di Zingaretti e la sua politica del rinvio

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L'esito referendario non risolverà i problemi del Paese

La riduzione dei parlamentari da 945 a 600 non risolverà nessuno degli antichi e montanti problemi istituzionali: il bicameralismo paritario è anacronistico e rallenta l’approvazione delle leggi, le camere sono sempre più disarmate, il potere si è concentrato sul governo senza che si abbia il coraggio di certificarlo per legge (per non passare da ricostitutori del fascismo), il dominio delle segreterie di partito si è fatto assoluto nelle stagioni dei piccoli zar. Al massimo potrà aggravarne qualcuno, e aggiungerne di nuovi, per esempio sull’indebolimento della rappresentanza, di cui si è parlato parecchio in queste settimane, e sui cui vorrei aggiungere un paio di considerazioni non abbastanza approfondite. Il commento di Mattia Feltri su Huffington Post.

Gli italiani sono meno antiparlamentaristi e meno populisti dei deputati e dei senatori

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