Munch, il grido interiore che apre i nostri occhi

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Ottanta anni dopo la sua morte, Milano celebra con una mostra che si apre domani a Palazzo Reale, il pittore Edvard Munch. L’opera dell’artista norvegese svela senza pudori e contiene  emozioni. I soggetti e i temi emergono da una dimensione intima e si concretizzano attraverso il medium pittorico. Segni e materia sono elementi di cui  l’artista si serve  per liberare  il proprio sentire. Ma l’urlo che esplode da queste tele, che rimbomba e si diffonde ovunque con la violenza di un’eco, vuole renderci partecipi di una dimensione esistenziale che  accomuna tutti. La sua è un’arte che si colora di poesia.   

Munch nasce il 12 dicembre del 1863 a Løten, a circa cinquanta km da Oslo. Il padre medico militare appartiene ad una nota famiglia norvegese di intellettuali ed alti funzionari, ma non è ricco. Nel 1864 per motivi di lavoro si trasferisce  a Oslo, allora chiamata Christiania, assieme alla moglie Laura, a Edward e alla primogenita Sophie. Nel giro di pochi anni, dopo avere dato alla luce altri tre figli, la madre di Edvard muore di tisi. Poco più tardi si spegnerà per tubercolosi anche Sophie, mentre la situazione economica della famiglia peggiorerà di anno in anno.

Così fin da piccolo Edvard Munch si trova davanti lo spettro della malattia e l’angoscia del nulla. Impara allora che per dipingere è necessario mantenere vivi dentro di sé i ricordi e, insieme a loro, la memoria del dolore. Sente l’esigenza di rappresentare invece di  belle e tranquille visioni della realtà, tormentate immagini del proprio mondo interiore.  Scrive: “Ho iniziato come impressionista, ma quando arrivarono le violente tormente e le vicissitudini della bohème, l’impressionismo non mi fu più sufficiente. Dovetti tentare di tradurre ciò che agitava il mio spirito.” E Munch dipinge la bambina malata, con la quale è già provocatorio contro gli ideali naturalistici del tempo.

Per emergere il suo espressionismo avrà bisogno di incontrare l’arte parigina. Si nutrirà della sintesi puntinista e del vissuto di Van Gogh e di Toulouse Lautrec, e degli interrogativi di Gauguin, anche se Munch non avrà bisogno di recarsi a Tahiti per comprendere quanto  di primitivo vi è nella natura umana. Egli la sua Tahiti la porterà dentro di sé. Una conferma giunge anche dal suo Diario, che fissa sulla carta i suoi stati d’animo.

In una pagina che porta la data del 22 gennaio 1892 egli scrive: “Camminavo sulla strada con due amici, il sole tramontava, sentii come una vampata di malinconia. Il cielo divenne all’improvviso rosso sangue. Mi arrestai, mi appoggiai al parapetto, stanco da morire. Vidi le nuvole fiammeggianti come sangue e una spada. Il mare e la città di un nero bluastro. I miei amici continuarono a camminare. Io rimasi là, tremando d’angoscia, e sentivo come un grande e interminabile grido che attraversava la natura”.Un grido che viene ancora più alimentato dall’esperienza tedesca e dalla profondità dei paesaggi simbolisti, dai colori oscuri di Arnold Böcklin e dalle problematiche che prendono forma al “Porcellino nero”, il circolo intellettuale di Berlino intorno al quale gravita anche August Strindberg.

Tutta l’esistenza di Munch, così come tutta la sua opera si nutre di letteratura. Esemplare l’incontro con Ibsen che vede ad una mostra mentre sta osservando il suo dipinto: Le tre età della donna. Gli ho detto: La donna scura in piedi tra i tronchi d’albero accanto a quella nuda è in un certo senso la monaca, l’ombra della donna, il dolore e la morte; la donna nuda rappresenta la gioia di vivere. Accanto ad esse, ancora la donna chiara che cammina verso il mare, verso l’infinito: è il simbolo dell’attesa. Tra gli alberi a destra, è l’uomo che soffre e non capisce”.

L’arte per Munch è palese ricerca di senso dell’esistenza. Egli scriverà infatti: La mia pittura è in realtà un esame di coscienza … ma spero sempre di riuscire, grazie a lei, ad aiutare gli altri a vedere meglio … E per questo la sua pittura si  fa “udire” …

La grande retrospettiva promossa dal Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma è  prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo e rimarrà aperta al pubblico fino al 26 gennaio.   Essa ci permetterà di scoprire aspetti meno conosciuti della sua arte, come le sue sperimentazioni con la fotografia e  la cinepresa.

 Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose di Munch è la  curatrice dell’esposizione  insieme a  Costantino D’Orazio.  L’esposizione  segue un percorso cronologico, a partire dagli esordi del pittore. Emerge anche il rapporto fecondo che Munch ebbe con l’Italia.  Cento opere renderanno conoscibile  l’universo dell’artista.  Tra esse,  incontreremo una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904).

                                                   Patrizia Lazzarin

 
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