Il velo dell’ambasciatrice italiana in Iran insulta i dissidenti

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La nostra ambasciatrice Paola Amadei si è presentata al ministro degli Esteri di Teheran

Paola Amadei ha avuto il coraggio di presentarsi al ministro degli Affari Esteri del regime degli ayatollah – uno che ha una storia da terrorista e fa parte del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica – con il velo e un grande sorriso. Se non fossi sicura del contrario, mi verrebbe da pensare che alle donne occidentali piace sentirsi sottomesse o discriminate, perché non c’è altra spiegazione per una cosa del genere (...) Paola Amadei, ambasciatrice d'Italia a Teheran: ecco chi è la donna chiamata a mediare con gli Ayatollah". È chiaro come la luce del sole: Amadei viene usata per mediare con gli ayatollah in quanto donna. Una donna, non iraniana, che va in Iran per confermare la legittimità del velo in Iran. Quanto ci manca Orianna Fallaci. Il commento di Rayhane Tabrizi su Linkiesta

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Scoop, quando i giornalisti fanno notizia

  • Pubblicato in Cultura

Dentro Scoop ritroviamo pagine  che hanno svelato la Storia, capaci come l’articolo di Dino Buzzati di interpretare l’accaduto come un evento che vuole essere compreso e non nascosto, letto nei particolari, nella ricerca di certezze che non desiderano essere manipolate. Una verità non solo scientifica, basata sulla raccolta di elementi utili a risolvere i misteri del crimine, come nel ’46 il plurimo omicidio della belva di via San Gregorio, ma che diventa significativa per conoscere i caratteri delle persone coinvolte: i morti ammazzati e i vivi. Si ricompongono così spazi di vita che  risuonano delle voci dei protagonisti. Quello che emerge  è la sinuosa spirale dell’animo umano, poche volte superficie lacustre quieta, più spesso figura poliedrica simile a un cubo  dalle centinaia di facce. Storie di singoli, ma anche di popoli che vengono messi a confronto per comprendere i fatti. Incontriamo giornalisti in trincea: a Budapest, negli anni dei carri armati sovietici che invadono la città e nel momento in cui essi se ne vanno, quando si contano le vittime: collaboratori del regime e uomini del popolo,  giovani e madri. Cordoglio diverso per ognuno di loro. Il saggio Scoop dell’ex vicedirettore e giornalista del Corriere della Sera, Giangiacomo Schiavi, uscito con Antiga Edizioni, mette in luce e ragiona sulle scelte di quotidiani storici come ad esempio, La Stampa, Il Giorno, Il Corriere della Sera e Repubblica e di giornali ora chiusi, l’Europeo e Paese sera. Capiamo come sono stati indagati  gli avvenimenti e in quale maniera sono stati proposti ai lettori. La sua analisi ci cala in epoche diverse, ci fa comprendere il pensiero di un tempo trascorso e le sue passioni, grazie agli articoli di firme note. Nei brevi capitoli introduttivi ai “pezzi”,  si illustrano i diversi approcci al mestiere e il confronto viene quasi automatico con l’oggi modificato dalle dirompenti novità tecnologiche e forse, potremmo aggiungere, da cronisti e redattori che devono commentare una società molto  diversa da quella degli anni del dopoguerra. La cronaca nera che, durante il regime fascista era stata comunque l’unica ad essere meno censurata, trova nuova linfa negli anni Cinquanta, quando i cronisti arrivavano a volte prima della polizia nel risolvere i casi o ipotizzavano anche scenari diversi della scena del crimine. Florido Borzicchi e la vicenda del ritrovamento del catamarano della skipper assassinata nel 1988,  e la morte nel 1950, del bandito Salvatore Giuliani, raccontata da Tommaso Besozzi con la frase emblematica: di sicuro c’è solo che è morto, illustrano bene questi due casi. Lo Scoop tanto oggi criticato perché lo associamo al gossip o a giornali come quello   popolare: News of the World di Rupert Murdoch, era la cartina al tornasole che  rivelava il coraggio e la determinazione nel fare informazione. L’obiettivo era  di permettere al cittadino una consapevolezza, la possibilità di farsi un’idea reale sui fatti e  di poter  esprimere un giudizio credibile. Andare sul posto … ora non si va più. La crisi dei giornali di oggi si misura anche sul numero delle edicole chiuse, mentre spesso appare una professione giornalistica divisa tra il cottimo e il ruolo impiegatizio. Alla luce dei fatti odierni leggiamo sorridendo le righe del giornalista Manlio Concogni che con ironia mettono in luce, all’inizio della seconda metà del Novecento, episodi di corruzione nella capitale italiana. In questa occasione  incontriamo anche una penna, come lo scrittore Mario Soldati che si lamenta del crescente abuso edilizio. Giangiacomo Schiavi scrive di una nazionale del giornalismo in relazione a quella che  Il Giorno mise in gioco negli anni Sessanta. Essa provoca, denuncia, lancia grandi campagne per l’ambiente e inventa una narrazione che affascina i giovani e la futura classe dirigente del paese. Fra i loro nomi ci sono: Bocca, Stajano, Emiliani, Cederna, Barbato, Aspesi, Arbasino e Citati … Scalfari che, nel 1976 fondò Repubblica, propose: un giornale schierato che orienti la politica, la cultura, l’economia e demolisca l’aplomb anglosassone dei fatti separati dalle opinioni. Giangiacomo Schiavi ci spiega nel saggio perché Scalfari entra di diritto nel Pantheon dei grandi direttori del Novecento, con Luigi Albertini che creò il modello “Corriere” e Giulio De Benedetti che fece altrettanto alla “Stampa”. Enzo Biagi, poi che ha saputo parlare e scrivere con la testa e con il cuore, in qualità di direttore del Resto del Carlino, si impegnò per garantire una corretta informazione, equivalente al valore di un buon servizio pubblico fornito dagli enti  dell’acqua e della luce. Biagi fu spesso contestato e anche licenziato, ma la sua attività giornalistica  sembra essere stata utile anche ad insegnare, come con l’articolo di denuncia dei disagi  a Cinisello Balsamo che poi si rivolta in un’accusa contro di lui. Trentacinque anni dopo, la giunta comunale  gli chiederà scusa perché quanto aveva scritto  era servito a cambiare qualcosa. E poi ci sono i giornalisti per cui è riduttivo parlare di Scoop perché la loro è arte di scrivere: Tiziano Terzani e Oriana Fallaci.  Terzani ha vissuto trent’anni come inviato tra Cambogia, Thailandia, Vietnam, Cina e India. Di Oriana Fallaci sono memorabili le interviste con i potenti, con i grandi della terra, così come sono impeccabili, per perfezione formale, i pezzi che ha inviato all’Europeo e al Corriere della Sera. I libri  di Fallaci sono stati venduti nel mondo in milioni di copie. Gli scoop degli anni Novanta diventano libri. Marco Travaglio e Peter Gomez fanno la fortuna delle loro case editrici con una serie di inchieste. Ci sono tanti giornalisti che meritano di essere ricordati ed  è sicuramente assai emozionante e curioso ritrovare il loro raccontare in Scoop. Mentre leggiamo questa  carrellata di storie e  di nomi sentiamo rivivere un pezzo d’Italia, una fetta della nostra Storia e di quelli che ci hanno lasciato, siano essi i  giornalisti scomparsi o  i nostri cari. Il libro si conclude con un’intervista a Ferruccio de Bortoli, due volte direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 ore e di cui si riporta un breve messaggio: Se il giornalista è preparato e autorevole svolge un compito prezioso: informa il cittadino affinché sia un soggetto autonomo, libero, percorso interiormente da un sano dubbio su ciò che legge  e vede, dotato di spirito critico.

Patrizia Lazzarin, 12 ottobre 2022

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Settant’anni dopo la grande alluvione del Polesine

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Dopo la Rinascita. Acqua che straripa, trascina, avvolge e trasforma animi e cose. Le immagini dell’alluvione del 1951 nel Polesine ci consegnano, a distanza di molti anni, la fisionomia di una terra e di un popolo che appaiono in tutta la loro forza e sincerità, dove sentimenti e volontà non si vollero piegare, ma si misurarono, nel risollevarsi dal fango e dall’acqua che avevano modificato i contorni di quel territorio. La mostra che apre i battenti sabato 23 ottobre a Palazzo Roncale, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e curata da Francesco Iori, con la collaborazione di Sergio Campagnolo, ci restituisce istantanee di vita, nella lotta contro l’acqua che irrompe e sovrasta, ma non è vittoriosa. Le date e i luoghi che tornano alla memoria sono quelli noti del 14 e 15 novembre quando, alle otto del primo giorno, si rovesciarono otto miliardi di metri cubi d’acqua nella provincia di Rovigo, allagando due terzi delle sue terre. “Fu la più grande alluvione d’Italia in epoca contemporanea”, come riferisce Jori. Nell’arco di appena mezzora si susseguirono tre devastanti rotte: la prima ebbe luogo a Vallice di Paviole nelcomune di Canaro, le due successive nel territorio di Occhiobello. Il momento più drammatico si verificò quando un camion partito da Rovigo per portare i soccorsi tra Pincara e Fiesso Umbertiano, con all’interno novanta profughi, venne sommerso dall’acqua. Morirono 84 persone, tra cui molte donne e bambini. L’Italia e il mondo non rimasero insensibili e giunsero tantissimi aiuti. Fra i primi ad accorrere sul posto il presidente della Repubblica Luigi Einaudi ed il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. L’invito fu ad evacuare la città di Rovigo. In quarantamila risposero all’appello, altri si trasferirono nei piani alti dei palazzi, mentre il Po inondava le zone centrali. Per la prima volta l’attenzione si concentrò sul Polesine in maniera pregnante. Da sempre questa regione contende i suoi spazi al mare, lotta contro le tracimazioni dei fiumi che la attraversano, tra cui il maestoso e sinuoso Po con le sue distese d’acqua che sembrano riempire di liquido ogni anfratto o spazio intorno a lui, conducendo il nostro sguardo verso l’infinito. Questi luoghi hanno un fascino peculiare testimoniato anche dal riconoscimento da parte dell’Unesco del Delta come Patrimonio della Biosfera. Le fotografie di Marco Beck Peccoz, che possiamo ammirare in esposizione e anche nel catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, ci restituiscono la bellezza di paesaggi che sanno ricolmare il nostro animo. Le sue parole l’hanno correttamente classificato: “un Eden tra cielo e mare”. Come ha spiegato anche il presidente della Fondazione, Gilberto Muraro, “la mostra, ripercorre la tragedia di quei giorni, sia per ribadire l’importanza della cura dei fiumi e dell’ambiente, sia per mostrare la rinascita del Polesine che grazie alle sovvenzioni statali e agli aiuti ricevuti ha avviato il volano della ricrescita”. Nel 2007 infatti il reddito pro capite ha superato stabilmente la media italiana, mentre il tasso di crescita è ormai pari a quello del Veneto. Se ritorniamo al racconto di quei giorni, merita di essere ricordata Lina Merlin, la senatrice eletta per il Psi in Senato nel 1948 e che, già dal 16 novembre era ad Adria per coordinare i soccorsi recandosi di casa in casa, a bordo di un’imbarcazione, per fornire i beni di prima necessità. Sono momenti essenziali di una rinascita, anche morale di tutti gli italiani, compresi i reporter come Enzo Biagi, Oriana Fallaci ed Orio Vergani, che si recheranno camminando in mezzo all’acqua a raccogliere le testimonianze degli avvenimenti e in particolare della gente. Primo evento mediatico, ancora senza televisione, dove i giornali che diventano lo strumento per far conoscere le difficoltà di questa terra, nel muovere gli animi, sapranno riunire energie e risorse da destinare al Polesine. “Tante belle pagine di giornalismo, afferma il curatore Jori, come il capolavoro Cronache dell’alluvione di Antonio Cibotto, meritano di essere rilette”. Il risultato è quello che possiamo oggi constatare di una rinascita economica e di alcune eccellenze. La mostra le rileva. Da secoli l’agricoltura è stata il fondamento dell’economia polesana. L’insalata di Lusia che vediamo in mostra nell’ambientazione di un’opera d’arte in progress e che potrebbe sfidare per i significati la famosa opera di Giovanni Anselmo sullo stesso soggetto, offre un esempio di tenacia, intelligenza ed operosità. Per l’insalata di Lusia è utilizzata una coltura indoor idroponica /aeroponica, che non usa la terra, evitando così di generare funghi e parassiti, e poca acqua. Una tecnica che si adatta anche ad ambienti “delicati” e promossa dalla Comunità Europea. Dal 2009 ha ottenuto il marchio IGP che ne certifica la qualità. Lo stesso riconoscimento ha ricevuto anche il riso del Polesine che vanta una storia antica che risale al Quattrocento. Oggi le risaie coprono una superficie di novemila ettari. Le eccellenze sono tuttavia anche altre, come l’aglio polesano, il melone e il miele del Delta, la zucca di Melara, la vongola verace e il cefalo del Polesine, la cozza di Scardovari e il pesce azzurro. L’industria della giostra sviluppatasi nell’area compresa fra i comuni di Bergantino, Melara, Calto, Castelnovo Bariano e Ceneselli merita sicuramente una menzione, avendo una rilevanza di carattere internazionale. Il Delta del Po, definito la Camargue italiana, accanto alle tante testimonianze storiche del Polesine, dai teatri ai musei che raccontano, come quello dei Grandi Fiumi, il tessuto culturale di questo territorio, assieme alle grandi mostre promosse nella città di Rovigo dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, si uniscono nel proporre un’idea di valore che la mostra che si chiuderà a fine gennaio 2022 intende far conoscere.

Patrizia Lazzarin, 23 ottobre 2021

 

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