Status e ruolo dei paesi Brics nella governance globale

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L'attacco dei Paesi Brics all'Occidente

I Brics comprendono cinque Paesi: Brasile, Russia, India, Repubblica Popolare della Cina e Repubblica Sudafricana (entrata nel 2011). La decodifica Brics deriva dalle prime lettere dei nomi dei Paesi nella trascrizione inglese. I sistemi economici dei membri della comunità hanno un enorme impatto sui mercati. La Repubblica Popolare della Cina è al primo posto nel mondo in termini di Pil, esporta la maggior parte dei beni e possiede le maggiori riserve di valuta estera del mondo (...) I Brics si impegnano ulteriormente a migliorare la vita di ogni proprio cittadino. Questo potrebbe accadere lentamente, ma l'organizzazione sta facendo un lavoro straordinario in tal senso. Per quanto riguarda i deboli governi italiani, essi sono timorosi pure fisicamente che qualsiasi iniziativa politico-economica internazionale urti la suscettibilità della Casa Bianca. Speriamo che almeno la volontà delle piccole e medie imprese – base del tradizionale progresso e conoscenza del nostro Paese nel mondo – trovi spiragli e momento di respiro; affinché si possano varare contatti vantaggiosi con i Brics, che favoriscano e incrementino il Pil e i vantaggi per il nostro Paese. Per finire un dato statistico: al 1° gennaio 2024, la popolazione dei Brics sarà il 45,6% di quella del pianeta, e loro loto superficie il 31,5% delle terre emerse. Il commento di Giancarlo Elia Valori sul sito Formiche

 

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La fragilità degli Stati-nazione di fronte alle crisi

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Il mondo si sta via via spappolando, ci mancava l'assalto di Brics+ al G7

L’iperglobalizzazione vissuta tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila ha rallentato anche perché le condizioni che l’avevano favorita – caduta dell’Unione Sovietica, apertura della Cina, accesso a manodopera specializzata a basso costo, delocalizzazione – erano venute meno o si erano assestate. Ma negli ultimi anni è sorto un nuovo scetticismo nei confronti della globalizzazione. «Nelle economie avanzate i benefici della globalizzazione (la disponibilità di beni e servizi a basso costo, la spinta alla crescita proveniente dalla domanda dei paesi emergenti), sono diffusi e per questo poco salienti, appena notati nonostante la loro vastità e pervasività, dati quasi per scontati; invece alcuni costi connessi all’integrazione internazionale sono più manifesti», dice Luigi Federico Signorini, Direttore generale della Banca d’Italia.

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Europa, leader cercasi

Europa, leader cercasi, disperatamente. Sembrerebbe una pura provocazione. Ma non è così. L’Unione Europea appare ogni giorno che passa incapace di darsi una leadership degna. Sì da poter competere ad armi pari con le grandi potenze mondiali sia sul piano economico sia sul piano militare. E’ stato ribadito più volte che questa modalità di rincorrere gli eventi (e non di anticiparli), tipica dell’Unione Europea degli ultimi anni non porta da nessuna parte. Anzi aggrava la situazione geo-politica che è esplosiva. Per evitare le conseguenze che si sono manifestate, ai più diversi livelli (sul piano economico, sul piano militare, sul piano dei diritti civili, ecc.) con un’impari lotta al terrorismo di marca Isis, con il crescente disagio di decine di milioni di cittadini europei che non trova risposte accettabili, con 28 modelli economici che non consentono di fare una programmazione a lungo termine che possa permettere all’Europa di competere con gli Stati-colossi dell’economia mondiale come Russia, Usa, Cina, Giappone India e Corea del Sud, Angela Merkel e soci avevano una sola strada da percorrere: riprendere il cammino degli Adenauer, De Gasperi e Schumann e proporsi di costituire a breve gli Stati Uniti d’Europa, con un suo autorevole presidente, eletto dai cittadini, un suo governo, una sua politica estera, una sua difesa del territorio europeo, una sua politica fiscale e via elencando. Si poteva percorre una strada semplice: i sei Paesi fondatori dell’Europa (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda) avrebbero dovuto costituire una vera (e non fasulla) federazione di Stati con politiche omogenee. Gli altri 22 Paesi, ad iniziare dalla Gran Bretagna per finire con i Paesi ex satelliti di Mosca, avrebbero dovuto, lentamente, aderire al Grande Patto per la costruzione di una Europa forte, dinamica, in grado di affrontare i nodi che sono venuti al pettine nel corso degli ultimi anni e contrapporsi energicamente allo strapotere, in prima battuta, degli Stati Uniti, ms poi anche di Cina, Giappone, Corea del Sud, India e Paesi cosiddetti emergenti (Brics e quant’altri). Per gli egoismi nazionali si è scelta un’altra via che, ripeto, non conduce a nessuna parte. Merkel, Hollande e Renzi possono ancora riprendere il cammino interrotto anni or sono, solo se si svegliano dal torpore che li ha attanagliati. Innanzi tutto deve riprendere vigore il dialogo drammaticamente interrotto con la Russia di Vladimir Putin che fa parte dell’Europa più di quanto ne faccia parte, la richiedente Turchia del dittatorello Erdogan. Che con il suo strano modello di democrazia ottomana sta facendo passi indietro colpendo con l’accetta chi non acconsente alle sue scelte, mettendo in galera chi osa porsi sul suo cammino. E l’Europa dovrebbe accoglierlo a braccia aperte? Ma scherziamo! E’ preferibile avviare una discorso di avvicinamento all’Unione Europea della Russia. I russi sono sicuramente più europei dei turchi. Di questa Turchia. E poi un po’ di realpolitik. Allargare il fronte europeo verso Est magari darebbe un dispiacere agli Stati Uniti d’America, ma renderebbe il continente europeo assai più forte sul piano economico, sul piano politico, sul piano militare. Con l’Isis alle porte di Parigi, Bruxelles e Berlino non si scherza. Prima che sia troppo tardi. Prima della Ventotene promessa dal premier italiano Renzi, l’Europa si svegli. Altrimenti saranno dolori per tutti. Poi non ci si lamenti che in Francia la destra xenofoba scali l’Eliseo, che l’Austria sia consegnata alla destra estrema, che la Turchia persista nel ricattarci, che la Brexit sia seguita da altre fuoriuscite all’Unione Europea e che milioni di extracomunitari continuino a cercare di prendere d’assalto le nostre coste. Gli attuali (sotto)leader europei sono avvertiti. Dopo non piangano come fanno i coccodrilli. Ci pensino prima che accada il disastro. Meno egoismi nazionali, maggiore integrazione. Si è ancora in tempo.

Marco Ilapi, 24 luglio 2016

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