Dove si cela il genio di Andrea Mantegna

Dove si cela il genio di Andrea Mantegna

Gli spazi di Villa Contarini, a Piazzola sul Brenta, si aprono per ospitare un’opera che indica  la mano  e l’ideazione di Andrea Mantegna. In un’ala dell’antica dimora sarà visibile, dopo un lunghissimo e difficile restauro, sostenuto dalla Fondazione G.E. Ghirardi Onlus, l’opera  Madonna col Bambino, San Giovannino e sei sante di questo pittore che nacque, sul finire della prima metà del Quattrocento, nel comune in cui si inaugura oggi la mostra. Si tratta di un dipinto che intreccia intorno a sè tante storie, risponde a molti interrogativi, ma al contempo ne suggerisce altri. Un mistero che si moltiplica in tante matrioske tutte capaci di partorire ulteriori rivelazioni.

Gli esami diagnostici e in particolare le riflettografie che hanno evidenziato il disegno sottostante sembrano confermare la parentela tra questa opera e un’altra di analogo soggetto che è conservata nell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston in Usa e che porta la firma di Andrea Mantegna. Recentemente si è dubitato dell’autografia di quest’ultima e di riflesso viene  anche messa in discussione  quella dell’opera riscoperta al Museo Correr e visibile a Villa Contarini fino al 27 ottobre e successivamente  nel museo veneziano. Il disegno, rivelato dai recenti esami sotto la pittura, evidenza tuttavia un tracciato sostanzialmente identico nei due dipinti. Entrambi sono stati ridipinti in alcune parti, ma quello veneziano racconta altro.  Esso è  rimasto in alcune parti incompiuto e questo genera  differenti interrogativi sulla sua genesi.

Si tratta quasi sicuramente di opere  ottenute con lo stesso cartone che, tecnica esecutiva assai consueta negli atelier dei pittori dell’epoca, viene poi bucato sui contorni del disegno per trasferire i punti guida del tracciato sulle tavole da dipingere.  Alcuni particolari come il panneggio di una santa, il paesaggio di fondo risultano incompleti sotto la successiva pittura tardo settecentesca, come anche l’ultima mano mancante,  atta ad armonizzare luce e dettagli. Non è pensabile come ha anche illustrato il conservatore del Museo Correr a cui spetta anche il merito di aver scoperto la tavola del Mantegna nei magazzini del museo veneziano, che l’artista interrompa il dipinto se non per qualche buona ragione.

Mentre ammiriamo questa Sacra Conversazione appare subito forte la presenza femminile.  Vediamo infatti attorno alla Madonna e al Bambino e San Giovannino, alle sante Elisabetta, Maria  Maddalena e Santa Margherita d’ Antiochia vestite all’antica, tre donne in abiti  e con acconciature dei capelli secondo la moda che si praticava intorno alla fine del ‘400 nelle corti rinascimentali italiane. Una di esse sulla sinistra che legge un piccolo libro sembra fedelmente ripresa da un busto - ritratto marmoreo dell’imperatrice Faustina Minore, una copia del quale apparteneva allo stesso pittore Mantegna. Questo particolare risulta assai interessante  anche  a favore dell’autografia dell’artista padovano.

La presenza di Santa Margherita D’Antiochia, santa protettrice delle partorienti, potrebbe far pensare che Isabella d’Este, giovane  e intraprendente marchesa di Mantova, abbia commissionato al pittore di corte Mantegna, i due esemplari o forse più della stessa composizione proprio in concomitanza dello schiudersi dell’età fertile e del matrimonio delle cognate e della sorella. Si trattava probabilmente  di un piccolo altare di ispirazione religiosa ed intima, pensato per la maternità di giovani principesse: un dipinto da condividere in “multiplo” e da realizzare quindi in più copie.

 Se è stato accertato che il dipinto di Boston era nel 1627 presso la corte inglese di Carlo I Stuart, quello di Venezia potrebbe aver lasciato Mantova con il favoloso carico di opere dell’ultimo duca Ferdinando Carlo Gonzaga  Nevers giunte con lui  a Venezia, nel suo esilio, e disperse dopo la sua morte avvenuta nel 1708 per soddisfare i numerosi creditori. L’opera potrebbe essere stata successivamente acquistata dall’abate e collezionista veneziano Teodoro Correr tra fine ‘700 e inizio ‘800 ed entrata  poi nel museo costituito con la sua donazione. A quel tempo si fa risalire anche la riduzione in altezza della tavola e la pittura di un nuovo paesaggio sullo sfondo.

In entrambi i dipinti di Venezia e di Boston si distingue la cifra stilistica di Mantegna sia nell’invenzione compositiva sia nella definizione formale di figure e paesaggio.

 Sulla loro funzione informazioni si possono trarre  anche dal retro del dipinto veneziano che conserva una dipintura che imita a trompe l’oeil un prezioso marmo bruno con una finitura pittorica veloce e raffinata, tipica del Mantegna. Si può quindi con una certa sicurezza ipotizzare che il retro fosse destinato ad essere visto e giustifica quindi la sua esistenza  come altarolo domestico da appoggiare su un tavolo o altro e, da trasportare facilmente in viaggio o in villa.

Quella che si è inaugurata oggi  a Villa Contarini  si considera quindi una mostra dossier che presenta gli esiti del restauro del dipinto, prima sepolto nei magazzini del museo veneziano. Grazie anche alla collaborazione della Fondazione Civici Musei di Venezia e con il concorso della Soprintendenza, Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna e della Regione del Veneto,  l’opera  viene proposta agli studiosi per un’ulteriore attività di ricerca  utile a definire la  sua paternità.

Patrizia Lazzarin, 10 maggio 2024

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