I mondi di Marco Polo

I mondi di Marco Polo

Le carte geografiche, luoghi di proiezione della mente umana volti a raccogliere, come in una teca, l’universo conosciuto e, spazi di un viaggio dove arricchirci dell’ignoto che sempre affascina, hanno la capacità di accostare  ciò che è  vicino e ciò che è lontano e di nutrire il desiderio della scoperta dell’essere umano. Il viaggiatore Marco Polo (1254-1324), di cui ricorrono quest’anno i settecento anni dalla morte, ha ampliato in maniera significativa la cognizione del mondo allora noto attribuendo o, meglio svelando, il  nome di luoghi che prima non erano patrimonio del sapere dell’uomo occidentale.

Le mappe che compaiono visibili, nell’occasione della rassegna che si apre oggi a Palazzo Ducale a Venezia, testimoniano come pietre miliari il significato e gli effetti dell’allargamento della  percezione  della terra abitata. Le decorazioni che coprono la Sala dello Scudo, nell’Appartamento del Doge, rappresentano accanto ai possedimenti della Repubblica nel Cinquecento, le regioni lontane esplorate da veneziani e dalla stessa famiglia Polo.

Pochi cammelli o tende indicavano l’Asia nelle carte precedenti alle notizie che il mercante veneziano e ambasciatore del Khan racconta nel suo viaggio favoloso, in questi territori sconfinati con una flora e una fauna lussureggianti  e città meravigliose, fra cui Suzhou, la “Venezia d’Oriente”.

 Il cambiamento si comprende, nell’esposizione,  già nelle prime sale dove appare il Mappamondo di Fra’ Mauro (1450 – 1460) che riprende 120 luoghi precedentemente citati nel Milione,  l’opera che come tutti sanno,  ha reso celebre il mercante veneziano in tutto il mondo. Essa era stata scritta a quattro mani dal nostro e da Rustichello da Pisa durante la loro prigionia nelle carceri genovesi, dopo la sconfitta rispettivamente della flotta veneziana e, per il secondo, di quella pisana.

Il testo originariamente redatto in franco italiano portava un titolo diverso e si chiamava Descrizione del mondo ed è, non tanto una relazione di viaggio, quanto una descrizione di regioni del mondo lontane e meravigliose dove vengono narrate la storia e i costumi di un popolo, i Mongoli che avevano unificato l’Asia in un grande impero. Tante le informazioni contenute che lo resero uno dei libri più letti nel Medioevo e in età moderna.

Il popolo mongolo, almeno per un certo periodo, seppe governare con equità lasciando coesistere differenti culture, come si evince anche dalle iconografie contenute nelle opere visibili nell’esposizione. Nella rassegna I mondi di Marco Polo. Il viaggio di un mercante veneziano nel Duecento, abbiamo la fortuna di conoscere le due Armenie, l’Islam, la Cina del Nord, il Catai, la Cina del Sud che venne conquistata in un secondo momento dai Mongoli e l’India, scoprendone attraverso i manufatti, provenienti da differenti musei, la profonda e stratificata cultura, le abitudini e i costumi. Sono trecento le opere  ed esse giungono dalle maggiori istituzioni italiane ed europee fino a comprendere i musei dell’Armenia, della Cina e del Qatar.

Attraverso Marco Polo viene, anche sottolineato, il ruolo straordinario che la città di Venezia ha svolto, in lunghi secoli, tessendo relazioni culturali e commerciali con tante città e regni. L’arazzo che l’artista veneziano di origine slovena, Zoran Music, aveva realizzato nel 1952 per il transatlantico Augustus  è diventato anche icona dell’esposizione. Esso mostra nella scelta da parte del pittore di rappresentare il viaggio di Marco Polo, la consapevolezza di onorare uno dei più grandi viaggiatori del mondo.  

Il gruppo scientifico che ha progettato e curato la rassegna che sarà visibile fino al 29 settembre 2024, ha avuto il coordinamento del professor Giovanni Curatola che ieri alla stampa ha spiegato, in un lungo excursus, la vivacità e il valore dei territori attraversati da Marco Polo  e il grado di prestigio delle civiltà da lui scoperte, ritenuto tale   anche nel mondo occidentale. A dimostrazione di questo,  si ammira un tessuto prezioso, per fattura proveniente dal territorio islamico, che è stato trovato nel sepolcro di Can Francesco della Scala, signore di Verona e vicario imperiale  che, come ha sottolineato anche il prof. Giovanni Curatola, si faceva chiamare Can proprio riallacciandosi al titolo Khan dell’imperatore mongolo.  Khan significa signore.

 Dentro l’esposizione troveremo espressioni che si collegano alla storia dell’arte, alla numismatica, alla cartografia e alle arti applicate e si avvalgono dell’esperienza di differenti studiosi. Nelle stesse opere individuiamo i segni di una coesistenza di differenti culture che mostrano nel mondo asiatico del tempo,  la tolleranza e il rispetto portati  verso le altre. Questo diventa anche un messaggio  e una lezione per la società contemporanea afflitta in molti luoghi da violenze per la mancata  comprensione delle diversità.

La  tavola,  L’arrivo dei Re Magi,  dipinta nel XV secolo da Nicola di Pietro, come ha spiegato ancora Curatola, racchiude storie appartenenti a culture differenti: il ritorno dei Re dopo aver recato i doni al Cristo Salvatore, l’origine del petrolio e il fuoco sacro del culto zoroastriano. Nella rappresentazione sacra, fatto inedito, scopriamo la presenza di un santone orientale, un derviscio, che suona uno strumento a fiato.

La rassegna spazia dai mondi lontani alla vicina e amata Venezia di Marco Polo e la presenza  del nostro nella città lagunare riaffiora in quel video che racconta il luogo  dove egli ha abitato. Al di sotto del Teatro Malibran sono stati scoperti reperti che fanno immaginare quella che poteva essere la dimora del veneziano e dei suoi familiari che vissero in seguito in quel palazzo.

Il suo testamento in particolare  svela  la natura semplice e saggia di un uomo diventato simbolo di conoscenza.  Si parla molto di Marco Polo, ma non sappiamo il suo vero volto. Nell’ultima grande sala della mostra scopriremo le tante interpretazioni della sua fisionomia.

Questa rassegna racchiude una ricchezza culturale di grande valore educativo e divulgativo che verrà valorizzata, nel corso di tutto l’anno 2024, con esposizioni, momenti d’incontro e approfondimenti, con particolare attenzione alle nuove generazioni.                                                        

Patrizia Lazzarin, 6 aprile 2024

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