Giotto e la straordinarietà del dono

Giotto e la straordinarietà del dono

Il forte naturalismo e il carattere di autenticità che si coglie nell’atmosfera e nei gesti dell’affresco dell’Adorazione dei Magi di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova dona un senso di pace. Colpisce la povertà del luogo: il suo essere spoglio senza timore. Scorgiamo una capanna che potrebbe assomigliare alle prime strutture lignee abitative, inventate dai nostri progenitori. Brillano invece le aureole che circondano le teste dei personaggi della Sacra Famiglia, degli angeli e dei Re Magi e la luce che emana scalda non solo le tonalità dell’affresco, ma anche i nostri animi rivelandoci altri saperi.

Il blu oltremare dei cieli che ci accoglie dentro la Cappella, l’azzurro degli occhi dei tre sovrani che giungono da ogni continente e che riempie anche le pupille  dei cammelli lì accanto, sembrano suggerire l’infinito a cui ogni essere umano che si nutre  della speranza anela. A questa eternità fa riferimento l’incenso portato da uno dei sovrani mentre la mirra è il segno tangibile dell’umanità. L’umanità che si traduce nei piccoli gesti degli uomini buoni e che tutti possiamo comprendere nella sua bellezza e grandezza.

Ha colpito molti, penso, quella risposta immediata e naturale dei carabinieri di Reggio Calabria alla chiamata di un uomo che chiedeva aiuto perché non aveva il denaro necessario per comprare i farmaci alla madre malata. I magi sono, come vediamo in questo caso, non solo i potenti, ma esseri umani uguali a noi che hanno scelto di acquistare quelle medicine utili e in aggiunta hanno pensato anche di fare la spesa. Questo episodio diventa  un messaggio di pace in piccola scala. Pace d’altro canto come grande recipiente in grado di “contenere”, in senso metaforico, le sofferenze e di sciogliere le discordie degli uomini.

Giotto vissuto a cavallo dei secoli Duecento e Trecento, nella compostezza dei gesti, negli sguardi concentrati dei presenti e  nell’eleganza sobria delle vesti che possiamo ammirare nell’Adorazione dei Magi,  ha saputo anche rendere il sentimento del dono. Potremmo o vorremo entrare in quella scena per condividere quel semplice e naturale incanto. La stella cometa in alto ci riporta a quel tempo, nel 1301, quando la stella di Halley fu vista attraversare il cielo da Giotto. Pochi anni  dopo  egli affrescava a Padova  la Cappella degli Scrovegni.

Il tema evangelico dell’omaggio dei tre Re Magi a Gesù bambino mostra altri scenari, nel finire del Quattrocento, all’interno del quadro  del pittore Sandro Botticelli.  Appare ora una parata di personaggi della società fiorentina negli anni dell’ascesa al potere della famiglia Medici. Il mago che offre il dono e gli altri due che lo accompagnano hanno il volto rispettivamente di Cosimo il Vecchio e dei due figli, Piero il Gottoso e Giovanni. La temperie politica e culturale è mutata e  detta anche nuove significati all’iconografia religiosa. Qui come anche nel dipinto mai portato a termine di Leonardo da Vinci percepiamo il senso dell’incertezza e della precarietà del tempo. In Botticelli la Sacra Famiglia è inserita fra edifici diroccati e  alcuni, nelle lunghe colonne bianche,  sembrano indicare un lontano splendore.

In Leonardo, nella sua opera incompiuta datata sempre intorno alla fine di quel secolo, accanto ad architetture in rovina, assistiamo anche a scontri di cavalieri. Qui la pace diventa sogno, la guerra, come oggi, in alcune parti del mondo  è la triste e dura  realtà.

Nella pala del pittore Gentile da Fabriano realizzata nel secondo ventennio del Quattrocento, osserviamo come  elementi caratterizzanti lo splendore delle vesti e dell’oro che impreziosiscono  la tela e il momento  del dono. A questo  si aggiungono l’esotismo degli animali  e il tema del viaggio dei Re Magi, dall’avvistamento della cometa alla sosta al Palazzo del re Erode fino al loro ritorno in patria che appare  nel fondale del dipinto. Una folla anima il quadro e  noi assistiamo  allo svolgimento di una narrazione diversa che diventa sentimento  dell’essere umano di allora.

Patrizia Lazzarin, 6 gennaio 2024

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