Renzi lascia e... raddoppia con Gentiloni!

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi hanno fatto flop. Era previsto. Solo i cretini, per dirla alla Vittorio Feltri nel suoi divertenti editoriali su Libero, hanno davvero immaginato che il sì avrebbe vinto nelle consultazioni elettorali del 4 dicembre. Sono stati inanellati una serie continua ed impressionante di errori nella comunicazione, ma non solo.  Il governo è rimasto avviluppato per lunghi mesi nel cercare di convincere gli italiani che l’unica opzione possibile per salvare il Paese non poteva che essere quella di rivoltare come un calzino la carta costituzionale: questo è da ascriversi a indubbie responsabilità di Palazzo Chigi. Renzi è stato mal consigliato dal suo consulente americano Jim Messina. Quello Di Cameron e di Brexit, insomma. La risposta dell’Italia che lavora è stata inequivocabile. Gli elettori si sono recati in massa alle urne per dire la loro. I fautori della proposta Renzi-Boschi-Verdini i  quali gridavano ai quattro venti che il Paese era da oltre trent’anni che aspettava la riforma della Costituzione, ignorando che la stessa era stata oggetto di rivisitazione, ultimo l’introduzione del fiscal compact regnante Mario Monti, numerose volte, hanno avuto una risposta corale da parte dell’elettorato. Se si da uno sguardo ai risultati elettorali si scopre che nel mezzogiorno ha stravinto il no,  surclassando di gran lunga i sì; i giovani hanno votato contro lo stravolgimento della Carta. In via Montenapoleone (Milano) e in zona Crocetta (Torino), magari nei quartieri “in” della Capitale, come in Centro ed ai Parioli,  ha prevalso il sì ma nelle periferie il no ha nettamente prevalso. In Emilia Romagna, Toscana e Trentino Alto Adige ha vinto il sì. In Sardegna e Sicilia ha però stravinto il no. Buttare la croce addosso alla minoranza Pd è ingeneroso da parte dell’ex premier. Fare un esame di coscienza degli errori commessi è strada impercorribile, stante la sicumera di Matteo Renzi. Che poi si passi a minacciare congressi anticipati per la resa dei conti con la minoranza dem, che si vogliano elezioni anticipate “che il Pd non teme” per asfaltare gli avversari interni e il frastagliato schieramento degli oppositori, dai Cinquestelle ai leghisti di Salvini, dagli amici di Berlusconi a quelli di Giorgia Meloni, ormai è diventato un mantra per tutti, anche per Matteo Renzi. Il gruppo dirigente del Nazareno rischia di perdere i contatti con la base se non fa un’analisi impietosa della sconfitta referendaria. Il fatto che in Emilia Romagna e Toscana sia stata confermata la fiducia in Renzi significa che la sonora batosta del 4 dicembre ha altre motivazioni. E avendo partecipato alle votazioni quasi il 70% degli aventi diritto significa che altre sono le ragioni della sconfitta. I quesiti referendari, a cui tutti, ma proprio tutti avrebbero logicamente dovuto rispondere sì: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? Così formulato, nessun elettore avrebbe dovuto avere incertezza alcuna. Il sì doveva prevalere. E’ apparsa fin troppo evidente la forzatura del quesito sottoposto a referendum. Renzi e Boschi erano troppo sicuri di sé. Hanno speso tutte le loro energie, convinti che il risultato elettorale sarebbe stato per loro un plebiscito. Che avrebbe consentito per davvero di asfaltare le opposizioni. Così non è andata. Il popolo è evidentemente entrato nel merito della proposta di riforma costituzionale ed ha votato contro il governo. Non c’è ombra d dubbio in proposito. Nonostante venisse prospettato che un eventuale di un rigetto della riforma costituzionale avrebbe determinato un crollo dei mercati finanziari, proprio come era successo a Londra nello scorso giugno con il voto a favore di Brexit, sia pure di stretta misura. Lo aveva addirittura stigmatizzato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il terremoto per fortuna non c’è stato. C’è stato invece un “voto politico” contro l’esecutivo. Per cui l’unica chance che il Pd di Renzi ha per recuperare un po’ di credibilità è tornare quanto prima davanti al corpo elettorale per verificare la solidità di questa maggioranza di governo che, si ricorda, è stata determinata da una legge elettorale incostituzionale. Tant’è che siamo in attesa di una nuova legge elettorale che si differenzi nettamente sia dal Porcellum sia dall’Italicum. Magari anche ipotizzando un ritorno al proporzionale, visto che sono tre gli schieramenti che si contendono la leadership e tutti, sia il Pd, sia il M5S (che è ormai una realtà che convince un terzo degli elettori italiani), sia i partiti del centrodestra qualora si presentassero uniti sotto lo stesso segno zodiacale hanno la stessa probabilità di agguantare un 30% di consensi. Non di più. E’ lontano per il Pd il record del 40,8% delle europee del 2014. Gli italiani si sono espressi. Non bisogna tradirne le attese. Come altre volte è avvenuto. Si pensi ai governi del Presidente. Si pensi alla cacciata da Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi avvenuta nel 2011. Mario Monti non era stato indicato dagli elettori ma da Napolitano. Idem dicasi per Enrico Letta. Per non parlare dello stesso Matteo Renzi. Il quale ultimo è riuscito nell’ardua impresa di essere il rottamatore di se stesso. Bah. Notevole il ragazzo. Stare un po’ fuori dalle stanze dorate del Palazzo di Piazza Colonna farà bene al nostro ex premier. Tanto Paolo Gentiloni lavorerà per lui… O no?

Marco Ilapi

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L'imbarazzo di Renzi, due fratelli al suo servizio

Antonella e Domenico Manzione, fratelli, hanno imboccato una sfolgorante carriera: una volta a Firenze alla corte di re Renzi la vigilessa (Antonella) è stata contestata persino dal Pd perché i gli incarichi di comandante dei Vigili urbani e direttore generale del Comune sono incompatibili per legge. Oggi è capo dell'ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Anche il fratello (Domenico), magistrato, ha fatto carriera: è diventato sottosegretario all'Interno nel governo Letta, «in quota renziana», come lui stesso ha specificato in un'intervista, cioè «per indicazione derivante da Renzi basata su ragioni di conoscenza, di affetto, di amicizia e di stima personale»; ovvie ragioni che spiegano perché il suo amico affettuoso e riconoscente, una volta divenuto premier, lo ha riconfermato.

I fratelli Manzione a Palazzo Chigi

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Mani di Matteo sulla Rai

Hanno davvero ragione gli oppositori del premier: se Silvio Berlusconi avesse osato fare solamente una piccola parte degli atti legislativi e non dell’ex sindaco fiorentino, ebbene, l’intero Paese sarebbe sceso in piazza. Chissà perché a Matteo Renzi viene consentito quel che a nessun altro uomo politico di ben altra levatura a partire da Alcide De Gasperi, per passare ad Amintore Fanfani, Aldo Moro e Giulio Andreotti è stato permesso di fare? La risposta è piuttosto semplice. Anche se indigeribile. Sono morti i partiti. Da tempo. Il problema è vissuto anche all’estero, dove Angela Merkel governa incontrastata e sembra coltivare l’intenzione di ripresentarsi per la candidatura al cancellierato fra due anni e fors’anche nel 2021  C’è da sottolineare che la situazione della Germania è ben diversa da quella nostrana. I tedeschi, dall’introduzione dell’euro, si sono certamente arricchiti, gli italiani, invece, si ritrovano impoveriti. E di molto. C’è qualcosa che non funziona in questa Europa. Se almeno gli europei, in particolare quelli che si affacciano sulla sponda del Mediterraneo, potessero essere certi di prospettive di un’unione europea vera e non fasulla, con medesime politiche economiche, fiscali e sociali, sul modello degli Stati Uniti d’America,  probabilmente il rifiuto di tutto quel che fa (sul controllo severo e arcigno sui bilanci degli Stati membri) o non fa (sulle politiche dell’immigrazione e di armonizzazione della fiscalità, per esempio) Bruxelles, ci sarebbe meno timori per le cure “lacrime e sangue” cui Grecia, ma anche l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Francia vengono sottoposti dalle decisioni di persone non elette con suffragio universale (Commissione Europea, Troika e Fmi). L’avere poi accettato di introdurre in Costituzione il Fiscal Compact è stato un errore incredibile, incommensurabile. Il pareggio di bilancio è una misura ovviamente ragionevole. Ma in condizioni date (la disoccupazione che cresce, la mano del Fisco sempre più soffocante sui redditi dei soliti noti, lavoratori dipendenti e pensionati, l’evasione fiscale che supera i 100 mila miliardi di euro l’anno e poco si fa per contrastarla) il nostro Paese come può sperare di recuperare il gap con le economie di Germania e Gran Bretagna? L’Italia avrebbe bisogno di uomini di governo all’altezza della drammatica situazione in cui si trova. Non ci sono all’orizzonte personalità del mondo politico di spicco. Dobbiamo accontentarci di mezze cartucce come Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Denis Verdini. Da qualche osservatore  definiti responsabili. Alla Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. Dico io. Qualcun altro sostiene che si tratti di salto della quaglia o di salto sul carro del vincitore. Fa lo stesso. La verità è che c’é un esproprio di democrazia a favore di una oligarchia piuttosto squalificata. Almeno fossero stati “eletti” dagli italiani. Invece no. Sono stati tutti “nominati” dalle segreterie particolari di tre o quattro leader di partito (Renzi, Berlusconi, Alfano). Di più, fossero uomini e donne capaci, niente da obiettare, ma si distinguono solo per la “fedeltà” al capetto di turno. In Europa, infine, sono state catapultate le seconde e terze linee, mentre la Germania fa eleggere a Bruxelles e Strasburgo personalità che hanno studiato per lavorare con serietà e scrupolo nel contesto europeo. Renzi dovrebbe avere un sussulto d’orgoglio , anziché aggredire ad ogni piè sospinto  i “gufi” che si anniderebbero nel suo partito, andare da Angela Merkel, battere i pugni sul tavolo e pretendere che fino a quando i problemi della disoccupazione in Italia saranno allarmanti (come in questi ultimi anni) non saranno risolti (e i tassi si allineeranno a quelli tedeschi, per esempio), ebbene è indispensabile che si consentano politiche economiche di sviluppo, con interventi dello Stato sulle infrastrutture, in particolare nel Sud Italia e nelle isole, senza creare carrozzoni sul modello vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Barack Obama così ha fatto negli Stati Uniti. Su questa strada deve avviarsi anche l’Unione Europea. Renzi, se ci sei, batti un colpo! E non ti occupare solo della Rai. Gli italiani non hanno bisogno del megafono di Palazzo Chigi.

Marco Ilapi, 10 agosto 2015

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