Renzi è il momento di fare delle scelte

Hanno ragione i dirigenti del partito democratico che contestano gli atteggiamenti un po’ sbruffoni del premier Renzi. Il premier si è tenuto l’incarico di segretario del partito per evitare che la guida dello stesso potesse cadere in mani nemiche (Cuperlo? Civati?...). L’Italia non è la Gran Bretagna, dove il segretario del partito che vince le elezioni diventa, in automatico, anche capo dell’esecutivo. La storia della democrazia inglese è piuttosto diversa da quella nostrana. In Albione non sono presenti quella quarantina di partiti e partitini che sconvolgono (è il caso di sottolineare) la vita politica del Paese. In Italia bastano un Mastella, un Bertinotti , un Casini o un Fini qualsiasi per mandare a carte quarantotto un governo che, al suo nascere, può contare su una maggioranza più che solida. Si è approvato, in prima lettura, l’Italicum ma, la sensazione più diffusa, è che sia una legge elettorale addirittura peggiorativa rispetto al vituperato Porcellum. Si sta cercando di modificare la struttura del Senato della Repubblica, ma anche in questo caso il grado di insoddisfazione della cittadinanza è palpabile: si sta consegnando un grande potere (anche legislativo su questione fondamentali per la convivenza civile) a rappresentanti dei consigli regionali che certamente non hanno dato prova di particolari virtù. I casi Fiorito, Renzo Bossi e Cota gridano vendetta. Quasi tutte le regioni hanno parecchi scheletri nei loro armadi. La magistratura se ne sta occupando da qualche anno. Renzi ha voluto abolire le provincie ma i risparmi dove sono? Avrebbe, a mio avviso, pretendere una riorganizzazione dello Stato su basi più ampie e proporre la creazione delle macroregioni, come suggerito anni addietro dalla Fondazione Agnelli. I risparmi sarebbero stati ben più consistenti. Com’è possibile tenere in piedi due regioni come la Valle d’Aosta ed il Molise che, insieme, non fanno gli abitanti di una media città italiana? Renzi deve accettare una guida collegiale del suo partito e non cadere nella trappola che gli sta tessendo Silvio Berlusconi in combutta con Angelino Alfano, i quali si stanno accordando per riunificare tutto quel che resta del centrodestra e alla luce del sole. Come mai non se ne accorge? Ha, evidentemente, cattivi consiglieri intorno a sé. Finirà come Mario Monti e come Enrico Letta. O fa le riforme che urgono al Belpaese o si prepari a fare le valige. Si rammenti che anche il prof. Monti ha goduto di una lunga, lunghissima luna di mele con i partiti e con l’elettorato si di centro sinistra che di centrodestra. Gli italiani ancora lo sostengono, ma possono anche all’improvviso decidere di voltargli le spalle. Sono creduloni sì, ma quando la misura è colma… Lo hanno già dimostrato parecchie volte. Va bene insistere sugli 80 euro, va meno bene sostenere che il suo governo non ha aumentato le tasse. La Tari e la Tasi che sono sono? Matteo ha fatto tante (troppe) promesse. Il difficile è, adesso,  realizzarle. Enrico Letta (hastag Enrico, stai sereno…) si starà sbellicando dalle risa, perché il premier che lo ha defenestrato in modo brutale da Palazzo Chigi non ha ancora mantenuto una promessa che è una. Il Senato sta ancora lì. Ce ne vuole perché sia di fatto cancellato. La legge elettorale, uguale. Il Jobs Act, idem. Di presidenti del consiglio che hanno promesso mirabilie (non ultimo l’ex Cavaliere, disarcionato da … se stesso) per riportare il Belpaese ai grandi fasti del passato (ormai quasi remoto) ce ne sono stati molti. Lo stesso Mario Monti aveva incautamente parlato di “una luce in fondo al tunnel della crisi”. Siè visto come sono andate le cose. Come stanno andando le cose. Un sano scetticismo non guasta nell’ascoltare le parole del nostro premier. Renzi incominci a circondarsi di persone competenti e capaci e non solamente di belle statuine. Prima di lui lo aveva fatto Berlusconi e si sa come le cose sono andate a finire. Impari ad ascoltare chi vuole davvero bene al Paese. Eviti le rotture frontali e ascolti chi vuole il bene dell’Italia. Il premier eviti di restare sul piedistallo in cui il disfacimento dei partiti (tutti o quasi) lo ha inconsapevolmente aiutato ad installarsi per evitare il fracassarsi le ossa quando il vento soffierà contro, se le sue tante (troppe) promesse non si realizzeranno. Come i suoi oppositori auspicano. Come i suoi tanti sostenitori temono. Il matrimonio in vista tra Fi e Ncd non promette nulla di buono per il segretario del partito democratico. Matteo faccia l'interesse degli italiani o non gli interessi della sua bottega fiorentina.

Marco Ilapi

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Onu dove sei?

Il mondo è in fiamme e le Nazioni Unite hanno dato forfait. Focolai di guerra un po’ dovunque e i leader dei cinque continenti si baloccano le responsabilità e le situazioni belligeranti esplodono a due passi da casa nostra: in Ucraina, nel nord dell’Iraq con le prepotenze dell’Isis, nel medioriente con la lunga battaglia a Gaza tra i palestinesi di Hamas e gli israeliani di Benjamin Netanyahu che ha seminato migliaia di morti, tra cui moltissimi bambini. L’impressione è che ci si stia arroccando intorno alle proprie mura di casa, sottolineando i problemi di un’economia che ha smesso di crescere e cha da oggi riguarda anche la Germania. Segno che le ricette messe in campo hanno clamorosamente fallito e che occorre cambiare passo e direzione di marcia. Nemmeno tanto subdolo

La crescita del pil di un paese è un fatto sicuramente importante, perché significa che c’è lavoro, produzione e consumi. Ma un occhio di riguardo i grandi della Terra dovrebbero riservarlo anche a quel che accade in altri angoli del pianeta. Se l’Onu e la Nato fossero delle organizzazioni che hanno a cuore le sorti dei popoli, non ci sarebbe stato un Vladimir Putin che avrebbe favorito la secessione nella penisola di Crimea, a tutti gli effetti regione dell’Ucraina, uno stato indipendente e sovrano. E’ strano che il presidente degli Stati Uniti sia rimasto silente sulle gravissime mosse dell’uomo del Cremlino. Il quale sta cercando in modo nemmeno tanto subdolo di favorire la disgregazione dell’Ucraina, con la pretese della creazione di un altro stato satellite di Mosca. Del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite meglio non parlare. E’ tristemente assente. A questo punto sarebbe preferibile che venisse cancellato con un tratto di penna e le risorse assegnate agli stati che ne hanno un vitale bisogno (Iraq, Palestina, Libia, Siria, Ucraina, ecc.). Così come sarebbe ora che le seconda sede dell’Unione Europea (Strasburgo) venisse definitivamente abolita, perché costosa e inutile. Con tante grazie ai francesi di Hollande. Lo stesso potrebbe affermarsi per quel che è e che fa la Nato.

Per quel che riguarda le economie dei vari paesi, sarebbe opportuno che venisse preparata una nuova Bretton Woods. Il problema è che i leader in circolazione non sembrano all’altezza di un compito così gravoso. Ma se si vuole salvare il pianeta dalla deflagrazione occorre che i media di tutto il mondo spingano nella direzione di acconciare delle politiche di unione (economica, sociale, militare, ecc.) e non di disunione. Così come sta accadendo da troppi anni a questa parte.

Onu, dove sei? Nato, dove sei? Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che fate? Il mondo è in fiamme e voi continuate a stare seduti nelle vostre supercomode (e super pagate) poltrone. Agite, prima che sia troppo tardi.

Marco Ilapi

http://www.echeion.it/wp-content/themes/Echeion/images/bg-pattern.png); background-attachment: initial; background-size: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-position: initial; background-repeat: repeat;">                          Caro Onu, ma dove sei?    

L’estate del 2014 verrà molto probabilmente ricordata come una delle più turbolente, viste le preoccupanti evoluzioni a livello di politica e sicurezza internazionali. Il riaccendersi, qualche mese fa, del devastante conflitto arabo-israeliano nella già triste e martoriata striscia di Gaza e l’insieme degli avvenimenti che in questi ultimi giorni scuotono i territori e le popolazioni dell’Iraq,hanno infatti generato un clima di forte instabilità e tensione, mettendo a dura prova i già fragili e vacillanti equilibri presenti in alcune parti del mondo. E mentre si diffondono indiscrezioni circa possibili interventi diretti (di diverso genere) da parte di singole autorità nazionali, specie nei territori iracheni, sarebbe legittimo chiedersi dove sia e cosa faccia l’Onu, ovvero una forte autorità sovranazionale, di fronte a simili situazioni.

La nascita delle Nazioni Unite, avvenuta nell’ottobre del 1945, fu essenzialmente determinata dal desiderio di conseguire l’obiettivo, tutt’oggi valido, di mantenere la pace e la sicurezza a livello mondiale. Al riguardo, l’articolo 1 della stessa Carta Onu smentisce ogni dubbio: si legge esplicitamente che compito dell’organizzazione è «prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace». Parole queste che, se fossero tradotte alla lettera, potrebbero consentire realisticamente la fine di quelle stesse violenze e aggressioni sparse oggi nel mondo, ma che non riescono a trovare una effettiva applicazione per il prevalere di altri interessi e posizioni.

Sia i recenti eventi palestinesi, sia quelli iracheni hanno visto le Nazioni Unite fino ad ora – e quasi sicuramente anche nel prossimo futuro – limitarsi apronunciare soltanto semplici condanne contro i vari atti di aggressione inscenati. Agli appelli e alle dichiarazioni del Segretario generale, Ban Ki-Moon, pur nobili e di valore con espressioni del tipo: «In nome dell’Umanità, la violenza deve interrompersi!», non hanno fatto cioè seguito precisi, seri ed eventualmente diretti impegni, bensì solo una drammatica impotenza e un triste silenzio.Episodi simili dovrebbero essere affrontati, invece, alla stregua del Diritto Internazionale e delle disposizioni Onu, applicando quindi concretamente i provvedimenti e le soluzioni da esso appositamente previste.

 

Le Nazioni Unite, insomma, hanno il dovere certamente giuridico e morale di intervenire e ciò va consentito, almeno in questi gravi casi, eliminando tutti gli esistenti ostacoli, a cominciare da quel bloccante diritto di veto esercitato da alcuni Paesi in seno al Consiglio di sicurezza. Quella pace e quella sicurezza tanto ricercate e predicate non possono essere né interrotte da fanatiche imprese e smanie di potere di alcuni, né assicurate o disposte da singoli “big” in via esclusiva. Poiché esse sono, e devono rimanere, diritto e pretesa di tutti.

Loris Guzzetti

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La batosta che Matteo non si aspettava

Che il Pil sia ulteriormente sceso non era previsto da nessuno. Temuto sì, ma non previsto. Ovvio che i gufi aspettassero al varco il dato Istat sulla crescita del prodotto nazionale per il secondo trimestre per incastrare un premier un po’ troppo furbetto e che un giorno sì e l’altro pure lasciava capire che la situazione economica dell’Italia era perfettamente sotto controllo e che a fine anno gli indici avrebbero dato ragione a lui ed al superministro Padoan. Putroppo i gufi erano annidati a Palazzo Chigi. Se Renzi, insieme al sodale Padoan, non volta pagina, i triste destino del Bel Paese è già bello e segnato. In previsione un autunno caldo, con i sindacati sulle barricate ed elezioni nella prossima primavera e non è affatto detto che a stravincerle sarà il partito democratico. Intanto continuiamo a baloccarci sulle riforme del Senato e della legge elettorale, considerando che siano la panace di tutti  mali italiani. Non è così. Da mesi non si parla d’altro. La situazione economica è nuovamente sull’orlo del precipizio e bisogna reagire immediatamente. Occorre affrontare di petto il nodo della riduzione dell’elevatissima pressione fiscale, non più tollerabile. Risponde a verità che le tasse le pagano i soliti noti (lavoratori dipendenti e pensionati), che l’evasione fiscale ha raggiunto vette assurde (c’è chi quantifica in oltre 150 miliardi il gettito che sfugge al Fisco), che il costo della corruzione supera ormai i 60 miliardi di euro l’anno, che il fatturato della Malavita SpA (completamente esentasse) ha raggiunto 1 136 miliardi di euro, e che appare necessaria una svolta. E’ anni che ci si crogiola in dibattiti che non risolvono i problemi. Sarebbe opportuno che il premier impostasse una legge di stabilità in cui al centro inserisse l’obiettivo di una drastica riduzione del peso dello Stato con diminuzione immediata del prelievo fiscale su tutti i redditi, aderendo magari alla richiesta della Lega Nord che ha proposto un’aliquota fissa del 20% che potrebbe permettere a chi evade (e si sa che sono tanti, tra imprenditori e liberi professionisti, commercianti e artigiani, perché negarlo?) di mettersi in sintonia con una nuova stagione di fedeltà fiscale. Renzi imiti Reagan degli anni Ottanta. Questo per un periodo di 5 anni. Dopo si cambierà registro. L’Italia è con l’acqua alla gola. Il paese non ce la fa più. E la prima mossa spetta al governo. Si è in piena emergenza. E quest’emergenza dura da oltre 7 lunghi anni. Ne è passata di acqua sotto i ponti: governo Berlusconi-Tremonti, governo Monti-Grilli, governo Letta-Saccomanni e, oggi, governo Renzi-Padoan. Qualcosa non funziona in questo martoriato paese. Chi dirige il concerto a Palazzo Chigi è Matteo Renzi. Tocca a lui ammettere il segno di un fallimento della sua proposta poitico-programmatica (l’Enrico stai sereno deve diventare un Matteo stai sereno…) e finalmente cambiare registro, e anche (perché no?) alcuni musicisti della sua orchestra. Il paese gliene sarà grato.

Marco Ilapi

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