Le elezioni truffa del 25 settembre. Nessuno ne parla

Perchè scriviamo di elezioni truffa? Perchè, dopo la drastica riduzione del numero dei parlamentari, pretesa e imposta dal M5S, i partiti non sono stati capaci (o non hanno voluto) di porre mano al cambiamento di una pessima legge elettorale. Il famigerato Rosatellum. Se da diverso tempo abbiamo tanti parlamentari che non raccolgono la nostra stima, diciamo la verità. La colpa è sicuramente nostra. Di elettori un pò distratti. E per un motivo semplice. Sia alla Camera che al Senato mandiamo personaggi non all’altezza dell’alto compito di legislatori che devono assolvere. Fare delle buone leggi. Quindi parte della responsabilità di cattive in vigore è degli elettori. Molte cose, però, si potrebbero ugualmente fare. Ad esempio costringere i partiti ad impegnarsi nei primi 3-mesi-3 della prossima legislature a modificare la legge elettorale. A tal proposito si sottolinea che un leader politico che, per qualche tempo è stato anche ministro dell'Interno, sosteneva che parlare di leggi elettorali era fuorviante. Ma alla base delle buone scelte di un candidato da parte dell'elettore, c'è proprio la possibilità, anzi la necessità di disporre di una legge elettorale che restituisca ai cittadini la scelta del parlamentare. Lo schieramento politico attuale e quello che uscirà dalle urne il 25 settembre non lascerà certo i segni del cambiamento auspicato da un Paese in grande diffcioltà. È almeno dal 2011 che la situazione è degenerata. Però è da decenni che i nostri baldi parlamentari parlano, discettano ma non fanno. E così, dopo il referendum Segni, boicottato da Craxi , ma non solo da lui, con un “andati tutti al mare’’, abbiamo avuto un bel Porcellum, con le liste bloccate (con i candidati scelti dai partiti), quello del leghista Calderoli, quindi il Rosatellum. (anche questo con i candidati scelti dai partiti).  Un disastro dietro l’altro, insomma. E noi elettori niente abbiamo proposto. Siamo rimasti inerti.  Come se la questione non ci riguardasse. E invece di riguarda. Eccome! Abbiamo milioni di giovani che potrebbero votare e che l’attuale legislazione lo impedisce. Abbiamo un piccolo numero di deputati e di senatori eletti nei collegi all’estero. Che magari non sanno niente dell’Italia e vengono (e verranno il 25 settembre 2022) eletti. Chissà con quali sistemi, visto che ad ogni elezione, in tutte le latitudini della Terra si parla sempre di brogli. È accaduto nel 2006. Ricordate? Ci fu qualcuno che scrisse anche un libro. Pur essendo consapevoli delle evidenti storture della legge elettorale con cui una parte di noi andrà a votare, noi, supinamente, abbiamo accettato e continuiamo ad accettare questo stato di cose. Perchè un candidato può presentarsi in più collegi elettorali? Già questo solo fatto è un inganno mostruoso. Anni fa due candidati, nome e cognome, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, si sono presentati in ben 25 collegi. Evidentemente in tutti questi collegi hanno sbancato e sono stati eletti. Quale inganno per gli elettori? Anche un bambino che frequenta la quinta elementare lo intuisce. L’eletto può solamente scegliere un collegio, non può sceglierne 25. A scalare vengono eletti il secondo in gradutoria, il secondo, il terzo, il quarto dei candidati e così via. Sarebbe opportune ribellarsi a questo stato di cose. E infatti molti italiani così fanno. E non vanno a votare. Si astengono. O votano scheda bianca. O annullano la scheda. Lo schema verrà ripetuto con l’attuale legge elettorale, il vituperato da tutti Rosatellum. Poi c’è anche un altro aspetto deteriore, ormai super collaudato dalle segreterie dei partiti, di tutti i partiti. Nessuno escluso. Già come elettori non possiamo scegliere il candidato preferito, inoltre i territori sono stati espropriati dalla possibilità di indicare personalità, appunto, del territorio e perciò stesso conosciute ed apprezzate per le loro capacità amministrative e per le loro competenze. Per fare le leggi appare necessario se non indispensabile un’approfondita conoscenza dell’argomento di cui si dibatte. Non basta che un capo-bastone suggerisca di alzare la manina, perdon, premere un pulsante, così,  comando. E la legge, così formatasi, è una buona legge. No. Mille volte no. Un altro altro particolare che mi preme sottolineare, è che bisogna consentire il voto postale, se non addirittura, sdoganare il voto via web. Con tutte le garanzie del caso. Ma tanto di brogli si continuerà a parlare sempre. E saranno gli sconfitti a lagnarsi. Così è stato nel 2006 con Berlusconi che accusava Prodi di avere vinto con carte taroccate (leggasi brogli). Così è successo negli Stati Uniti con la vittoria di Biden su Trump, con il tycoon che ha smosso mari e monti per vedere riconosciuti le sue pretese alla vittoria bis alla Casa Bianca nel 2020. C’è da scoraggiarsi e da suggerire di non recarsi a votare. Il partito che avrà guadagnato il maggior numero di consensi non sarà il vero vincitore della tornata elettorale. Che sia la triade Fratelli d’Italia della Meloni, la Lega a guida Salvini e Forza Italia del sempre redivivo Berlusconi, consapevole o convinta di avere i numeri dalla sua parte a prevalere, può anche avere un largo consenso nelle urne che siapriranno il 26 settembre, ma in verità a vincere le elezioni sarà il partito del non voto. Gli astenuti. Il che la dice lunga sulla bontà dell’esito delle prossime politiche. Chi avrà vinto non potrà davvero urlacchiare di avere il consenso di gran parte dell’elettorato. Perchè non è così. E lor signori, Meloni, Letta, Salvini, Berlusconi e C. lo sanno bene. Si impegnino davanti al notaio di modificare il Rosatellum che si è manifestato come un vero e proprio disastro, per gli elettori (cui viene impedito di scegliere il proprio candidato) e per il Paese, ma una manna dal cielo per le segreterie dei partiti. Per Giorgia Meloni, per Enrico Letta, per Silvio Berlusconi e C. Forse è proprio per questo motive che il bla-bla-bla dei vari leader non riesce ad essere recepito dalla gran parte dei 45 milioni di italiani che avrebbero diritto a scegliersi il candidato giusto, sul territorio e del territorio. Non calato dall’alto. E, infine, mai più pluri-candidature. Che sono il trucco a cui ricorrono tutti. Sarabbe giusto che se uno non viene eletto nel suo collegio, se ne stia a casa. A meditare.

Marco Ilapi, 1  settembre 2022

 

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Piddini disorientati e le amministrative si avvicinano

Le elezioni locali non sono mai soltanto locali, figuriamoci quando gli elettori sono chiamati a scegliere il sindaco di capitali come Roma e Milano e di grandi città come Bologna, Torino e Napoli. Mai come questa volta però, almeno dai tempi di Gianfranco Fini candidato a Roma nel 1993, il significato del voto potrebbe avere una rilevanza nazionale. Il commento di Christian Rocca su Linkiesta.

Il Pd deve decidersi chi condurre all'altare!

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Pd e Forza Italia, partiti allo sbando

Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice un vecchio adagio.  E sembra proprio così. Il partito del rottamatore non sa più che pesci prendere. Adesso viene affidato al grigio funzionario Maurizio Martina, il quale ben poco riuscirà a fare. I buoi sono scappati dalle stalle e nessun demiurgo riuscirà nei prossimi settimane-mesi ad invertire la rotta. I guai del partito democratico vengono da lontano ed i protagonisti che hanno determinato il crollo dei consensi sono piuttosto noti. Si pensi a quel che è accaduto quando il presidente della Repubblica Napolitano ha sbalzato dal cadreghino Berlusconi sostituendolo con Mario Monti. Il Paese sarebbe dovuto andare immediatamente al voto anticipato e così il partito democratico, allora guidato da Pierluigi Bersani, avrebbe conquistato Palazzo Chigi senza colpo ferire, vista la condizione comatosa dell’ansimante governo Berlusconi. E invece … Quindi, primo colpevole della crisi dem è proprio Giorgio Napolitano, con le sue trovate mirabolanti. La democrazia ha vissuto un periodo (lungo) di sospensione. Fiaccato anche l’esecutivo Monti, che, si vuole ricordare agli smemorati, ha goduto dell’approvazione di quasi tutti i partiti rappresentati a Montecitorio e a Palazzo Madama, eccezion fatta per la Lega  Nord, si è andati alle urne nel febbraio del 2013 con la presenza ingombrante della new entry del professore bocconiano che, a torto, presumeva ormai di poter raccogliere, con la sua Scelta Civica i consensi di vasti strati dell’elettorato deluso sia da centrosinistra che dal centrodestra. Non è andata davvero così. O meglio, ha raccolto una messe di voti importante ma che non ha saputo capitalizzare. Monti avrebbe dovuto evitare di commettere l’errore di scendere in campo e ritagliarsi per sé il ruolo di riserva della Repubblica. Sarebbe stato certamente eletto al Quirinale. Le cose sono andate diversamente. Il movimento montiano è rapidamente evaporato come neve al sole e i parlamentari di Scelta Civica sono trasmigrati nelle file del Pd (Andrea Romano, Carlo Calenda, Stefania Giannini, Pietro Ichino, Linda Lanzilllotta, Gianluca Susta,  Alessandro Maran, Ilaria Borletti Buitoni e Irene Tinagli). Tanti i  volta gabbana nella storia italiana. Ad aiutare il Pd renziano, con risultati catastrofici, vista la fine che ha fatto gli esecutivi Letta-Renzi-Gentiloni. Per non ricordare la rielezione al Colle del vecchio Napolitano (cosa mai accaduta prima in Italia che un inquilino del Colle bissasse il mandato), gli insulti di questo ai parlamentari ammutoliti, la corsa alle riforme imposte dall’Unione Europea, l’aver sprecato un anno e più per lavorare ad una profonda (forse un po’ troppo …) riforma costituzionale che poi non è andata a buon fine per colpa esclusivamente dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro delle riforme Maria Elena Boschi. Si pensi anche all’affossamento della candidatura al Quirinale di Romano Prodi da parte dei 101 parlamentari dem (qualche osservatore delle cose del Palazzo ha anche suggerito che è stato lo stesso Renzi a causare lo smottamento delle truppe dei democratici, chissà …). Un altro errore macroscopico è stato compiuto dai parlamentari neofiti del M5S, con quel drammatico testa a testa tra il duo Bersani-Letta e i capigruppo dei Cinquestelle Crimi e Lombardi. Tutti ricordiamo. Come sarebbe stata l’Italia oggi, con Mario Monti o Romano Prodi al Quirinale, e non l’incartapecorito Giorgio Napolitano che, si intuiva (sarà per l’età piuttosto avanzata), che non aveva più voglia né desiderio di stare al Colle un minuto oltre la scadenza naturale e che ha accettato perché supplicato dai 945 parlamentari della Repubblica. Tant’è che si è ritirato ben presto a vita privata (come senatore a vita, però, e pagato da noi) dopo avere constatato che l’esecutivo di Enrico Letta non mostrava la capacità di fare le riforme richieste dall’ Europa (si ricordi la lettera di Trichet e Draghi dell’agosto del 2011), il buon Giorgio Napolitano ha individuato nel sindaco di Firenze Renzi, nel frattempo diventato segretario del partito democratico, la persona adatta per guidare un governo che, sotto la guida di Enrico Letta, visibilmente annaspava nel pantano. Mesi dopo sono arrivate le europee, il boom del 40,8% che ha ringalluzzito il boy scout di Rignano sull’Arno, le proposte choc di Matteo di cambiare, alla sua maniera, il volto dell’Italia. Operazione che, purtroppo, è abortita, nonostante gli sforzi delle sue truppe. Quindi l’esito nefasto del referendum del 4 dicembre 2016 che ha comportato l’abdicazione a favore di Paolo Gentiloni, con tutti i suoi fedelissimi rimasti, però, ben abbarbicati alle seggiole governative. Come a dire, a Palazzo Chigi è stato piazzato un fantoccio tele-diretto da Rignano sull’Arno.  Si provi a sostenere il contrario. L’inconcludenza dell’esecutivo, il tirare a campare di andreottiana memoria, il ricorrere con una frequenza mai vista al voto di fiducia, l’uscita dell’ala bersaniana dal partito che ormai era diventato renziano (era nato il PdR, insomma), l’appoggio da parte del gruppo d Denis Verdini, hanno fatto il resto. Il partito democratico non esiste più da diversi anni. Dal 40,% è precipitato al 19%. Tutto questo Renzi ha fatto. Non c’è da meravigliarsi che a raccoglierne i cocci sono stati quelli del M5S. Non è che a Silvio Berlusconi sia andata meglio. Anche lui ha commesso una serie impressionante di errori. Aveva il Paese in pugno. Ha governato senza un’opposizione tra il 2001 ed il 2006. Nel 2006, con Prodi a Palazzo Chigi, c’è stato il regalo di Mastella che ha, di fatto, consentito a Berlusconi di rientrare nella partita governativa. Una maggioranza schiacciante del centrodestra nel 2008 grazie al Porcellum di Calderoli (46,8% contro il 37,5% di Walter Veltroni, allora segretario dei dem). Tutto questo vanificato a causa dell’arroganza del potere vuoi, prima, di Silvio Berlusconi che nel tempo è riuscito a bisticciare con Marco Follini, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Angelino Alfano, facendo naufragare il suo progetto politico. Quindi se Atene piange, Sparta non ride. Si potrebbe affermare se Berlusconi piange, Renzi non ride. L’Italia, purtroppo, ha una classe politica incapace di affrontare i problemi del Paese. Che sono il debito pubblico pazzesco, la corruzione che non si riesce a debellare, la burocrazia che la fa da padrona, la giustizia che non funziona, le tasse troppo alte, il lavoro cha manca. In questo contesto, non c’è da meravigliarsi che a farne le spese siano stati i due partiti storici, i democratici e Forza Italia, ex Pdl, ed i consensi siano stati intercettati dalla Lega di Matteo Salvini e dal Movimento Cinquestelle di Beppe Grillo. L’orizzonte si fa scuro. Che farà Sergio Mattarella? Seguirà gli esempi del suo predecessore? Speriamo di no. E’ preferibile il ritorno alle urne. Con una legge sul modello che ha consentito, nella Francia, ad Emmanuel Macron di insediarsi all’Eliseo e governare il suo Paese. Si deve introdurre un sistema maggioritario a doppio turno anche per le elezioni politiche. Altrimenti non se ne esce

Marco Ilapi, 21 marzo 2018

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