Conte 2 non può avere vita lunga

Questo governo non può durare. Il matrimonio tra il Movimento 5 Stelle ed il partito democratico è un’unione strampalata. Da più parti si è sottolineato come gli intenti di Luigi Di Maio, capo politico dei grillini, e di Nicola Zingaretti, segretario piddino, siano solamente ed escusivamente quello di tentare di sopravvivere. Se fossero andati anticipatamente alle urne nello scorso ottobre, avrebbero preso una scoppola di dimensioni ciclopiche. Le destre avrebbero certamente stravinto.

Al partito a guida Zingaretti non è parso vero cogliere l’opportunità di essere rimesso in pista dal clamoroso autogol di Matteo Salvini. Detto tra le righe, molti osservatori hanno suggerito che assai probabilmente il leader leghista di proposito ha sciolto il sodalizio con i pentastellati. Non aveva la minima voglia di attribuirsi la paternità di una legge finanziaria cosiddetta “lacrime e sangue”. Scelta che avrebbe dovuto fare se il matrimonio con i pentastellati fosse durato per tutto il periodo di gestazione della manovra di bilancio 2020. Con i 23 miliardi di euro di clausole Iva da sterilizzare. Con scarsissime risorse da disporre per rendere credibile un progetto di rilancio dell’economia del Belpaese (anche se Salvini aveva indicato in una cinquantina di miliardi di euro le somme da mettere a disposizione di cittadini e imprese per risollevare le sorti di un’economia che da più di vent’anni non cresce) il ragazzo ha fatto una furbata e ha lasciato il cerino nelle mani di Zingaretti e Di Maio. Certo che promettere un condono tombale avrebbe certamente solleticato le mire di milioni di evasori fiscali conclamati. Se è vero come è vero che il totale dei furti all’erario assommano a 109 miliardi di euro l’anno, di cui 36 miliardi per mancato pagamento dell’Iva e 34 miliardi per Irpef da lavoro autonomo e impresa. Fonte Il Sole 24 Ore. Insomma, la Lega non paga dazio. Ha lasciato ad altri la patata bollente di preparare la manovra di bilancio. Sostanzialmente una giocata da incallito pokerista. Un bluff che è, però, andato a segno.  Palazzo Chigi ha cambiato padrone, il Conte 1 non è uguale al Conte 2. Alla fine della fiera il buon Salvini riuscirà anche, alle prossime elezioni politiche (prima o poi si andrà a votare) a conquistare la premiership. In quel momento saranno dolori per l’attuale maggioranza. Che poi, in realtà, ha conquistato Palazzo Chigi in maniera un po’ truffaldina. Questo occorre, per onestà, riconoscerlo. Grazie al dettato costituzionale che consente un cambio di maggioranza senza dover ricorrere ad elezioni anticipate. Quelle a più riprese richieste, e non concesse dal Quirinale, dal leader leghista, nonostante ne sussistessero le condizioni, anche perché sia Zingaretti che Di Maio avevano sempre proclamato ai quattro venti che mai e poi mai avrebbero governato insieme, stante le distanze siderali dei rispettivi programmi.

Conte 2. L’anomalia di un capo del governo che passa da una coalizione ad un’altra è solo italiana. Quel che è accaduto è, costituzionalmente corretto, ma politicamente no. Si è sfaldata, ad agosto la maggioranza gialloverde,  e sarebbe stato più che conseguente e logico sciogliere le Camere e mandare tutti al voto. Ma a Sergio Mattarella non piaceva Salvini. Lo si è sempre intuito. Ha cercato di ostacolarlo e, Costituzione alla mano, c’è pienamente riuscito. Se avesse avuto il coraggio di mandare tutti a casa, avrebbe stravinto il centro-destra, e la situazione sarebbe stata assai più chiara. A questo punto bisognerebbe davvero por mano ad una riforma della Costituzione laddove dev’essere sottratta al Capo dello Stato la possibilità di essere il giudice di ultima istanza della vita del governo e lasciarla, come in Gran Bretagna, per fare un esempio, nella discrezionalità del capo dell’eesecutivo. Così ha fatto Boris Johnson a Londra. E opportuno, a mio avviso, riflettere anche sulla possibilità di passare da una repubblica parlamentare ad una di tipo presidenziale, come in Francia. Per evitare tre governi in un solo anno. Come di sovente è accaduto in Italia. Queste due ultime ipotesi migliorerebbero la vita politica del nostro malato e sciagurato Paese. Si dirà meglio tardi che mai. Con il governo giallo-rosso i problemi del Paese sono ben lontani dall’essere né affrontati né, tantomeno, risolti. E’ anche di tutta evidenza l’intenzione degli attuali governanti di evitare di andare al confronto elettorale prima dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. C’è un non detto che vuole impedire la nomina al Colle di un uomo espresso dal centro-destra. C’è, infatti, chi parla dell’ipotesi di un Silvio Berlusconi al Quirinale,  di Liliana Segre o del pericolo Romano Prodi o Mario Draghi. Su quest’ultimo nominativo sembra, a dire la verità, che si siano pronunciati favorevolmente gli stessi leghisti. I quali, comunque, ultimamente, hanno espresso posizioni meno ostili verso l’Unione Europea e la Commissione di Bruxelles. D’altronde, siamo in Europa, e le aziende, in particolare quelle del Nord, ma non solo, ormai vivono in un contesto economico transnazionale e non si può certamente tornare indietro. Dall’introduzione dell’euro sono trascorsi quasi vent’anni. Non si può far finta di niente.

Le clausole di salvaguardia. L'incubo Iva è solo rimandato al prossimo anno.
Nella manovra economica, che il governo giallo-fucsia (per dirla con il filosofo Diego Fusaro) ha concordato con l'Europa, sono inscritte alcune clausole salva deficit tra cui il congelamento dei risparmi di Quota 100, il mantenimento del reddito di cittadinanza. La spada di Damocle delle clausole di salvaguardia ce le ritroveremo anche il prossimo anno. Purtroppo. Forse sarebbe stato preferibile rivoluzionare le aliquote Iva e liberare risorse per il sostegno delle retribuzioni di milioni di lavoratori dipendenti e non, oltre che dei pensionati a meno di 1000 euro al mese. Questo coraggio il governo M5S-Pd non lo ha avuto.

A mio avviso Conte 2 avrà vita breve. E’ guida di un esecutivo male assortito, che ha davanti a sé problemi insormontabili. La legge di bilancio da far quadrare. E non sarà impresa agevole. La legge elettorale da approvare nel giro di pochi mesi. La questione giudiziaria in tempi brevi da affrontare (dal primo gennaio dovrebbe entrare in vigore la riforma della prescrizione, che i pentastellati vogliono e i dem non amano eccessivamente). Si dovrà operare una scelta tra il sistema maggioritario e quello  proporzionale.

Infine ci sono i temi economici. Giganteschi. Il tema del Mes, del salva-stati. Con il Pd d’accordo ed il M5S contrario. La questione riforma della giustizia. Quella Alitalia. La questione ex Ilva, oggi Arcelor Mittal. I problemi del dissesto idrogeologico che interessa l’intero territorio nazionale, oggi un altro viadotto che è crollato sull’autostrada Torino Savona. Adesso si precipita a Roma Beppe Grillo a commissariare Luigi Di Maio. Con questo gesto mette il dito sulla crisi dei pentastellati che faticano a ritrovare una comunione di intenti, dibattuti tra la linea Di Maio, quella Fico e quella Di Battista.

Riuscirà il governo Conte 2 a fare la quadratura del cerchio e a sopravvivere con questa serie di Everest da scalare, d’inverno e a piedi nudi. Per questi motivi e per mille altre ragioni l’azzeccagarbugli Conte non riuscirà. Non è questione di essere di destra, di centro o di sinistra. Questo esecutivo si disinteressa dei drammi, su diversi fronti, del Belpaese e punta in modo plateale e strumentale ad arrivare con questa anomala maggioranza all’eezione del successore di Sergio Mattarella. Alcuni dicono per impedire l’ascesa al Quirinale di Romano Prodi e, magari, piazzare sul Colle il sig. Silvio Berlusconi. In mezzo c’è il gruppo di Italia Viva che può decidere in qualsiasi momento di togliere la fiducia a “Giuseppi”.

Marco Ilapi, 25 novembre 2019

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Assalto al potere della truppa di Casaleggio

L’assalto al Potere da parte dei Casaleggio avvenne un giorno di inverno del 2004. L’illuminazione di Gianroberto, fondatore del Movimento Cinque Stelle, fu quella di applicare la teoria delle reti per descrivere il social network delle società quotate in borsa: l’obiettivo era dimostrare come poche persone fossero presenti in più consigli di amministrazione con il risultato di un mondo chiuso e viziato da un conflitto di interessi evidente e distorsivo. Quel database venne utilizzato innumerevoli volte dall’altro fondatore, Beppe Grillo, nelle sue intemerate contro Telecom, Parmalat e gli scandali piccoli e grandi, veri o presunti, che di lì in avanti coinvolgeranno aziende, banche, multinazionali. Il commento su Linkiesta.

I conflitti di interesse dimenticati dei pentastellati di Casaleggio

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L'insano e contagioso desiderio di cambiare la Costituzione

Hanno cominciato giocando con i numeri: finiranno, prima o poi, per dare i numeri. E' la sindrome del riformatore, che ha già dannato Berlusconi e Renzi. L'ambizione di scrivere daccapo le regole del gioco, di meritare un posto fra i padri della patria, consegnando ai posteri una Costituzione tutta nuova. Il primo ci provò nel 2005, inoculando 55 articoli nel vecchio corpo della nostra Carta. Il secondo ci provò nel 2016, con un'iniezione di 47 articoli. Poi l'uno e l'atro affogarono sotto una marea di "no", espressi dagli italiani nei successivi referendum.

Ora la nuova maggioranza sta per ricadere ella stessa tentazione. Senza diro, anzi facendo mostra del c e infatti la riforma sta per decollare dai banchi del Senato: tombola! ontrario. Senza un progetto napoleonico, piuttosto con una pioggerella di piccoli interventi, di microriforme che parrebbero slegate l'una dall'altra, una virgola di qua, una comma di là. Ma è la somma che fa il totale, diceva il buon Totò. Se scrivo una legge costituzionale di 30 articoli, o se ne scriv 30 d'un articolo ciascuno, avrò raggiunto lo stesso risultato. Probabilmente pessimo, come insegna l'esperienza.  nella XVIII legislatura: il taglio dei parlamentari. Da 945 a 600, 345 in meno. Ma è un numero anche l'età per deporre la sceda nel'urna elettorale: 18 anni alla Camera, 25 al Senato. Enrico Letta ha proposto d'estendere il diritto di voto ai sedicenni, Beppe Grillo vorrebbe privarne gli ottantenni. Nel dubbio, s'avanza una legge di revisione costituzionale per consentire il voto in Senato ai diciotenni: nel luglio scorso prima approvazione a Montecitorio (tutti d'accordo, con appena 5 contrari e 7 asenuti), da ottobre se ne occupa Palazzo Madama. E perché non abbassare pure l'età per diventare senatori? Adesso servono 40 anni suonati, potrebbero bastarne 25. D'accordo anche su questo numero, e infatti la riforma sta per decollare dai banchi del Senato: tombola!

Ma il gioco, in realtà, non é affatto concluso. Perché il taglio de parlamentari di tira dietro altre riforme "di cornice", già concordate dalla maggioranza giallorossa durante il battesimo del governo Conte 2. In primo luogo una modificaall'articolo 83 della Costituzione, abbassando da 3 a 2 i delegati regionali che concorrono ad eleggere il Capo dello Stato, altrimenti le Regioni peserebbero troppo, con un terzo dei parlamentari in meno rispetto al passato. In secondo luogo, una modifica all'articoo 57, rendendo pluriregionale - anziché regionale -  la base elettiva del Senato. Anche in questo caso, lo scopo è di evitare distorsion, giacché nele Regioni più piccole le minoranze non riuscirebbero ad esprimere alcun senatore.

Dopo di che s'aggiungono le riforme più formose. Il referendum prpositivo, per esempio:già licenziato in prima battuta dalla Camera a febbraio, è una bandiera del Movimento 5 Stelle. O la sfiducia costruttiva, cara al partito democratico: se ne discuterà a dicembre. Senza dire della giustizia, dove bolle in pentola l'idea di separare le carriere di giudici e pm, nonché di sorteggiare i membri del Csm: altre due revisioni costituzional, e non di poco conto. Coe la riforma del Titolo V (che elenca le competenze regionali), annunciata dai 5 Stelle a settembre, durante la convention di Napoli. O come l'idea d'includere l'ambiente nella Costituzione, avanzata da Conte a New York, in settembre. Anche se la Carta cita già l'ambiente, nell'articolo 117 e nell'articolo 9. Sarebbe meglio leggerla, prima di smontarla come un Logo.

Insomma, c'è il rischio di fare indigestione. Va bene che l'appetito vien mangiando, ma in questo caso converrebbe mettersi un po' a dieta. A contare i progetti di revisione costituzionale fin qui depositati in Parlamento, s'arriva a un numero a tre cifre: 173. Fra questi, s'incontrano interventi poderosi, dal presidenzialismo al superamento del bicameralismo paritario. Ma anche proposte più naif, come il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane o una specifica garanzia costituzionale per gli avvocati. E queste eccentriche proposte vengono, in molti casi, dai parlamentari della nuova maggioranza. So è aperto, dunque, il vaso di Pandora. E a dinfenderci no basterà un ombrello.

Michele Ainis - L'Espresso n.45 - 3 novebre 2019

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