Conta il fattore tempo

Governi e banche centrali stanno usando tutti i mezzi disponibili per evitare che la pandemia del Coronavirus abbia effetti devastanti sul sistema produttivo. Bisogna quindi salutare con soddisfazione il pacchetto di misure varato lunedì dal Governo, ma anche sottolineare due punti delicati. Primo: il problema non è solo quanto arriverà alle imprese, ma quando; secondo: la situazione finanziaria delle piccole e medie imprese italiane (la vera spina dorsale del nostro sistema produttivo, più di ogni altro Paese) era già delicata prima che il virus bloccasse di colpo l’economia.
Le misure del Governo italiano si aggiungono a quelle già prese dalla Bce che sia con il pacchetto di politica monetaria di marzo, sia con l'allentamento dei requisiti patrimoniali di vigilanza ha notevolmente ampliato il potenziale di credito delle banche. Ma le notizie dai vari paesi dicono che non tutto questo si è ancora tradotto in prestiti effettivamente erogati. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Fed ha dovuto disegnare un programma ad hoc per acquistare dalle banche prestiti a piccole e medie imprese, avendo constatato che solo le istituzioni locali avevano prontamente erogato nuovo credito, mentre le grandi stavano ancora valutando i rischi e soprattutto non sembravano disposte a concedere credito ad imprese che non fossero già clienti. Il che, sia detto di passata, dimostra che la funzione delle banche locali, per definizione vicine alle aziende, non sembra affatto essere venuta meno come invece ritengono i fan dei grandi conglomerati finanziari.

Il problema fondamentale è che per garantire la sopravvivenza delle imprese sono necessarie linee di credito di emergenza che devono aggiungersi, e subito, al credito ordinario, non sostituirlo. Era un punto chiarissimo nella proposta di Draghi, che aveva addirittura proposto di azzerare il costo delle garanzie, indipendentemente dal rischio aziendale e dal costo per lo stato.

Tutto questo significa che la sfida di far arrivare il credito alle imprese prima che sia troppo tardi non è ancora vinta e che occorrerà non solo monitorare strettamente la realizzazione dei programmi, ma anche allargarli ulteriormente per realizzare in pieno la proposta di Draghi.

Il problema è reso ancora più urgente dal fatto che in Italia le imprese sono arrivate al 2020 con il fiato corto dal punto di vista finanziario, anche a causa di alcuni limiti strutturali del nostro sistema produttivo. Ce lo dice chiaramente un articolo dell’ultimo numero del Bollettino economico della Bce, che dimostra come la generosa politica monetaria degli ultimi anni abbia contribuito all’incremento dei prestiti alle imprese (che dal 2018 crescono più del pil) e agli investimenti. Poiché una larga parte della contrazione precedente era dovuta a fattori di domanda (ad esempio l'eccesso di debiti accumulati in certi paesi come la Spagna e l'Irlanda), questi numeri dicono che al momento in cui è scoppiata l’emergenza, il problema del credit crunch in Europa si poteva considerare superato.

Ma mai come questa volta le medie non dicono tutto perché i prestiti alle imprese tedesche e francesi aumentano in modo significativo (di circa 100 miliardi di euro), mentre quelli alle imprese italiane, dopo una contrazione pluriennale fino al 2017, aumentano in modo quasi impercettibile. È vero che la Spagna registra lo stesso andamento, ma lì occorreva smaltire la sbornia dei debiti alle imprese della bolla immobiliare: il rapporto debiti/valore aggiunto delle imprese (l’equivalente del rapporto debito/pil per un paese) aveva largamente superato il 200 per cento a metà dello scorso decennio.

Non solo: mentre le imprese francesi e tedesche hanno potuto emettere miliardi di titoli grazie alle favorevoli condizioni dei mercati finanziari, il grosso delle imprese italiane ha raccolto le briciole, perché tutti i tentativi di inventarsi nuovi strumenti si sono scontrati con l'ostacolo fondamentale legato all'esigua dimensione dei debitori e dunque delle singole emissioni.

Come non bastasse, una recente ricerca europea promossa da Assonime ha dimostrato che dalla crisi in poi le piccole e medie imprese, a cominciare da quelle italiane, sono state svantaggiate nelle condizioni del credito commerciale e hanno dovuto assorbire una gran parte dello shock delle grandi.

A emergenza finita, occorrerà una volta per tutte porre mano ai problemi strutturali. Ma nell’immediato occorre essere consapevoli che siamo impegnati in una corsa vitale per la sopravvivenza del nostro sistema produttivo e, come per il virus, la battaglia non è ancora vinta.

Marco Onado – Il Sole 24 Ore – 8 aprile 2020

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Progettare subito la ricostruzione del tessuto produttivo

Il nostro premier fa la faccia feroce in videoconferenza con le capitali europee, probabilmente a ragione. Minaccia gli alleati che l’Italia farà da sola, brrr che paura, ma è come se sentisse mancargli il terreno sotto i piedi, non solo per l’enormità dell’impresa, complicatissima per chiunque, figuriamoci per l’avvocaticchio del popolo, ma perché avverte che tra Roma e Francoforte, dove per Roma si intende il Quirinale e per Francoforte la Banca Centrale Europea, passando da Rignano e da via Bellerio, si sta apparecchiando la Ricostruzione-che-verrà con un capotavola da individuare in base a dove si vorrà sedere Mario Draghi. Il commento di Christian Rocca su Linkiesta.

Sara' Draghi a salvare l'Italia? Conte sicuramente non e' in grado

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Sospendere i trattati UE. Emettere moneta propria si può

Mentre in Italia si va formando un molto cauto ottimismo nell’osservare che per il quarto giorno consecutivo i contagi sono in diminuzione, la pandemia del corona virus in tutto il mondo assume un aspetto catastrofico.

Il diritto alla salute viene prima di tutto

In realtà siamo difronte a una guerra contro un nemico invisibile e, come avviene nelle guerre, il diritto fondamentale da far valere, sia come singolo, sia come Popolo, è quello della tutela della vita, alla quale si lega inestricabilmente il diritto alla sopravvivenza economica, come fatto presente da Mario Draghi, il quale ha invitato tutti gli Stati al massimo indebitamento. È assurdo che alcune persone pongano un problema di compatibilità tra le azioni necessarie per debellare il virus e i diritti fondamentali dell’uomo. Al riguardo precisiamo che la giurisprudenza della nostra Corte costituzionale ha più volte considerato il bene della vita come bene supremo. Il che significa che nel bilanciamento tra tutela della vita e della salute e gli altri diritti individuali, il primo deve assolutamente prevalere sugli altri.

Intanto in Europa…

Quanto all’Europa, è davvero spaventoso che in un’occasione come questa si sia verificata una spaccatura tra Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Grecia e Irlanda da una parte e Germania, Olanda, Finlandia e Austria dall’altra, sostenendo i primi la inderogabile necessità di prestiti senza vincoli (Mes e EuroBond) e rispondendosi invece dall’altra parte che non è possibile dare prestiti senza garanzie adeguate, arrivando a dire, e questo è davvero ridicolo, che altrimenti si fomenterebbero le spinte sovraniste dei paesi più deboli (non è chi non veda che il sovranismo avanzerebbe proprio in condizioni di maggiore necessità).

Sospendere i trattati…

Riteniamo opportuno porre in evidenza che i trattati europei pongono tutti in primo piano il principio di solidarietà, legato a quello del mantenimento della parità delle condizioni economiche tra gli Stati membri, mentre d’altro canto l’Italia ha firmato questi trattati, consentendo limitazioni di sovranità proprio in condizioni di parità con gli altri Stati necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni (art. 11 Cost.). In aperta violazione degli stessi trattati e del suddetto articolo 11, in questo gravissimo momento Germania, Austria e i paesi del nord Europa stanno impedendo, in una situazione drammatica, la realizzazione degli scopi fondamentali dei trattati euroepi. A questo punto si verifica una delle condizioni previste dalla convenzione di Vienna sui trattati in ordine al problema per l’estinzione o la sospensione dei trattati stessi. Tale convenzione infatti considera causa di estinzione e di sospensione di un trattato l’inadempimento dell’obbligo di realizzare lo scopo di realizzare lo scopo dei trattati”. A tutto questo deve aggiungersi che Germania, Austria e i paesi del nord Europa debbono tener presente che, come ancora ribadito dalla convenzione di Vienna, costituisce “causa di sospensione o estinzione anche il mutamento radicale delle circostanze che hanno portato alla sottoscrizione del trattato”, le quali sono praticamente mutate a seguito dell’espansione dell’infezione del corona virus.

Emettere moneta propria si può…

Alla luce di quanto detto è da considerare inoltre che articolo 128 del trattato di Lisbona e dello statuto della BCE, consentono allo Stato italiano di emettere biglietti di Stato, e cioè una vera e propria moneta, legittimata a essere usata nell’ambito nazionale per far fronte alle esigenze della lotta contro il corona virus e per assicurare la tenuta e lo sviluppo della nostra economia. Infatti l’articolo 128 del trattato di Lisbona riserva il diritto esclusivo della Banca centrale europea di emettere o autorizzare l’emissione di banconote in euro, lasciando implicitamente intatto il potere del ministero del Tesoro di emettere biglietti di Stato. Questa distinzione tra banconote, cioè denaro emesso dalle banche e biglietto di Stato e cioè moneta di Stato emessa dagli Stati membri è ribadito nell’articolo 16 dello statuto della BCE intitolato con la parola banconote, il quale afferma che il consiglio direttivo ha il diritto esclusivo di “autorizzare l’emissione di banconote all’interno della comunità” precisando che “la BCE e le banche centrali nazionali possono emettere banconote” le quali “costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella comunità”. In sostanza l’euro è formato soltanto da biglietti di banca (le banconote) e nulla ci dice a proposito dei biglietti di Stato, il cui diritto di emissione è sempre stato degli Stati stessi e nessuna norma di diritto europeo l’ha vietato. Riteniamo che in casi di necessità, come l’attuale, mentre per un verso devono ritenersi sospesi tutti i vincoli posti dai trattati, per altro verso lo Stato italiano, nel vuoto degli interventi europei, dovrebbe esaminare la possibilità di emettere moneta di Stato per fronteggiare il virus e per assicurare la tenuta e lo sviluppo dell’economia italiana nell’ambito del proprio mercato interno.

Paolo Maddalena - ImolaOggi - 29 marzo 2020

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