La polemica del nostro premier con il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker continua. Anzi, i toni si fanno ogni giorno più aspri. Non si tratta più di confronti ma di veri e propri scontri. E l’Italia rischia di rimetterci. Occorre ricordare che è stato il nostro parlamento (governo Monti) ad approvare il Fiscal Compact. E’ stato manifestamente un errore di avere inserito il pareggio di bilancio nella Costituzione. Perché non è stato tenuto presente l’appello lanciato negli Stati Uniti da alcuni premi nobel per l’economia quali Kenneth Arrow, Robert Solow, William Sharpe ed Erik Maskin, degli economisti Charles Schultze, Alan Blinder e Laura Tyson nell’ormai lontano 2012.? Grazie a quell’appello gli Usa hanno evitato di commettere l’errore di costituzionalizzare il vincolo del pareggio di bilancio. Che inevitabilmente lega le mani ai governi che l’adottano. Nel vecchio continente la Gran Bretagna non l’ha adottato. E ha fatto bene, benissimo. Neanche la repubblica Ceca. Quando un Paese è in difficoltà (e l’Italia lo è da oltre vent’anni) non si può passivamente insistere con politiche di rigorosa austerità. Il nostro premier avrebbe potuto (e dovuto) mettere sul tappeto il problema quand’era presidente di turno dell’Unione Europea. Non lo ha colpevolmente fatto. Ne paghi dazio. Con la scomunica del corpo elettorale. Che lui solletica con provvedimenti (80 euro al mese a chi percepiva nel 2014 uno stipendio inferiore ai 25 mila euro all’anno, ma non ai poveri pensionati al minimo, con i 500 euro ai neodiciottenni con l’ultima legge di stabilità) dal sapore spudoratamente elettoralistico. Avrebbe dovuto ascoltare chi gli suggeriva di porre sul tavolo dei negoziati per l’istituenda nuova Commissione Juncker (si era nel 2014) la modifica dei trattati nei punti più ostici per l’Italia ma non solo. La Francia non rispetta, da anni, il tetto del deficit ammesso in Ue. Così la Spagna. Sforano sistematicamente il fatidico tetto del 3%. Certo, l’Italia ha un pesante fardello sulle sue spalle. Il debito monstre. Renzi niente però ha fatto per diminuirlo. La spending review è rimasta sostanzialmente sulla carta, con commissari che si sono alternati nel Palazzo per constatare che le loro proposte venivano bocciate dal premier. Adesso la Gran Bretagna di David Cameron sta trattando agevolazioni per evitare Brexit, alla Grecia sono stati concessi aiuti finanziari corposissimi per evitare Grexit. All’Italietta di Renzi non viene consentita una minima flessibilità di bilancio per poter affrontare la crisi economica che continua a far sgorgare lacrime e sangue da ben otto anni. La sensazione è che il premier brighi con Juncker e Merkel per parlare agli italiani. In Europa è isolato, non lo ascolta più nessuno. Hanno capito di che pasta è fatto. Abbaia ma non morde. In primavera gli italiani andranno alle urne per le amministrative a Milano, Torino, Bologna, Napoli e Cagliari. Sarà un bel test. E poi in autunno è in calendario il referendum costituzionale confermativo per delle leggi fatte con i piedi. Renzi vola da un pateracchio all’altro ed il Paese è sempre in maggiori difficoltà. Mattarella sopporterà a lungo questo situazione? O farà come Napolitano? Scalzerà Renzi per rimpiazzarlo magari con Prodi? Se i mercati finanziari continueranno a ballare, con quotazioni dei titoli societari da saldo di fine stagione si rischia la riproposizione del “colpo di Stato” del 2011. Ci si ricorda dei sorrisini del duo Merkel (ancora lei…) - Sarkozy? L’Italia ha bisogno dell’Europa più di quanto l’Europa ha bisogno dell’Italia. Renzi se ne faccia una ragione.
Marco Ilapi, 12 febbraio 2016