Preghiera per le badanti

La cosa più atroce di questa malattia è che porta a morire in solitudine. Chi se ne va fa ancora più fatica ad accettarlo perché lascia tante cose in sospeso avendo tutto il tempo di realizzare che non potrà neanche congedarsi dai propri affetti. Per chi rimane, il senso di impotenza è ancora più forte ora che non si può neanche tenere la loro mano.

I più esposti a questo rischio sono gli anziani ed è a loro che dobbiamo innanzitutto pensare. Sono da almeno un paio di settimane reclusi in casa, ma sembra non bastare per fermare la strage. Il dubbio è che il contagio avvenga tra le mura domestiche oltre che tra quelle dei centri di assistenza degli anziani diventati, in alcuni casi, delle vere e proprie case della morte.

Nelle regioni in cui oggi è più alto il rischio di contagio c’è anche la più alta concentrazione di anziani che vivono da soli, spesso con assistenza domiciliare. Le badanti che assistono più persone e che si spostano da un posto all’altro sono ad alto rischio di contrarre il contagio e di trasmetterlo ai loro assistiti.

Ma anche la cura informale dei famigliari non allontana il rischio.

Molte famiglie hanno in queste settimane licenziato le badanti adesso che hanno più tempo per occuparsi dei loro cari. Per risparmiare o perché avevano paura del contagio. Non ci sono ancora statistiche a riguardo, ma le informazioni raccolte presso le agenzie di selezione di personale per l’assistenza domiciliare e i sindacati confermano questa scelta fatta da molte famiglie. Il problema è che la cura informale dei famigliari espone l’anziano a molti più contatti dell’assistenza fornita da una badante convivente.

In famiglia ci si dà il turno nell’assistere gli anziani e più numerosi sono i contatti, più forte è il rischio di contagio da parte di qualche portatore non sintomatico. La trasmissione del virus in famiglia è molto forte: il 30% dei famigliari di un contagiato rimane contagiata. L’assistenza domiciliare di anziani che vivono da soli, dove necessaria, dovrebbe essere fornita da badanti conviventi che accettano la reclusione in casa assieme alle persone che devono assistere.

Il fatto che molte badanti siano irregolari certo non aiuta. Se hanno sintomi, loro o i loro assistiti tarderanno a farli presenti.

Non hanno sulla carta il diritto di essere assistite dal Servizio sanitario nazionale e potrebbero essere denunciate ed espulse, non potendo neanche tornare al loro Paese ora che le frontiere sono chiuse. E quando perdono il lavoro, le badanti conviventi irregolari rimangono senza casa e senza reddito. Ci sono circuiti informali di assistenza tra badanti, spesso della stessa nazionalità. Ma hanno il grande difetto di obbligare alla promiscuità, altro aspetto pericoloso in questo momento.

Il decreto “Cura Italia” ha giustamente cercato di aiutare tutti, ma ha omesso di considerare le badanti, mai così importanti per la salute degli anziani come in questo momento. Certo, non si poteva mettere in piedi una cassa integrazione per le badanti. Né era possibile imporre il divieto di licenziamento alle famiglie già in grandi difficoltà. Ma il sospetto è che si sia pensato di risolvere il problema nel solito modo, cioè puntando una volta di più sull’assistenza informale delle famiglie. È la filosofia con cui si è deciso, ad esempio, di estendere i permessi della 104.

Ma, come si è visto, è un’arma a doppio taglio. Importante perciò porre rimedio al più presto a questa omissione.

Tre cose sembrano urgenti e fattibili, anche perché il nostro Paese sta in questi giorni dimostrando di riuscire a fare cose che non sembravano neanche pensabili fino a poche settimane fa (come togliere l’esame di Stato per i medici con un decreto).

Primo, potremmo assicurare le badanti irregolari che non verranno denunciate se si rivolgono agli operatori sanitari e includere quelle che prestano assistenza ad anziani, indipendentemente dal fatto che siano regolari o meno, nella lista delle categorie prioritarie per i test su Covid 19, dopo medici, infermieri e paramedici e personale dei centri di assistenza ai disabili e agli anziani. Dobbiamo sapere se possono continuare ad assistere i nostri cari.

Secondo, possiamo incentivarle a convivere con loro, anziché muoversi tra famiglie diverse correndo il rischio di contrarre il virus. Basterebbe temporaneamente integrare il loro reddito a condizione che accettino di convivere con un anziano o comunque a un solo nucleo bisognoso di assistenza domiciliare.

La condizione è facilmente accertabile: basta avere la registrazione del proprio contratto presso l’Inps (si può fare facilmente per via telematica) indicando che implica convivenza.

Terzo, possiamo incentivare le famiglie a non sostituirsi alle badanti per risparmiare, a costo di mettere involontariamente a repentaglio la salute dei loro genitori e nonni. Ad esempio, si potrebbe fiscalizzare (anziché semplicemente posticipare) i pagamenti dei contributi sociali per le famiglie al di sotto di un certo livello di reddito per due mesi, una misura che incentiverebbe in prospettiva la regolarizzazione di molte badanti. Il tutto andrebbe possibilmente accompagnato da una campagna di informazione sui rischi di contagio e sui sintomi del coronavirus, magari con trasmissioni in più lingue sul servizio pubblico radiotelevisivo per permettere alle badanti di essere pienamente consapevoli dei pericoli da cui devono proteggere i propri assistiti.

Morire in solitudine per avere avuto troppi contatti con i propri famigliari: questo è paradossalmente il rischio cui esponiamo le persone che ci stanno più a cuore se continuiamo ad ignorare in questo momento il problema di fornire assistenza domiciliare agli anziani minimizzando il rischio di contagio.

Tito Boeri – la Repubblica – 24 marzo 2020

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