Due anni di aggressione russa all’Ucraina

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L'operazione militare speciale di Putin continua

Con i disastri provocati dall’aggressione all’Ucraina, Putin non può rinunciare a una vittoria completa: de-nazificazione, smilitarizzazione, russificazione dell’Ucraina (ricordiamo anche quanto vuole fare Kirill con i “gay”, stranamente non menzionato dai cd “putiniani” italici) (...) Le opinioni pubbliche ucraina e russa sono a favore della continuazione del conflitto. Forse l'unico evento che potrebbe avere un impatto maggiore di qualsiasi altro sull'esito della guerra in Ucraina è l'elezione di Donald Trump a presidente degli Usa, qualora beninteso mantenga fede alle sue dichiarazioni elettorali. Il commento del gen. Carlo Jean sul sito Formiche.

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Il regime demenziale e corrotto di Putin

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Dopo l'aggressione di Purin a Kiev, il mondo sull'orlo del baratro

Ventidue anni fa, una guerra spietata portò Vladimir Putin al potere. Da allora la guerra è rimasta uno dei suoi strumenti preferiti, strumento che ha usato senza esitare durante tutto il suo regno. Vladimir Putin esiste grazie alla guerra, e grazie alla guerra ha prosperato. Speriamo che questa volta sia la guerra a determinarne la caduta. Nell’agosto 1999, un allora sconosciuto Vladimir Putin fu nominato Primo ministro quando il suo predecessore rifiutò di accettare la nuova totale invasione della Cecenia. Putin, invece, era pronto a farlo, e in cambio del loro sostegno incondizionato diede carta bianca ai militari, permettendo loro di vendicare nel sangue e nel fuoco l’umiliante sconfitta del 1996. La notte del 31 dicembre 1999, un Boris Eltsin invecchiato e stremato si dimise e consegnò la presidenza come un regalo al nuovo arrivato. A marzo del 2000, dopo la famosa minaccia, «inseguiremo i terroristi pure nel cesso», Putin fu trionfalmente eletto presidente. Salvo per i suoi quattro anni da Primo ministro (2008-2012), da allora è rimasto a capo della Russia. Il commento di Jonathan Littell su Linkiesta.

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Cinque ipotesi per iniziare a parlare di pace in Ucraina

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La guerra scatenata da Putin. Si può (e si deve) parlare di pace?

Volodymir Zelensky torna a Kyjiv dal suo viaggio a Roma, Berlino e Parigi con molte buone promesse ma con pochi passi in avanti non solo rispetto allo stato del conflitto militare che, al di là della propaganda da una parte e dall’altra, è di fatto congelato da mesi ma soprattutto rispetto alle prospettive di una interruzione di quella che fu definita da Vladimir Putin come una “operazione militare” e ancor di più al ritiro delle truppe russe e del Gruppo Wagner dai territori illegittimamente occupati dalla Federazione Russa dopo il 24 febbraio 2022 che coprono un quinto del paese e una linea del fronte di 1500 km dalle regioni orientali di Luhans’k e Donetsk a Zaporizhzhya e Kherson a sud (...) È indispensabile la  garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell'Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell'Unione Sovietica; l'attribuzione alle regioni di Donec'k, Luhans'k e della Crimea dell'autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all'esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all'Alto Adige con l'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946. Le considerazioni di Pier Virgilio Dastoli su Linkiesta.

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