Piero Guccione. Mistero in piena luce

Piero Guccione. Mistero in piena luce

Piero Guccione è un poeta e, forse la celebre frase ut pictura poesis di Orazio, si stringe bene addosso nel delineare la figura di questo artista  nato a Scicli in Sicilia, vissuto poi a Roma e tornato infine nella sua terra d’origine, con il desiderio di  dipingere l’incredibile sostanza del mare. Le sue parole ci raccontano l’incantamento che ha vissuto davanti ad esso. “Cominciavo a venire in Sicilia durante l’estate e a stare davanti al mare. Quindi a vedere uno spazio sterminato … Poi il mare mi ha preso la testa perché è una realtà che non finisce mai di essere scoperta … Una delle ragioni per cui lo dipingo non è perché sia una bellissima distesa azzurra, ma perché è un moto contradditorio di forme, di linee, di movimenti”Piero Guccione. Mistero in piena luce, la rassegna che dal 7 ottobre  all’8 gennaio 2023 sarà visitabile al PAC,  Padiglione di Arte Contemporanea di Ferrara, racchiude le invenzioni dell’artista, il suo modo di approcciarsi al visibile, di scomporlo e  ricomporlo, di confondere infine spirito e materia della Natura. Con acume Franco Farina nel 1971 gli aveva dedicato una prima antologica al Centro Attività Visive di Palazzo dei Diamanti a Ferrara.  Questa volta la rassegna nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi e di Lorenzo Zichichi ed ha la curatela  di Vasilij Gusella, con la finalità di presentare al pubblico più di settanta opere tra dipinti e pastelli realizzati durante il soggiorno a Roma negli anni dal 1957 al 1972 e, dopo il ritorno in Sicilia, dagli anni ’70 al 2014. Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, in collaborazione con Il Cigno Arte e l’Archivio Piero Guccione, essa rappresenta un omaggio a un pittore che ha saputo difendere il proprio fare artistico in un’epoca storica che dava poca importanza alla figurazione. Di lui racconta chi lo ha conosciuto come Lorenzo Zichichi: “ era  un uomo straordinario,  la sua casa non era piena dei  suoi quadri, ma di quelli degli altri. Ebbe il coraggio di  tornare in una regione che non era al centro del mondo, in una parte della Sicilia così bella che lui è riuscito a trasformare in poesia”. Il curatore Vasilij Gusella aggiunge: Guccione scommette sulla figurazione in un momento storico, quello del dopoguerra e della seconda metà del Novecento  che vede svilupparsi un vivace dibattito artistico e le principali correnti sono l’astrazione e l’informale. La mostra è suddivisa in due  parti. Nella prima conosciamo il suo esordio, quando nel 1954 lascia la Sicilia e arriva a Roma e si relaziona con Bacon, Balthus, Mafai, Pirandello, Guttuso e con i  Neorealisti come  Vespignani e Accardi.  Tutti gli forniscono preziosi suggerimenti per lo sviluppo della sua carriera. Poi volta pagina e ritorna in Sicilia per cercare le sue radici. Dipinge la geografia di quei luoghi magici ed essa  diventa esplosione di liricità. Così parla di lui Vittorio Sgarbi: Guccione ha significato, dopo la morte di Fontana, Gnoli e Burri la sintesi suprema di pittura figurativa e astratta. Il Mare di Guccione è la luce dell’Occidente ed è la fine di una civiltà. Diventa emozione e condizione dell’anima. Egli è entrato nella storia dell’arte italiana. Quando pensiamo all’infinito di Leopardi possiamo “vedere” l’ispirazione poetica di questo artista. Egli è un pittore dell’anima”. Pennelli ma anche pastelli diventano il canale con cui trasferire senza mediazioni la sua percezione del reale, come quando  realizza i paesaggi assolati: Ombre di settembre sugli Iblei e Grande Pascolo d’agosto. Il  nuovo medium gli pare garantire  un rapporto più diretto con la realtà,  mentre la pasta del colore viene plasmandosi direttamente dalle sue mani. Enzo Siciliano, suo conterraneo, così si è espresso su di lui: “Guccione sa darti il senso di un canto che si leva oltre il dolore. E, in questo, egli è pittore, oggi, come pochissimi”. Il suo, aggiungiamo,  è un colore pieno di luce che dipinge l’essenza delle cose, ne raccoglie l’intima bellezza. E quindi incanta. Un’altra figura importante  del Novecento, Leonardo Sciascia, si esprimerà così a proposito della sua pittura: “un quadro di Guccione dà il senso dell’amore, della poesia: l’occhio vi si posa e vi indugia come su qualcosa di raro, di ricreante, che ancora ci fa sentire valida, autentica, l’equazione bellezza-verità”. Una bellezza che nasce, potremmo continuare,  dal sentimento e dal coraggio di voler guardare oltre le apparenze, ma partendo da esse  e respira  e “lambisce” il reale per raccoglierne la possibile forma. L’occhio guarda, il mare sfugge e lui lo rincorre per catturarne una visione in quel momento unica. Nella parte dell’esposizione che si riferisce al suo periodo romano e che ha il titolo Giardini e cancelli, incontriamo giardini di periferia, tanto cielo, muri screpolati e fra le opere che ci affascinano, incuriositi leggiamo alcuni suoi appunti: “tutto questo vuole soltanto restituire la pienezza e la fisicità dello sguardo sulle cose”. Siamo ancora nel primo periodo della sua ricerca sulla visione che successivamente si riempirà di luce che non acceca, ma cattura. L’azzurro è per lui un colore felice, che respira l’infinito, ma anche i rossi, i verdi, i grigi, i marroni dell’inizio che raffigurano gli oggetti nello spazio possiedono la complessità del reale dove c’è spazio anche per la solitudine dell’uomo. La figlia di Guccione, Paola, nella presentazione della mostra ha raccontato  l’emozione di tornare a Ferrara, dopo cinquantuno anni dalla prima rassegna. “Questa che vedremo permette  di raccontare tutto il  percorso artistico di mio padre e abbiamo portato anche opere poco conosciute e forse mai prima esposte, frutto del grande lavoro dell’archivio”.

Patrizia Lazzarin, 7 ottobre 2022

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