Prometeo: il suo coraggio

Prometeo: il suo coraggio

Prometeo è un Titano venuto dalla notte dei tempi di cui, nessun umano possiede  lo strumento per misurarne la lontananza. Grandine e vento colpiscono il suo corpo muscoloso ed energico, mentre lo vediamo con gli occhi della mente, incatenato alla rupe, dentro una spirale di suoni provenienti da forze divine ostili e da una Natura insensibile. Il rumore costante penetra le nostre orecchie e scuote il nostro sentimento. Dolore per colui che si è ribellato a Zeus, al signore degli dei per  salvare gli uomini: tutti noi compresi, uguali, soli, abbandonati che, in Prometeo, vediamo incarnati la passione e il coraggio della libertà. Libertà di pensiero, forse è questa la più bella eredità di questa Entità, non personaggio, come ha spiegato il regista Gabriele Vacis, nella rappresentazione della tragedia di Eschilo che è nel programma dei Classici del Teatro Olimpico di Vicenza, in questi giorni. L’opera interpretata da Pem, Collettivo di Ricerca e Produzione d’Arte Comica, è andata in scena per la prima volta giovedì 29 settembre. La saggezza del regista e il suo sapere che spiegava l’antico racconto della tragedia greca  al pubblico era un vero è proprio controcanto alla passionalità delle voci e del corpi dei giovani attori che hanno saputo rivestire la loro anima con il pathos del dramma eschileo. Hanno indossato il coraggio, lo spirito di ribellione, il desiderio di bene spogliandosi, per mostrare all’aquila che, simbolicamente  strappava loro a morsi il fegato che non si sarebbero arresi. Tre attori hanno espresso il dramma del Titano nei vari momenti che precedono e seguono il suo incatenamento alla rupe.  La storia raccontata da Eschilo e rimastaci, il Prometeo incatenato, doveva essere seguita dal Prometeo liberato, di cui rimangono alcuni frammenti. Il regista narra: “ci caliamo in un tempo mitico in cui non ci sono gli umani e ritroviamo i luoghi che gli antenati avevano visitato nel sogno”. Prima degli Dei c’erano i Titani che vengono sconfitti dai primi grazie a Prometeo, il cui nome  significa colui che vede prima. Eschilo mette in scena un conflitto fra generazioni, fra chi viene prima e chi gli succede, come accade fra genitori e figli. Come ricompensa per il suo aiuto, Zeus conferisce a Prometeo la facoltà di creare l’uomo. Un uomo fatto di argilla ed acqua che riceve il flusso vitale dal fuoco. Ma questo essere troppo simile agli dei non piace a Zeus che vuole eliminarlo, per questo Prometeo lo tradisce  e  regala loro il fuoco, o ancora meglio la conoscenza, l’immaginazione, la capacità di pensare. La vendetta di Zeus è esemplare: lo fa incatenare da Efesto ad una rupe nella Scizia dove un’aquila gli mangerà di giorno il fegato che gli ricrescerà durante la notte, in un’agonia atroce. La Scizia è quella regione che comprende all’incirca la steppa del Ponto, l’area del Caucaso Settentrionale, racchiudendo Bielorussia, Polonia, Sarmazia, Ucraina fino al Mar Caspio. La contemporaneità e i luoghi ci suggeriscono  paragoni tristi con il coraggio di Prometeo. Nel dramma andato in scena egli riceve più visite. Il primo è il dio Efesto che all’inizio sembra ribellarsi all’idea di incatenarlo poiché, ricordiamo, egli  è immortale come gli dei. Il successivo  incontro sarebbe stato  con un altro Titano:Oceano, ma nello spettacolo andato in scena abbiamo visto invece la presenza delle sole figlie: le Oceanine che hanno cercato  di convincere il Titano a mediare con il dio furente. La ribellione di Prometeo sembra non saper ascoltare allo stesso modo della  divinità che lo ha condannato alla sofferenza. Si evidenzia l’utilità dell’ascolto che a volte invece trascolora e si perde nell’ ὕβϱις (hybris), nell’orgoglio o la stima esagerata delle proprie forze o capacità. Prometeo vorrebbe abbattere Zeus perché solo così, egli che è immortale, potrebbe eliminare il suo dolore. Poi entra in scena Io, sacerdotessa trasformata in vacca da Zeus dopo averla sedotta e  per farla sfuggire alle ire di Era. Costretta a vagare sotto il pungolo di un tafano mandato dalla dea incattivita, Io giunge fino alla rupe di Prometeo. Ora  facciamo la conoscenza del  destino del Titano, ma all’antica sacerdotessa di Era sarà rivelato solo che lei sarà libera solo dopo un lungo e tormentato viaggio fino in Egitto perché essendo umana, non può capire l’eternità, ossia l’equivalente di tredici generazioni: il tempo che dovrà trascorrere perché il suo discendente Eracle uccida l’aquila. Saranno le Oceanine a conoscere il seguito della vicenda, prima che arrivi Ermes, mandato da  Zeus che, consapevole che Prometeo conosce chi causerà la sua fine, vuole venire a patti. Ma Prometeo non vuole … Prometeo non ascolta … Tra libertà di pensiero e  volontà di ribellione, egli diventerà l’eroe della conoscenza in Boccaccio, espressione anche della grandezza dell’uomo in Goethe, moderno Prometeo, quasi malfattore in Mary Shelley, dove si incontra il limite dell’umano che sfida il divino, fino all’uomo tremendamente imperfetto  nella Scommessa di Prometeo di Leopardi. E ancora NeLa Nave pubblicata nel 1904 di Elemir Bourges, al contrario, si realizza il riscatto dell’umano attraverso l’evoluzione. Il  mito del Titano ha continuato nel tempo a porre interrogativi.

                                                                                                                Patrizia Lazzarin

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