A Conegliano, una primavera per l'anima

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Capolavori "volano" in un viaggio di 11mila km dal Sud Africa a Conegliano. Il rinascimentale  Palazzo Sarcinelli, nel cuore della città di Conegliano, apre la stagione autunnale con una rassegna che è una “primavera per l’anima”. Dagli impressionisti a Picasso è il titolo dell’esposizione che conta sessanta capolavori provenienti  dalla Johannesburg Art Gallery in Sudafrica e che apre i battenti al pubblico venerdì undici ottobre.  I paesaggi  e le scene di vita  che abbiamo l’opportunità di vedere   appartengono a diverse stagioni artistiche: dal finire dell’Ottocento per giungere alla seconda metà del Novecento, e i loro colori brillanti o a volte appena smorzati,  diventano  una cartina al tornasole di una natura viva e palpitante e   di un avvicinarsi  ad essa, con il desiderio di coglierne la forza che proprio  in quell’attimo sembra emergere dal  profondo.  Nuvole dalle  sfumature viola che  inseguono lungo il  cielo  i marosi che si gettano  sul Molo di Trouville di Eugene Louis Boudin fanno da  contrappunto quasi sonoro al rumore fragoroso delle onde.  Quella distesa fatta di trasparenza d’acqua e di verdi terre, vicine e lontane, nel Paesaggio di Jean- Baptiste Camille Corot trascina  i nostri occhi a cercare in lontananza e a guardare oltre lo spazio impresso sulla tela: immagini che la nostra retina cattura   per poi giungere ad arricchire l’animo e la  mente. La bellezza che noi possiamo essere felici  d’ammirare possiede una storia e ha un significato importante. Simona Bartolena, la curatrice della mostra ha parlato della collaborazione  fra il comune di Conegliano e la città di Johannesburg che ha la fortuna di avere uno dei musei  più importanti del continente africano: The Johannesburg Art Gallery. La studiosa ha raccontato della nascita di  questa istituzione che possiede opere  straordinarie delle   correnti dell’avanguardia europea e, cosa rara, anche quadri di artisti africani che hanno saputo formarsi sulla lezione occidentale per coniugare poi  il proprio  stile con  temi e soggetti del loro paese. Inaugurato nel 1910,   grazie    all’intelligente intesa fra una mecenate d’arte   Lady Florence Phillips, nata a Cape Town nel 1863 e il mercante d’arte anglo irlandese Sir Hugh Percy Lane, che aveva favorito la nascita della Galleria d’Arte Moderna di Dublino,  il museo è diventato una realtà vitale grazie anche agli amici di Lady Florence, convinti dal suo esempio e nel tempo anche grazie a  molti collezionisti  inglesi e sudafricani. Oggi al suo interno sono raccolte   le creazioni di uno degli artisti più quotati nel nostro panorama artistico internazionale: William Kentridge di cui sono visibili  a Palazzo Sarcinelli alcune opere.   Giunchi, acquaforte, acquatinta e punta secca su carta dipinta a mano dell’autore presenta  un  segno grafico essenziale che si unisce al  gioco delle luci per tracciare  un paesaggio quasi lunare o  un tempo abitato. Lady Florence, figlia di un naturalista aveva sposato Lionel Phillips, figlio di mercanti inglesi  che diventerà in seguito  molto ricco  grazie ai ricavi provenienti dalle miniere di diamanti del Sudafrica. Il marito fu giudicato per il fallito tentativo di sovvertire il governo sudafricano allora in mano ai boeri e la pena di morte a cui venne condannato  verrà commutata in esilio da scontare  in Inghilterra. Qui lo seguirà la moglie, grande viaggiatrice, e insieme si stabiliranno a Londra dove Lady Florence comincerà ad appassionarsi all’arte. Tornata nel 1906 a Johannesburg cercherà  di dare concretezza al suo sogno di costituire  una galleria di livello internazionale che potesse avere  una funzione didattica come i grandi musei inglesi. La sua azione culturale favorirà la creazione di un’università di Architettura a Witwatersrand e  una pubblicazione in sei volumi sulla flora del Sudafrica.  La  natura filantropica la condurrà  poi a diventare la paladina delle cause degli immigrati.  La presenza  e le parole oggi di  Vuyisile Mshudulu, il direttore della Johannesburg Art Gallery alla conferenza stampa della mostra Dagli Impressionisti a Picasso  che ha elogiato la bellezza di questo progetto culturale che ha “ha fatto volare per 11.000 Km sessanta opere dipinte dai  più grandi artisti tra ‘800 e ‘900 per giungere  a Conegliano, come ha sottolineato anche il sindaco del comune Fabio Chies, conferma   l’importanza della collezione nata per iniziativa di Lady  Florence. La mostra nel comune trevigiano si rivela  un progetto dal respiro internazionale come emerge anche dalle dichiarazioni dell’assessore alla Cultura del Comune di  Conegliano, Gaia Maschio. Le prime sale della rassegna  accolgono opere di  autori inglesi assai famosi come i Preraffaelliti.  Elizabeth Siddal è il soggetto dei quadri   di John Everett Millais e di Dante Gabriel Rossetti. Elizabeth donna entrata nell’immaginario comune per la sua bellezza onirica, icona ideale di questo movimento artistico  era stata la modella di entrambi i  pittori.  Fu  lei stessa pittrice e poetessa e morì sembra in seguito all’assunzionedi un’eccessiva dose di laudano. Il viaggio nel paesaggio dei maestri francesi dalle Scogliere di  Etretat di Gustave Courbet alle marine di Boudin, dalla Primavera di Claude Monet al dipinto  Sulla riva del fiume a Veneaux di Alfred Sisley  ci incanta per le atmosfere, grazie alla loro capacità  di eternare luoghi e momenti quotidiani in una   pennellata  ricca di sfumature luminose. Fra i dipinti post-impressionisti  vediamo La Rochelle di Paul Signac:  un mosaico di luci che vibrano sul tono dell’azzurro o scopriamo  artisti  come Henry Eugène La Sidaner. Per contrasto nel segno e nel colore la parte grafica che annovera fra i pittori   presenti in mostra autori come Vincent Van Gogh, Pablo Picasso ed Henry Matisse ci conduce in un viaggio nell’arte che arriva alla seconda metà del Novecento con Francis Bacon, Robert Lichtenstein e  Andy Wahrol.  L’attenzione maturata dalla curatrice  verso il mondo femminile non poteva trascurare alcune figure come   Maggie Laubser   e Irma Stern  che hanno il merito di aver introdotto  l’Espressionismo in Sudafrica. Tra gli autori anche George Pemba precursore del realismo socialista sudafricano che  nelle sue opere esprime la dignità delle persone di colore che l’apartheid non riesce a scalfire. L’esposizione che è stata prodotta da ViDi e organizzata da ARTIKA in collaborazione con  il Comune di Conegliano e il patrocinio della Provincia e della Città di Treviso, della Città di Johannensburg  ha come sponsor la Banca della Marca e Serena Wines e terminerà il due febbraio 2020.

Patrizia Lazzarin, 11 ottobre 2019

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Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea

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Fino al 26 gennaio 2020, a Rovigo, a Palazzo Roverella, va di scena la mostra Giapponismo. La matita e tempera su carta dal tono trasparente grigio azzurro, simile ai colori di un cielo nuvoloso visto dall’oblò di un aereo e che possiamo ammirare all’ingresso della mostra che reca con sé il mistero e il fascino dell’Oriente. L’opera è del pittore Antonio Fontanesi e rappresenta l’Ingresso di un tempio giapponese. L’artista era stato chiamato ad insegnare assieme allo scultore Vincenzo Ragusa e all’architetto Giovanni Cappelletti all’Istituto d’Arte di Tokyo dopo la fine del periodo Edo, un’epoca durata dal 1603 al 1868, durante la quale il Giappone aveva limitato i suoi rapporti con l’esterno: nell’unico porto aperto di Nagasaki potevano entrare solo navi cinesi ed olandesi. La nuova epoca Meiji diversamente mostra interesse al mondo europeo: alla sua cultura e alle sue scoperte in campo scientifico. La rassegna: Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860-1915 che rimarrà aperta al pubblico fino al 26 gennaio 2020, nel gioco delle reciproche influenze fra paesi europei e Giappone, illustra la bellezza della contaminazione di stilemi orientali nelle opere pittoriche, nella ceramica, nella porcellana, nella scultura, nelle stampe e nell’arredamento del nostro continente. Il momento clou è contemporaneo allo sviluppo del Modernismo e del gusto Liberty, nella tendenza ad una maggior volontà di semplificazione delle forme che si alleggeriscono ed acquisiscono morbidezza. Le grandi esposizioni internazionali come la  r del 1862, quelle di Parigi nel 1867 e nel 1878, poi quelle in Europa Centrale a Monaco, Berlino, Vienna e Praga e per completare la mappatura dei luoghi, quelle in Italia, a Torino nel 1902 e a Roma nel 1911 sono il punto di partenza ma soprattutto d’osservazione del progetto espositivo di Palazzo Roverella. L’iniziativa promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in sinergia con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi ha la curatela, assieme al catalogo edito da SilvanaEditoriale, del dott. Francesco Parisi. Attraverso le grandi Fiere internazionali, ma anche grazie a figure come Siegfried Bing, proprietario della galleria Art Noveau, il quale aveva organizzato all’Istituto Nazionale delle Belle Arti di Parigi L’Exposition de la gravure Japonaise e aveva promosso la pubblicazione trilingue (in inglese, francese e tedesco) della rivista Le Japon Artistique, si diffonde il fascinosottile per l’arte giapponese che ritroveremo nella pittura di Vincent van Gogh, Paul Gauguin, nei pittori Nabis, negli artisti di area mitteleuropea come Gustav Klimt o ancora nell’arte del manifesto o fra i pittori italiani, soprattutto quelli residenti a Parigi. Kimoni, porcellane e ventagli giapponesi cominciarono ad essere acquistati dagli artisti e poi inseriti nei loro quadri. Il primo fu il pittore americano James Whistler che risiedeva a Parigi dal 1855 e poi i più famosi Claude Monet, Edouard Manet e Pierre-Auguste Renoir. Gli echi orientali nei quadri di Monet sono tanti: da quelli con figura come nella Japonaise, che ritrae la moglie, ai paesaggi come nella veduta marina La terrasse à Saint-Adresse del 1867, vicina alle stampe di Katsushika Hokusai o Il ponte giapponese sul laghetto delle ninfee del 1899che si ispira alla pittura di Utagawa Hiroshige. Si citano due dei maggiori artisti giapponesi vissuti a cavallo tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Il Giapponismo in quell’epoca alimenta anche una serie di pubblicazioni come ad esempio La maison d’un artiste di Edmond De Gouncourt. Si hanno letture di questa corrente differenti in letteratura come in arte: nell’Impressionismo, nel Simbolismo o nel Decadentismo. Alcune volte è evidente come nel Giardino dei susini di Van Gogh altre volte più celato. Il giapponismo lo possiamo rintracciare nei tagli obliqui delle composizioni come nella Donna che pulisce la tinozza o Donna che si pettina, visibile in mostra di Edgar Degas e nelle linee o nei colori dell’impressionista americana Mary Cassatt. Un influsso straordinario ebbero sicuramente le stampe ukiyoe sui manifesti del francese Henri de Toulose-Lautrec. Fra il gruppo degli artisti Nabis, avanguardia post-impressionista di fine Ottocento, in mostra sono visibili opere di Pierre Bonnard e Paul Ranson che furono battezzati dai loro colleghi le nabi japonard e le nabi plus japonard … Gli appellativi spiegano quanto fossero attratti dalla cultura giapponese. Le silhouettes di Bonnard si muovono infatti su spazi vuoti dove la profondità viene resa dalle minori dimensioni delle figure mentre per Ranson quella cultura diventa una fonte inesauribile per spunti d’arabeschi e suggerimento per distese di colore à plat. Si respira un’atmosfera reale d’Oriente nel Paesaggio con il monte Fuji in lontananza, che è anche il più grande vulcano del Giappone, nel dipinto di Emil Orlik, pittore praghese che andò in Giappone due volte per apprendere le tecniche tradizionali della xilografia ukiyoe, la quale permette di ritrarre persone che contemplano paesaggi sublimi e/o apparizioni celesti. In area italiana sono suggestive le opere Pioppi nell’acqua e Betulle in riva al fiume di Giuseppe de Nittis che nelle sfumature del fogliame, dell’acqua e dei rami sembra conoscere la tecnica antica del tarashikomi che prevede la stesura di uno strato di pittura su un altro non ancora asciutto e mentre sgocciola, produce particolari effetti di colore. Nelle ultime sale dell’esposizione i manifesti a colori E.&A. Mele del 1907 di Marcello Dudovich e Corriere della Sera del 1898 di Vespasiano Bignami, entrambi di grande effetto, esprimono una diversa consapevolezza e recezione della cultura orientale. Cultura che possiamo apprezzare mediante il diretto confronto grazie alle presenza in mostra di opere di autori giapponesi assai famosi come Utamaro e Hiroshige a cui sono state dedicate importanti rassegne in Italia e artisti spesso a noi meno conosciuti, ma sicuramente interessanti anche per lo scambio di idee e di stilemi che ha favorito la loro conoscenza nei secoli passati.

Patrizia Lazzarin, 30 settembre 2019

 

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