Moby Dick

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Nella sala, al buio, si ascoltava una voce ricca di sfumature tonali e di timbri di suoni che spezzavano l’aria, a volte ignoti nella loro provenienza, accompagnati da musiche che accentuavano l’espressione della lotta fra il Bene e il Male.

Si narrava,  in una maniera capace di trascinarci dentro il mito, l’epopea della grande balena bianca Moby Dick. Al Teatro Verdi di Padova, nella serata di ieri, la voce narrante di Alessandro Preziosi e la “manipolazione acustica”, in tempo reale, dei suoni di Paky di Maio ha saputo creare una sentita partecipazione fra l’assai numeroso pubblico e appassionarlo così, alla storia dello statuario capitano Achab, all’inseguimento dell’enorme cetaceo bianco.

Il racconto tratto dal romanzo  di Herman Melville, un capolavoro della letteratura americana dell’Ottocento, non apprezzato dalla critica contemporanea del tempo e tradotto per la prima volta in Italia da Cesare Pavese, ci mostra un uomo che affronta il mare con la stessa curiosità e determinazione di chi cerca di scoprire l’Ignoto. E allora quella superficie apparentemente calma degli oceani, a volte furiosa nei suoi marosi, abitata da migliaia di creature diverse, è a volte l’amico, altre l’antagonista con cui confrontarsi.

Il capitano Achab è un uomo dai capelli grigi, con una protesi alla gamba, dopo che ha perduto la sua nella lotta contro il “mostro” Moby Dick. Quarant’anni passati sul mare, su una nave. Si era sposato giovane, ma sua moglie era “stata” sempre vedova. Egli ha attraversato mari e oceani a caccia di balene. Ora questo viaggio che egli fa, ha il sapore dell’acqua salata che brucia sulla pelle scottata dal sole. Dentro di lui sente una graffiante voglia di rivincita. Vuole vendetta e quel doblone doro che egli promette a chi avvisterà in mare la balena bianca e che fisserà a un albero del suo veliero Pequod, è un patto di sangue.

Il racconto che diveniva realtà tangibile durante la rappresentazione, scorreva come su un tapis roulant. Le battaglie contro le balene erano cruente, sentivamo e immaginavano il sangue scorrere dai loro corpi arpionati, lo vedevano riempire il mare e ribollire fino a lambire le navi intorno e, ancora più in là. Scene di una potenza inaudita dentro e sulle superfici liquide su cui forse  anche Achab, come Narciso,  avrebbe voluto specchiarsi per vedere o meglio capire se stesso.

L’ossessione conoscitiva di Achab ha profonde radici nel pensiero dello scrittore Melville che nella sezione con cui si apre il romanzo: Etimologia ed estratti, ci fa incontrare il narratore Ismaele. Qui egli si richiama  alla Genesi, al Libro di Giobbe, ai Salmi, al profeta Isaia, a Rabelais, ai resoconti di veri balenieri, a Shakespeare, al Paradiso perduto di Milton, all’amato Hawthorne  e infine ai viaggi di Darwin, per spiegare l’idea della balena.

Ismaele, nel romanzo, è il giovane che decide di imbarcarsi per spirito di avventura su una nave baleniera. Lui sarà l’unico sopravvissuto dell’ultima lotta “dannata” contro Moby Dick, dopo che la loro nave è stata affondata. Si salverà aggrappandosi ad una bara che l’amico Quiqueg e, ramponiere, si era costruito per lui.  Dopo una notte e un giorno in mare aperto sarà recuperato dalla baleniera Rachel. A lui rimarrà il compito di raccontare la loro avventura.

Alessandro Preziosi ci ha permesso di raccogliere ieri sera  le riflessioni del protagonista e dell’autore su temi che spaziano dalla fede in Dio e il destino al legame esistente  tra il Bene e il Male. Siamo stati dentro una nave, tra combattimenti inaudibili, alla scoperta anche del carattere selvaggio dell’uomo e della Natura. Lo spettacolo, una prima nazionale,  ha aperto la stagione di prosa del Teatro Stabile del Veneto

Patrizia Lazzarin, 25 ottobre 2023

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