Un inedito confronto nel mondo dell'arte

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Con i suoi bastioni fortificati e i suoi palazzi nobiliari Gradisca D’Isonzo è un piccolo borgo friulano fra più belli d’Italia, dove sono stati storici personaggi come Leonardo Da Vinci, Napoleone e Radetzky. Nello storico Palazzo Torriani, intitolato al noto artista  Luigi Spazzapan, originario di Gradisca d’Isonzo,  va in scena un confronto serrato tra quest’ultimo e l’architetto Ettore Sottsass.

Sottsass  è stato un noto designer e le sue idee Radical  sono state in chiara  opposizione allo stile Razionalista e al gusto comune dell’epoca. È stato uno dei protagonisti del piano Ina-Casa, insieme al padre: dalle Case per reduci  e al quartiere QT8  del 1946-1947 alla realizzazione, nei primi anni Cinquanta di otto lotti a uso residenziale tra il Piemonte e la Lombardia e di tre complessi abitativi in Sardegna. Dal 1946 partecipò ad alcune fra le più importanti mostre basate sulle ricerche astratte esponendo le sue Costruzioni e, a metà del decennio successivo, collaborò con il famoso Carlo Cardazzo e le sue gallerie. Negli anni Sessanta, la cultura beat  diventa insieme alle filosofie orientali, la base del suo rinnovato sistema di segni e immagini. Dopo gli anni Settanta, in cui si dedica più alla teoria dell’architettura che alla progettazione, Sottsass realizza una serie di abitazioni  molto particolari  nella composizione dei volumi e per il  rapporto con il paesaggio circostante, come Casa Wolf in Colorado,  Casa Cei a Empoli, Casa Bischofberger a Zurigo e il Museo dell’Arredo Contemporaneo a Ravenna. Nel 1981 fonda il gruppo Memphis insieme a Cibic, Thun, Zanini e Martine Bedin.  Ne faranno parte anche Alessandro Mendini, Andrea Branzi, Nathalie Du Pasquier, Michael Graves, Hans Hollein, Arata Isozaki, Shiro Kuramata, Javier Mariscal, George Sowden e Barbara Radice. Ricordiamo fra gli oggetti ideati in questi decenni la libreria Carlton.

La mostra, dal titolo “Sottsass/Spazzapan”, in  corso da metà dicembre  e che sarà visitabile fino al 30 aprile 2023, ha la curatela di Lorenzo Michelli e Vanja Strukelj ed è  promossa da ERPAC – Servizi Ricerca, Musei e Archivi Storici della Regione Friuli Venezia Giulia.  Essa mette in luce per la prima volta, con una ricerca  ampiamente documentata, l’importanza del  rapporto fra il  pittore di Gradisca, Luigi Spazzapan e Ettore Sottsass. Due maestri, diversissimi per origine, formazione e destino che si incontrano a Torino quando il primo è già un uomo maturo  e che dopo alcune iniziali difficoltà nella città, nuove opportunità gli giungeranno con la conoscenza di  Lionello Venturi e  la vicinanza del gruppo dei Sei.

E tra i giovani che guardano a lui come figura di riferimento c’è anche il giovane Sottsass che frequenta, a partire dalla metà degli anni Trenta, lo studio dell’artista. Egli rimarrà colpito dalla sua arte e dalla sua personalità. Scriverà di Spazzapan «era un pittore molto bravo, un pittore serio, elegante, aggiornato; sapiente nell’uso dei colori, dei ritmi e dei non ritmi, delle strutture o non strutture. Soprattutto sapeva che cos’è un segno, che cos’è un quadro depositato nel vuoto. Sapeva bene quando il quadro c’è e quando non ci sarà mai». Ancora racconta nel suo  Scritto di notte:La sua pittura prevedeva l’arrivo della velocità, non la velocità dei futuristi, ma quella dell’improvvisazione, del gesto che nasce improvviso, senza tramiti intellettuali, dal fondo sconosciuto dell’esistenza”. Grazie a questo apprendistato che coniugava con le lezioni al Politecnico di Torino, Ettore Sottsass trovò un luogo che gli permise di  interrogarsi sul senso della pittura e sul significato del  segno  e del colore. “I suoi disegni, ricorda, invadono lo spazio del suo studio, rivelano la fulminante energia del suo segno in cui evocazioni espressioniste trovano un inedito dinamismo, mentre nei dipinti esplode il colore: Spazzapan guarda alla Francia, guarda a Matisse”.

Quando Sottsass comincia a frequentare Spazzapan, quest’ultimo è in relazione con personalità caratterizzate dalla comune formazione viennese e  dalla provenienza da aree come il Trentino, l’Isontino e l’Istria, appartenute prima della prima guerra mondiale all’Impero austroungarico, ma il valore della cultura francese si mantiene  sempre vivo nella sua pittura. Nel corso degli anni Trenta tuttavia il dialogo con Matisse si fa particolarmente serrato, come chiaramente evidenziano le due tempere esposte in mostra: La camicia bianca (1935 circa) e Pigiama verde fiorato (1939). Qui le figure si confondono nel tessuto arabescato dello sfondo e  il  colore acquisisce un’intensità sgargiante dove  il segno si muove  in una trama più armonica. Sono tutti elementi che ritroviamo nella serie di disegni che Ettore Sottsass compone nel 1939-1940 per l’esame di Architettura degli interni, arredamento e decorazione. La mostra, grazie al prestito di circa 120 opere  fra tempere, disegni e  ceramiche dal fondo Sottsass conservato allo CSAC dell’Università di Parma, mette in luce come in questo caso,  incroci e le distanze tra i percorsi dei due artisti. Il percorso espositivo si snoda in otto stanze. Allo stesso tempo  si conosceranno anche  elementi iconici che l’architetto designer utilizzerà nei decenni successivi: griglie costruttive, “mandala” che nel tempo si caricano di significati sempre più complessi.

Patrizia Lazzarin, 7 gennaio 2023

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Il ritorno della Madonna Litta a Milano

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Quella manina paffutella di Cristo bambino che stringe il seno della madre che lo guarda con amorevolezza e lo scarto lieve del suo piccolo corpo robusto catturano l’osservatore nel quadro della Madonna Litta, opera di straordinaria fattura stilistica e memore di  un colore che si traduce in luce.  L’opera attribuita a Leonardo da Vinci  nel museo dell’Ermitage di San Pietroburgo  e che è tornata nel tardo autunno a Milano, dove è stata concepita e realizzata negli ultimi anni del Cinquecento, sarà visibile  fino al 10 febbraio al Museo Poldi Pezzoli. Il pulviscolo dell’aria caro a Leonardo e, nelle aperture delle finestre, quelle cime azzurre che si stagliano lontano, ricreano l’atmosfera viva di un paesaggio  che sembra naturale attraversare anche solo con lo sguardo. La fine sostanza dei capelli castani della Vergine, ornati da una preziosa e raffinata acconciatura, incorniciano un volto che possiede la  bellezza che si origina dal piacere per l’eleganza e l’armonia e allo stesso tempo riflette la  dolcezza dell’essere madre. Questo dipinto, uno dei massimi capolavori dell’Ermitage, torna dopo trent’anni nella città meneghina: un fatto eccezionale reso possibile grazie  al sostegno della Fondazione Bracco,  a cui si uniscono la Regione Lombardia e il Comune di Milano. Nella mostra Leonardo e la Madonna Litta sono presentate venti opere: undici straordinari dipinti, sette disegni e due incisioni che furono eseguiti da Leonardo, dai suoi allievi  e seguaci in buona parte durante gli anni in cui egli operava alla corte di Ludovico il Moro. La rassegna, che è stata inclusa fra le celebrazioni nazionali dei 500 anni dalla morte di Leonardo promosse dal Ministero per i beni e  le attività culturali e per il turismo, ha il merito di ricreare quel milieu culturale nuovo che la lezione leonardesca aveva introdotto nel Nord Italia e, in particolare, in area lombarda. Il grande artista fiorentino e  i suoi discepoli più importanti, come Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d’Oggiono e altri, come l’ancora misterioso Maestro della Pala Sforzesca, si mostrano  artefici consapevoli del ruolo intellettuale dell’artista, attenti ad un  diverso uso del colore e ad una concezione dello spazio che rimodula il rapporto con i soggetti del quadro. La rassegna è stata curata dagli  studiosi Andrea Di Lorenzo e Pietro C. Marani e reca gli  importanti contributi delle ricercatrici  Maria  Teresa  Fiorio e Annalisa Zanni. Le analisi diagnostiche: riflettografie ai raggi infrarossi, UV, radiografie, infrarosso in falso colore, rese possibili grazie al sostegno della Fondazione Bracco, che da sempre persegue un impegno che si fonda sulla valorizzazione del rapporto fra arte e scienza, hanno rivelato e in alcuni casi confermato attribuzioni, stili e metodologie di lavoro di Leonardo e della sua scuola, imbevuta di umanesimo e arricchita dal contatto con uomini di lettere. Maria Teresa Fiorio e Pietro C. Marani ritengono  che i due più antichi allievi del genio fiorentino, Marco d’Oggiono e Giovanni Antonio Boltraffio, non solo devono essere considerati i principali diffusori delle novità vinciane già nel primo quinquennio dell’ultima decade del Quattrocento, ma sono anche gli esecutori materiali di alcune pitture uscite dalla bottega di Leonardo, che come tali venivano recepite quali opere originali del maestro, essendo egli responsabile dell’invenzione. La bottega di Leonardo come quella di Andrea Verrocchio, il suo maestro, doveva essere ben organizzata e prevedere diverse specializzazioni per rispondere alle numerose commissioni e richieste. Il committente della Madonna Litta, precisa  Andrea di Lorenzo,  opera che egli invece attribuisce a Giovanni Antonio Boltraffio, pittore di cultura umanistica e di estrazione nobile, fu eseguita per la devozione di un raffinato e facoltoso committente, come indicherebbero la qualità dell’esecuzione e la preziosità dei pigmenti adoperati nel quadro. Il blu oltremare impiegato infatti per il manto della Madonna fu  realizzato con polvere di lapislazzuli che aveva un costo maggiore dell’oro. In mostra i visitatori avranno modo di comprendere  come si attribuisce la paternità di un’opera d’arte vedendo gli strumenti  scientifici adoperati, il significato dei documenti storici e il valore dell’interpretazione stilistica.  La studiosa Zoya Kuptsova,  poi ci spiega nel catalogo,  le vicende dell’acquisizione del dipinto della Madonna Litta da parte dello zar Alessandro II dal conte Antonio Litta, a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, e insieme, anche racconta  le vicissitudini  di alcune rilevanti raccolte private italiane  vendute all’Ermitage, che testimoniano il grande interesse della famiglia degli zar per la cultura italiana. Si illustra la storia  della Madonna Litta che diventa così  testimonianza  dell’apprezzamento  che Leonardo ebbe  da subito nel mondo lombardo, se si considerano  solo  il numero delle  copie  richieste alla bottega e ai suoi seguaci.  L’opera  rimane ancora  oggi non solo icona esemplare  del Museo di San Pietroburgo, ma emblema di un’espressione artistica preziosa, in grado di tradurre il significato dell’umano nelle sfumature  della luce  e del colore.

Patrizia Lazzarin  23 gennai 2020

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