Tiepolo. Venezia, Milano e l'Europa

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Uno sguardo lungo e profondo come può apparire quello delle Virtù e delle Dee che emergono dalle nubi negli immensi cieli affrescati dal pittore veneziano  Giambattista Tiepolo, è anche l’approccio che la rassegna intitolata Tiepolo. Venezia, Milano, l’Europa ha scelto per raccontare un genio dell’arte che ha saputo riempire di luce e di colori palazzi e chiese, fastose  residenze imperiali e vescovili, lasciandoci ancora oggi, noi spettatori incollati a guardare in su, quegli spazi ricchi di storie del mito antico e del culto cristiano. La rassegna, apertasi in questo fine settimana si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed è la prima mostra, a Milano, su Giambattista Tiepolo. Essa viene promossa da Intesa Sanpaolo nella ricorrenza dei duecentocinquanta anni dalla sua morte, con la curatela di Fernando Mazzocca e di Alessandro Morandotti e sarà visitabile alle Gallerie D’Italia fino al 21 marzo. Si è scelto di ruotare intorno al mondo dell’artista per calarsi nei luoghi in cui ha vissuto e conoscere le relazioni che animarono la sua vita in uno scambio fecondo con i suoi contemporanei.  In questo modo si sono così approfonditi temi e modi del suo operare artistico che hanno permesso di ampliare le conoscenze su una figura cardine della Storia dell’Arte italiana ed internazionale. Milano sembra divenire  per il pittore il trampolino di lancio  verso le  corti d’Europa come la reggia dell’imperatore Carlo III a Madrid, dove dipingerà tre sale del Palazzo Reale,  eseguirà sette pale per la Chiesa di Aranjuez e otterrà l’incarico di decorare la Collegiata di Sant’ Ildefonso a La Granja.  Le avverse fortune in tenera età causate dalla perdita del padre e le conseguenti difficoltà economiche non gli impedirono, nato nel 1696  Venezia,  di essere già iscritto nel 1717 nella Fraglia dei pittori di quella città. Quello spazio fatto di acqua, cielo e terra che a differenza di altri suoi rinomati e più anziani colleghi, come Antonio Pellegrini, Sebastiano Ricci e Jacopo Amigoni che poterono realizzare i loro sogni solo fuori Venezia, fu per lui il luogo  che gli permise di lasciare libera  la propria vena creativa nell’affrescare palazzi e chiese, ricercato da committenti laici e religiosi, contribuendo  a tramandare ai posteri la bellezza della città lagunare. Le luci così magiche e vibranti di Venezia si colgono in un dipinto che apre la mostra. Si tratta di un quadro  di Canaletto intitolato L’ingresso al Canal Grande con la Basilica della Salute che contribuisce a calarci in quell’atmosfera eterna e magica di questo lembo di terra toccata ovunque dall’acqua del mare. Spazio culturale dove operarono accanto a Tiepolo, i vedutisti Canaletto,  Bernardo Bellotto e Antonio Joli che ci restituiscono nella visita, scorci e panorami di Milano e Madrid. Ma tutti quei corpi possenti e vigorosi, quelle bellezze ricche di fascino siano essi uomini o donne come la bionda Cleopatra di Palazzo Labia a Venezia o la maestosa personificazione dell’Africa nello scalone della residenza di Würzburg, opera di Giambattista Tiepolo,  richiedono una maestria ed un sapere che si è esercitato sui gessi, sui calchi di statue e sui corpi vivi di modelli. La seconda sezione della mostra tocca quindi un tema fondamentale della formazione degli artisti: l’Accademia del Nudo che nella città lagunare nasce ufficialmente nel 1750 e diviene operativa cinque anni dopo. Essa è l’esito finale di  scuole sviluppatesi negli atelier dei pittori e di sperimentazioni nate anche dai confronti fra artisti che nella città veneziana erano spesso di passaggio. In particolare i  nudi a sanguigna di Paolo Pagani, o quello a matita rossa su carta grigia di Louis Dorigny, e poi quelli di Antonio Bonacina, Antonio Balestra, Giambattista Pittoni, Federico  Bencovich e Giambattista Piazzetta rivelano quel mondo di torsioni, pose ed atteggiamenti che poi si compongono nelle storie degli affreschi e delle tele. In mostra dal confronto dei dipinti intuiamo gli scambi e le influenze fra Tiepolo,  Pellegrini, Piazzetta ma soprattutto Pagani. Esemplari a questo proposito i dipinti di questo pittore lombardo: Il rapimento di Elena ed Enea e Anchise fuggono da Troia in fiamme, dove è proprio l’avvolgersi e il dibattersi delle membra  tese quasi ad effetti esasperati a dare la misura del dramma vissuto dai protagonisti. Il pathos da tragedia lega  San Jacopo condotto al martirio di Piazzetta al Martirio di San Bartolomeo di Tiepolo provenienti dalla Chiesa di San Stae a Venezia. Entrambi  i dipinti fanno parte di una gruppo di dodici tele con Storie della vita degli Apostoli, opera ciascuna eseguita da un celebre pittore dell’epoca. L’incarico conferito a Tiepolo che allora aveva circa 25 anni dimostra la stima riconosciutagli in giovane età. Negli anni immediatamente successivi il pittore sarà impegnato nella decorazione dei palazzi di due famiglie veneziane. In mostra è possibile vedere le opere ora provenienti da varie musei che un tempo si trovavano a Ca’ Zenobio e a Palazzo Sandi. Negli anni 1724 e 1725,  Giambattista dipinge il soffitto della residenza dell’avvocato Sandi, celebre giurista, con il Trionfo dell’Eloquenza dove pone al centro del soffitto, isolati fra le nubi, Minerva e Mercurio, mentre lungo il cornicione  racconta eventi del mito e  inventa così un tipo di scenografia dove le figure principali risaltano, circondate in basso da numerosi personaggi che osservano gli accadimenti. In mostra le tele con Ulisse scopre Achille tra le figlie di Licomede, Apollo scortica Marsia ed Ercole soffoca Antea che facevano parte della decorazione del palazzo e in cui l’efficace lezione di Paolo Veronese si traduce nella nuova stesura del colore e nella qualità delle stoffe delle vesti intessute con sete e damaschi. La sua notorietà lo condurrà a Milano in tre occasioni importanti:  nel 1730-1731 per gli affreschi in Palazzo Archinto e Palazzo Casati, poi Dugnani; nel 1737 per l’intervento nella basilica  di Sant’Ambrogio e nel 1740 in Palazzo Gallarati Scotti e in Palazzo Clerici. Le grandi prove del veneziano nella basilica  e in Palazzo Scotti vennero strappate e trasferite  con l’obiettivo di salvaguardarle, a riprova del valore che continuavano  a possedere nell’Ottocento e nel Novecento, e ora noi le possiamo ammirare in esposizione. In mostra è visibile anche il bozzetto dell’affresco commissionato da Giorgio Antonio Clerici in occasione delle sue nozze con Fulvia Visconti nel 1741 per la galleria del suo palazzo.  La corsa del Carro del Sole è la palese dimostrazione  che Tiepolo era riuscito a vincere la sfida in uno spazio angusto e basso che viene riscattato  grazie alla luce, al movimento e dalla varietà delle figure mitologiche che lo abitano. L’esito è un trionfo. L’artista aveva dovuto allontanarsi non poco dal progetto originario del  bozzetto per affrontare in maniera organica questa prova. Il suo successo in Germania nel palazzo vescovile di Würzburg e in Spagna nel Palazzo Reale  a Madrid  sono noti e  noi possiamo ammirarne la qualità della pittura  durante la  straordinaria immersione che possiamo vivere nel salone, all’inizio del percorso nelle Gallerie a Milano. Altre opere come il dipinto con Il Banchetto di Antonio e Cleopatra, caro alla corte di Dresda, spiegano ancora le ragioni del fascino del pittore veneziano in Germania dove giungerà insieme ai suoi due figli Giandomenico e Lorenzo. In Spagna,  soprattutto Giandomenico offrirà ulteriori spunti creativi che arricchiranno a volte di malinconica introspezione i volti  o si riveleranno  nelle stesure più morbide del colore. Nella parte finale della mostra si mettono a confronto Teste di carattere del padre e di Giandomenico giocando su quei   personaggi che si potevano incontrare nelle calli veneziane come i  mercanti orientali. Sono la scia finale di quell’attrazione esercitata  dall’Oriente e che fin dal Carpaccio, ma ancora prima dall’Altichiero, si traduceva nell’attenzione rivolta  all’abbigliamento di taglio esotico, spesso  riprodotto nei costumi dei teatranti e in generale per tutto quello che rimandava a quel mondo.

Patrizia Lazzarin - 2 novembre 2020

 

 

 

 

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Ulisse, l’arte e il mito

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L’Odissea è il racconto del viaggio di Ulisse, ma al tempo stesso è la metafora  del desiderio di conoscenza  dell’essere umano e del suo  spirito estremamente  vitale d’avventura. Nello spazio ampio dell’ex chiesa di San Giacomo Apostolo e nelle sale dell’antico convento domenicano della città di Forlì, si narra la vicenda di Ulisse, dell’eroe omerico che seppe, con l’astuzia, mettere la parola fine all’assedio della città di Troia, durato dieci anni, a seguito al rapimento da parte del giovane Paride della bellissima e contesa Elena, moglie del re greco Menelao.  In fondo alla lunga navata della basilica, il Cavallo realizzato in alluminio dall’artista contemporaneo Mimmo Paladino, nel suo colore grigio che rimbalza con i toni chiari delle pareti dell’edificio, sembra far ripartire la moviola di una narrazione antica e far scorrere davanti ai nostri occhi le vicende che portarono alla conquista della città troiana. Immaginiamo scendere i soldati da quel cavallo e …  restiamo bloccati ed esterrefatti a guardare il bel calco del XVIII secolo dei Musei Vaticani del sacerdote Laocoonte, di cui ci narra Virgilio nell’Eneide, che cerca invano di far comprendere ai troiani il pericolo e viene stritolato assieme ai  figli, fra dolorosi contorcimenti, dalle spire dei serpenti inviati dalla dea Atena, favorevole alle sorti dei Greci. Ulisse. L’arte e il Mito la mostra che si e’ aperta nell’antico monastero forlivese e che sarà visibile fino al 21 giugno, racchiude il significato universale di questo eroe greco che è diventato nei secoli un simbolo in grado d’incarnare i valori o meglio il sentire della civiltà antica e al tempo stesso di quella moderna. Eterno viaggiatore, il suo ritorno a casa nella sua cara Itaca,  è lungo e costellato di avventure in luoghi che mescolano reale e fantasia, vicino a maghe e ninfe, tentato dal canto delle sirene, prima di poter riabbracciare la moglie Penelope e il figlio Telemaco, insidiati dai Proci che vogliono usurparne il potere, sposando Penelope. La donna, come tutti sanno, resiste tessendo quella famosa tela, diventata un simbolo della perseveranza e della fedeltà femminile. Duecentocinquanta opere in mostra, dall’antico al Novecento, provenienti dai più famosi musei nazionali ed internazionali, alcune mai uscite dalle loro sedi originarie, sono i tasselli di un mosaico che testimonia l’accoglienza e l’attenzione riservata alle vicende del poema omerico e  ai suoi protagonisti nella cultura occidentale. Accanto ad Ulisse incontriamo Penelope, la maga Circe, il mostro Polifemo, la ninfa  Calipso, le Sirene che ammaliano con il loro canto  e l’Olimpo degli Dei, da Zeus a Poseidone, da Afrodite ad Atena, che diventano emblemi dei vizi e delle virtù degli esseri umani. Sensibilità, idealità, convinzioni diverse nei secoli saranno espresse dagli artisti e dagli scrittori, che nella pittura, scultura, nelle pagine miniate, nella poesia e nei trattati di scienza, riserveranno spazi maggiori o minori alle diverse figure del mito di Ulisse, ai suoi compagni di viaggio e di vita. L’idea del viaggio, soprattutto nei mari che appaiono infiniti, ci suggerisce, appena entrati negli spazi della mostra, la nave greca di Gela del V secolo a.C., che dopo una lunga permanenza nelle profondità delle acque marine, possiamo ora ammirare in parte, miracolosamente ricostruita. Essa diventa quasi  il simbolo della parabola esistenziale di Ulisse, ma può essere  anche il comune denominatore dell’uomo di ogni tempo che viaggiando cerca il nuovo, l’altro, o ancora se stesso. E tutti quegli dei, attorno, accanto alle pareti, nella bellezza della nudità dei loro corpi, come nella statua di Venere, tipo Landolina, del II sec d.C. del Museo Archeologico del Molise o nell’Afrodite pudica del I secolo a. C., di collezione privata,  o ancora  nella forza della loro muscolatura tesa nello sforzo, come, in quella copia in gesso dipinto, dello Zeus bronzeo dell’Artemision dell’Università di Ginevra, sono gli interlocutori privilegiati  di un dialogo dove l’uomo s’interroga del suo ruolo nel mondo. Dei litigiosi e dei solidali che mutano le sorti di eroi e di  uomini semplici. Nelle sale dell’esposizione scorrono soggetti ed avvenimenti  del grande poema omerico dell’Odissea che  hanno avuto fortuna e sono entrati nel patrimonio comune di idee. Omero, di cui sono ammirabili due ritratti del tipo ellenistico cieco del II secolo, è stato interprete di un sentire umano ricco di poesia e non solo di racconti di guerre,  di un  gusto della vita che si alimenta di contrasti.  I vasi greci nelle loro forme eleganti,  siano essi un’hydria, un’oinochoe o una kylix mostrano la fortuna nell’antichità dell’episodio dell’accecamento del mostro Polifemo. Con esso si  rivela  l’intelligenza  di Ulisse  che  insieme ai compagni riesce ad infilzare un grosso e lungo  palo  nell’occhio di Polifemo e non finire così ingoiato nel ventre  del  gigante. Questo successo  continuò anche in epoca romana. Nella villa della Sperlonga  l’imperatore Tiberio aveva commissionato un ciclo  di sculture sulle imprese di Ulisse di cui faceva parte l’accecamento di Polifemo. Scene dell’Odissea sono visibili negli affreschi, risalenti al I secolo a.C., strappati da una casa romana a metà dell’Ottocento, e ora di proprietà dei Musei Vaticani. Colori luminosi, a volte avvolti in una nebbiolina pronta a dissolversi, riempiono la tavolozza dell’affresco che ci conduce ai luoghi della Discesa di Ulisse negli Inferi. Fu notevole la fortuna di Ulisse in epoca imperiale: la caduta di Troia dovuta alla sua astuzia è anche il punto d’avvio di un mito  che conduce ad Enea, eroe della stirpe troiana da cui trae origine la famosa gens Iulia, fino ai lidi laziali e alla fondazione di Roma, a quella  Roma che diventerà poi un impero. Un altro mito quello delle Sirene sembra accompagnare con il loro canto, nelle forme prima di donne – uccello e poi di donne - pesce l’immaginario occidentale. Donne che diventate in maniera progressiva nello scorrere dei tempi, sempre più belle e seducenti, incarneranno in epoca simbolista l’idea  di un amore passionale e coinvolgente, dove l’elemento acqueo e il mare in particolare, sembrano lo scenario ideale per la manifestazione di istinti fortemente vitali e dove il fascino femminile si unisce  alle meraviglia del mondo naturale. Si possono citare come esempi: l’opera Tritone e Nereide del 1895 di Max Klinger, le Sirene di Cesare Viazzi  e la Sirena di John William Waterhouse dei primissimi anni del 900’. Le sirene sono viste come   dispensatrici di sapienza ma anche di morte. Due temi importanti nella vita di Ulisse  e di ogni uomo. Ulisse che Dante collocò nell’ottava bolgia dell’Inferno, quella dei fraudolenti, assieme a Diomede con il quale ha rubato il palladio da Troia e come  artefice dell’inganno del cavallo. Al poeta fiorentino Ulisse interessa soprattutto per la sua umanità: per quel suo desiderio di conoscenza proprio di ogni essere umano dotato di intelletto, che si scontra nella ricerca dell’infinito e della natura dell’universo con i limiti della ragione. Voci  ancora, non più  delle Sirene stavolta, si sentono  fuoriuscire da una sala dell’esposizione, dove si proietta un’immagine che avvolge l’eroe greco in lingue di fuoco. Voci, echi  di ieri … che affascinano per le suggestioni dei quesiti. In un  video, quasi alla fine del percorso espositivo, in Encounter, opera di Bill Viola, famosissimo artista contemporaneo, due donne camminano in viaggio verso poli opposti e  s’incontrano, per pochi attimi, all’intersezione dei loro percorsi. La conoscenza della donna anziana passa così  alla più giovane. Un sapere è ancora qui, nel video, il significato principale  delle vite di noi uomini. Una figura  portatrice di un significato emblematico riconosciuto è Penelope, da quella  in marmo del I secolo d.C. dei Musei Vaticani, assorta in pensieri, a quella  del Beccafumi del 1514, nella sua eleganza rinascimentale, da quella della pittrice svizzera Angelica Kauffmann dal volto chino sul telaio e vestita di preziose vesti degli anni 60’ del Settecento  a quella infine, dove si vede intenta a disfare la sua tela, al lume di candela, nel dipinto di Joseph Wright of Derby,  negli anni  80’ dello stesso secolo. La rassegna, come si è detto, ricchissima di opere è articolata in sedici sezioni e  fa focus su Ulisse, un mito diventato storia, non su un periodo o su un autore come ha spiegato Gianfranco Brunelli, direttore del progetto espositivo.  Essa è la quindicesima mostra forlivese ideata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì in collaborazione con il Comune e ha la main partnership di Intesa Sanpaolo. Il comitato scientifico della mostra è composto dal presidente Antonio Paolucci, dal direttore Gianfranco Brunelli, dai curatori della mostra  Francesco Leone, Fernando Mazzocca, Fabrizio Paolucci, Paola Refice e da numerosi studiosi fra cui Daniela Vullo della Soprintendenza ai Beni Culturali di Caltanissetta a siglare un’intesa di collaborazione con la Regione Sicilia. Il catalogo è edito da SilvanaEditoriale e speciale menzione merita l’allestimento dello studio Lucchi e Biserni che ha realizzato anche il cavallo sul piazzale antistante l’ingresso, che nella sua mole bianca annuncia la mostra ai visitatori.

Patrizia Lazzarin, 16 febbraio 2020

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I grandissimi Van Gogh, Monet e Degas a Padova

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Piccoli scrigni e forzieri ricchi di gioie che emanano  luce e colore sono le opere che sono appese alle pareti  delle sale di Palazzo Zabarella  a  Padova, nella mostra VAN GOGH MONET DEGAS, visibili al pubblico dal 26 ottobre al primo marzo 2020, provenienti dalla Mellon Collection of French Art  del Virginia Museum of Art di Richmond, espressione del gusto raffinato dei coniugi  americani Paul e  Rachel Bunny Mellon, innamorati della natura e di una città che abbonda  di sfumature anche emozionali come è da sempre Parigi. Nella prima sala dell’esposizione i corpi in bronzo di due giovani ninfe scolpite, opera dello scultore francese Aristide Maillol, nella lucentezza della materia e nella proporzione morbida delle forme sono un annuncio alla bellezza che si respira attraversando gli spazi della rassegna che ospita, in esclusiva per l’Italia, oltre settanta capolavori di artisti eccellenti che hanno operato in un arco di secolo che comprende i primi decenni dell’Ottocento  per giungere agli anni Trenta del Novecento. Tante espressioni pittoriche che attraversano il Romanticismo per approdare alle sperimentazioni delle avanguardie che rovesceranno il nostro modo di guardare la realtà: Eugène Delacroix,  Thèodore Gèricault, Claude Monet, Edouard Manet, Edgard Degas, Henry Matisse, Pablo Picasso e molti altri artisti che hanno saputo rendere, usando le parole di George  Clemenceau, uno degli artefici del Trattato di Versailles e amico del pittore Monet, più penetrante la nostra percezione dell’universo. Il percorso espositivo che nasce grazie alla collaborazione fra la Fondazione Bano, che da alcuni anni mostra interesse ad episodi significativi del collezionismo  privato, poi confluiti in raccolte pubbliche di respiro internazionale, e il Virginia Museum of Fine Arts si articola in sezioni dove ogni quadro ci conduce ad un’altra visione, ci porta passo dopo passo dentro la gioia  del reale: sulle spiagge di sabbia battute dal vento  della pittrice francese  Berthe Morisot, lungo le vie di Parigi, in prossimità di  scorci e vie che si perdono in lontananza nelle tele di Maurice Utrillo e di Stanislas Lèpine: nel primo  nella vivacità del colore e nel taglio delle prospettive, nel secondo  nella lucentezza di pietre e acque che nella loro trasparenza, tinta di rosa, sembrano mostrare luoghi dove fermarsi per godere pace e  silenzio.  Il paesaggio e la natura   da sempre emblemi dei  nostri stati interiori, nelle marine di Eugène Boudin sembrano rivelare la loro forza e maestosità. Nella tela: Ingresso al porto di le Havre,  la nave,  al centro, si staglia nel biancore delle sue vele sulle onde increspate mentre  attorno tante imbarcazioni  nei loro colori  sembrano gareggiare con un cielo pieno di nubi, ma comunque luminoso. Mare e isole lontane, acque che recano il fascino dell’esotico nella tela Palme di cocco vicino al mare di Camille Pissarro  riflettono  l’amore dei due coniugi Mellon per i loro possedimenti in Antigua, nelle Piccole Antille. Un amore per la vita, per  la corsa, soprattutto per i cavalli  che della vita sembrano la proiezione veloce del divenire, nei dipinti o sculture in mostra, tra cui sono da segnalare i piccoli bronzi di Degas, espressione degli interessi specifici di Paul Mellon. I fiori, quasi colti dal campo, che con le loro tinte sembrano rifrangere la vivacità dei colori di un arcobaleno nato  sull’azzurro del cielo  dopo un violento temporale, rivelano gli interessi di Bunny innamorata dall’infanzia della botanica. Le margherite di Van Gogh, Il vaso di fiori di Odilon  Redon o il Bouquet di zinnie di Henry Fantin-Latour sono quadri di piccole dimensioni, come molte altre opere in mostra, ma quel piccolo spazio racchiude l’essenza di visioni che si traducono in poesia. I luoghi siano essi marine con poche o tante presenze umane, paesaggi estesi  o vedute ravvicinate concentrano il sentire del poeta-pittore e riflettono la capacità di sintetizzare in un tocco di pennello la bellezza anche delle cose semplici. La materia sia essa grani di sabbia o onda che si frange sulla battigia, brina che diventa ghiaccio come  Sul lago di Marly di Alfredo Sisley oppure  ancora colore che è  sostanza vivente, oggetto, animale  suona le corde della nostra anima come uno straordinario  arpista. Una musica sembra riempire le stanze della mostra con note melodiose.  La  bellezza dei  luoghi  e il loro  eco  sull’animo erano infatti anche  la gioia  dei coniugi Mellon e che ritroviamo nel gusto per gli interni delle  dimore curate e progettate  da Bunny. Paul e Bunny erano una coppia accogliente e riservata che annoverava fra le sue amicizie la regina d’Inghilterra, il principe del Galles e Jacqueline Kennedy. I due coniugi collezionarono molte opere d’arte soprattutto francese che rivelano la loro sensibilità e che sono parte di quelle esposte in mostra a Palazzo Zabarella. I  quadri  di loro proprietà furono poi donati a grandi musei come la National Gallery di Londra, lo Yale Centre for British Art di New Havene  e il Virginia Museum of Fine Arts di Richmond. Il presidente della Fondazione di Palazzo Zabarella, Federico Bano ha citato i molti sostenitori di questa prezioso progetto che accresce il ruolo della città di Padova quali sono BPER Banca, Porsche, Despar, Antenore Energia, Studio Casa e Studio Terrin. Una mostra che ha la direzione culturale di Fernando Mazzocca e la curatela di Colleen Yarger e ci trasporta nei luoghi della vita parigina ma anche nella campagna francese. Un viaggio nei luoghi a volte, in altre occasioni vicino ai volti e alle espressioni del cantore delle anime belle Pierre- Auguste Renoir, come nel Ritratto del figlio dell’artista, Jean, mentre disegna o nelle Giovani ragazze che guardano un album. Chiude la mostra La piccola ballerina di  quattordici anni di Degas, nella sua gonna di tulle trasparente, lungo un corpetto che nella gradazione dei toni dei nocciola giunge al volto brunito concentrato, gli occhi chiusi, assorto nell’attimo che precede il passo di danza. In essa si concentra la magia di un attimo di vita. Quella vita cosi bella di cui sembra brillare l’essenza nei chicchi d’uva di Henry Fantin Latour, anche nei grani  un po’ troppo maturi, più rossi e in alcuni parti tagliati  che come negli uomini  nel trascorrere del tempo  conservano comunque il colore  o meglio  la vivacità dell’esistere.

Patrizia Lazzarin, 25 ottobre 2019

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