Andy Warhol, icona pop

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La lingua scritta cinese possiede una tradizione millenaria che,  grazie  ai funzionari imperiali che la studiavano senza introdurre variazioni significative, è riuscita a travalicare i secoli, mantenendosi con i suoi caratteri “pittografici” uno strumento di comunicazione efficace, superando le differenze importanti di centinaia di dialetti  che caratterizzano e hanno rappresentato nel corso dei millenni la sua comunicazione orale. Essa è stata cosi capace di sfidare la variabile temporale restituendo il significato di un remoto passato, al tempo stesso radice del sapere dell’uomo cinese contemporaneo. L’icona di Mao Zedong, di Marilyn Monroe, di Mick Jagger e di tanti altri cantanti, attori e politici usciti dalla mente e dalle mani  di Andy Warhol, “comunicano” con  la forza dei loro colori all’interno dei saloni della mostra a lui dedicata  e che apre oggi al pubblico, presso il Centro Culturale San Gaetano. I loro volti sembrano così confermare l’importanza del valore aggiunto dato dalla  serialità delle parole e delle immagini che nel caso della Pop Art  non è stato un messaggio riservato ad un’elite culturale, ma è diventato patrimonio di tutti. L’operazione non era difficile perché una società industriale e consumistica produce, produce, … e molto diventa disponibile per tanti. Gli oggetti icone del nuovo status symbol animano i desideri, l’immaginario e la vita di ognuno. Pensiamo solo ad uno dei manifesti di uno  dei primi interpreti della Pop o  Popular Art: l’inglese Richard Hamilton e il suo lavoro “Che cosa rende le case di oggi così diverse, così attraenti?”  Esso è un collage dove vediamo comparire fra gli oggetti e le figure, il cibo preconfezionato, la lampada con il noto marchio Ford e fra le differenti espressioni della modernità campeggia anche un lecca lecca rosso con la scritta Pop. Andy Warhol ha saputo conservare nella sua arte, molto simile nei  tratti emblematici, quel mondo da lui abitato fatto di divi  e protagonisti  della musica, della politica, del cinema  … Quegli stessi che in parte, in una sezione della mostra, vediamo popolare la serie di foto vintage di Allan Tannenbaum. Esse, eseguite negli anni tra il 1977 e il 1981, ritraggono gli ospiti della discoteca più famosa d’America. Appassionato di disegno fin dall’infanzia, Warhol nato nel 1928, nel 1945 si iscrisse al Carnegie Institute of Technology dove ricevette l’influenza del Bauhaus tedesco che fra le sue figure di spicco comprendeva anche Moholy-Nagy, sostenitore della tesi che l’opera d’arte dovesse essere realizzata senza partecipazione emotiva  e con mezzi meccanici. Certamente la filosofia di uno degli indiscussi interpreti della Pop Art, come Andy Warhol, ha raccolto questo messaggio, ma oltre la serialità, la ripetizione di figure ed oggetti, noi percepiamo il significato che hanno ancora quelle immagini nella nostra contemporaneità. Basti per questo pensare all’amatissima ed osannata  Marilyn Monroe.  Nei anni 60’ l’artista iniziò a produrre e a creare i primi dipinti che si ispiravano a immagini pubblicitarie e nel 62’ cominciò ad utilizzare la tecnica di stampa serigrafica. Fondò poi Factory: un’officina di lavoro collettivo dove operarono lui e gli allievi. Ebbe  sempre  un rapporto  speciale con il mondo della musica e famoso è il suo incontro con Mick Jagger dei Rolling Stones che gli commissionò  nel 1969 la copertina del loro successivo album che vediamo anche in mostra, assieme ad una  chitarra Mick Jagger di collezione privata. Seguono nella rassegna: Ladies and Gentlemen. Sono alcuni, non pochi, dei 250 ritratti di drag queen e donne trans latine e  afroamericane di New York che, nei loro sguardi diretti e sicuri, rispecchiano anche la maggior apertura della società americana nei primi anni Settanta. Essi tracciano l’inizio della sua ritrattistica basata su scatti personali. Le idee per  nuovi soggetti spesso a Warhol provenivano da amici e conoscenti o leggendo e vedendo qualche rivista. Muriel Latow gli consigliò di dipingere ciò che la gente conosceva meglio, come ad esempio “una lattina di minestra Campbell”. Allora, come nel processo industriale egli diventa o meglio “pensa di essere una macchina”, diventa il creatore in arte dei processi che stanno all’origine della produzione degli oggetti raffigurati. Il risultato di questa invenzione “meccanica” sono 32 varietà di minestra Campbell, di cui possiamo vedere alcune specialità in esposizione. E poi le mucche. Cows  diventano, come lui dichiara, carta da parati, pura decorazione che riempie le sale della Leo Castelli Gallery, dove si tenne una sua mostra nel 1966. Ancora una provocazione sul significato dell’arte contemporanea, il cui ruolo sembra essersi concluso nel far da tappezzeria. La serie Flowers, ispirata ai fiori di ibisco, gli fece conoscere il successo. Qui la natura è protagonista. Abbandonati ora divi, oggetti di grande consumo e disastri, egli  mescola nelle scelte di stile, astrattismo ed impressionismo sperimentando insieme le nuove tecniche del colore Kodak. In un salone dell’esposizione potremmo ammirare anche un Warhol poco noto: quello degli esordi, ma in particolare alcune serigrafie dedicate, verso la fine della sua vita, a Hans Christian Andersen, l’autore delle famose fiabe per bambini. I  visitatori della rassegna, che rimarrà aperta fino al 29 gennaio 2023  e che ha la curatela di Simona Occioni e di Alessandra Mazzoleni, potranno scoprire più di 150 sue opere tra disegni, fotografie, incisioni, sculture e serigrafie. Il percorso espositivo è stato  ideato da Daniel Buso che è anche titolare assieme a Elena Zannoni della società Artika che ha organizzato la rassegna in collaborazione con la Fondazione Mazzoleni  e la città di Padova.        Patrizia Lazzarin

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Nevicava ma faceva caldo… Oh Myung-Hee

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Siamo nella Corea del Sud dopo la fine della guerra civile, con la bionda Marilyn Monroe, icona di prorompente vitalità che canta Anything goes a centomila soldati americani che sono stati in fila  più di sette ore per poterla vedere e sentire. Corre l’anno 1954 e tutte le immagini girano come in una moviola d’altri tempi recando la nostalgia di quanto è bello ma finisce, perché è fragile o semplicemente intensamente umano. La carica emotiva di quel momento storico sembra rinascere come una fenice dentro le opere dell’artista coreana Oh Myung-Hee che ricostruisce fra i rami  degli alberi di ciliegio, da cui  cadono come pioggia fitta, fitta, piccoli fiori rosati che risplendono della bellezza della madreperla, le immagini della madre, simbolo della tradizione coreana e dell’attrice e cantante Marilyn Monroe. Accanto queste due figure profondamente diverse, ma rese entrambe accattivanti ed  evocatrici dalla danza dei fiori nell’aria e dal volo degli uccelli, Oh Myung-Hee pone la foto di Hye-Seok Nah, una femminista, scrittrice ed artista coreana che ha ispirato  la battaglia per i diritti civili delle donne del suo paese. Il  progetto artistico  che reca  il titolo The days were snowy but warm, nevicava ma faceva caldo e che riprende letteralmente le parole che la Monroe disse allora, rilegge la storia con la S maiuscola degli anni Cinquanta, nel sud est asiatico, attraversato da lotte intestine nella ricerca di equilibri politici, e diventa  al tempo stesso testimonianza e formale denuncia della situazione femminile  in quell’angolo del mondo. Le sue creazioni le possiamo ora anche ammirare nella mostra collettiva d'arte contemporanea Personal Structures – Reflections promossa dall’European Cultural Centre (ECC), una rete intellettuale e culturale a carattere internazionale che opera in Italia, Belgio, USA, Giappone, Russia e Sud Africa. ECC Italy è un ramo ben consolidato del più grande European Cultural Centre e ha  sede a Venezia. Le mostre ed eventi  da loro organizzati hanno luogo in due palazzi veneziani e in due giardini, ognuno con una sua particolare atmosfera e linee guida: Palazzo Mora, Palazzo Bembo, Palazzo Michiel e i Giardini della Marinaressa. E proprio a Palazzo Mora, nel sestiere di Cannaregio, che al piano nobile mostra alcuni affreschi attribuiti a Tiepolo, veniamo a conoscenza della liricità del mondo figurativo  di Oh Myung-Hee, una donna che esprime  la doppia emozione di felicità e tristezza adoperando un materiale delicato come la madreperla. La sua pratica lavorativa scrupolosa richiede pazienza  e tempo e ricorda il lavoro artigianale delle donne coreane. La madreperla rammenta anche i gioielli nuziali delle madri e le giacche in ramiè della nonna conservate con cura. Sempre dalla sua terra  proviene la tecnica pittorica con cui dipinge fiori ed uccelli per intrecciare le fila dei ricordi che si stemperano per ricreare la magia di luoghi e tempi. Questo aspetto diventa cruciale nell’opera con al centro una grande foto di famiglia: un ritratto patriarcale di dimensioni monumentali immerso nella vastità di petali di fiori, dove la moglie e la concubina del nonno appaiono attorniati da un grande numero di  figli, nipoti e pronipoti generati da quelle unioni. Il progetto artistico che vediamo a Venezia, come l’artista spiega, si origina proprio dal ritrovamento di quella vecchia immagine del suo avo e a lei è servita per mettere in evidenza l’asservimento della donna alla società maschilista del tempo. Tale era la situazione in Corea, ma nel mondo in generale allora non si respirava una grande aria di libertà. Lo testimonia proprio quella Marilyn che per venire in Corea per cantare Anything goes, si separò dal marito Joe di Maggio per un breve periodo per evitare discussioni con il compagno, la cui gelosia ed oppressione comunque  avrebbero contribuito, dopo otto mesi, al suo divorzio. La pittura dell’artista coreana accanto alla rivendicazione della libertà di espressione femminile è anche un canto  che illumina la vanitas della vita. Le luci di madreperla che  risplendono  e sfumano nei suoi uccelli, fiori, alberi o nella grande luna cantano la fragilità della bellezza e catturano il momento apicale della sua scomparsa, dove ogni creatura  rivela la sua autenticità. Dolore e gioia si inseguono nella vita degli uomini. Ogni primavera ci riporta la rinascita e con essa la speranza della vita. Dentro lo scorrere del tempo e nelle opere di Oh Myung-Hee cogliamo il fascino ed il sapore dei ricordi che ritornano nelle cose quasi  come un eco delle   sensazioni che appartengono ai profumi delle  madeleine proustiane.

Patrizia Lazzarin, 8 maggio 2022

 

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Andy Warhol. Icons!

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Rivivono i miti e le icone degli anni ‘60 - ‘80, espressione di un sentire collettivo e fotografia di un’epoca in progress, nella mostra che è visitabile da oggi 10 novembre, al Palp Palazzo Pretorio  di Pontedera, fino al venti marzo del 2022. ANDY WARHOL. ICONS! Risuona il titolo già nei nostri orecchi come un richiamo ad un periodo storico effervescente e nella volontà rivoluzionario. Andy Warhol, l’artista statunitense originario di Pittsburgh, fece entrare nelle case degli americani e non solo, le immagini degli idoli della cinematografia, della musica e dell’arte, adoperando come strumento la  tecnica della  serigrafia. Marilyn Monroe, Elvis Presley, Michael Jackson, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli ed in particolare Elisabeth Taylor  sono riprodotti sulle tele più volte, mutando i colori che possono quindi conferire ai volti, diversi toni di  drammaticità, accentuando come nel caso di Liz, come viene spesso chiamata con il nomignolo la grande attrice, i tratti peculiari: i bellissimi occhi e la bocca espressiva che la distinguevano. Warhol, pittore, scultore, grafico, regista, produttore cinematografico ed anche attore si collega nelle sue creazioni artistiche  al mondo della sua infanzia e all’humus culturale in cui è vissuto. Bambino timido e riservato collezionava le foto dei grandi divi di Hollywood, come Cary Grant, Humphrey Bogart e Clark Gable quasi a possederne un po’ della loro genialità e fama, ma che anche amava. Nella prima sezione della mostra, Fame,  compaiono quindi, come eco di questo  mondo “ancestrale”, anche il ritratto della madre.  Immagini simbolo di un mondo dorato quali potevano  essere le principesse Diana Spencer e Grace Kelly o di uno spazio quasi esotico, come l’imperatrice consorte dell’Iran, Farah Pahlavi, accanto allo statista cinese Mao Zedong  e al rivoluzionario Che Guevara, diventano in seguito i soggetti delle sue opere che, nella loro riproduzione seriale, favoriscono anche l’appropriazione di miti comuni da parte del nostro universo abitato. Farsi ritrarre dall’artista americano diventò dimostrazione di aver raggiunto uno status sociale,  e quindi ricchi e potenti, ma anche persone più semplici cercheranno di realizzare questo sogno, come potremmo vedere nella seconda sezione della mostra Still Life. A questa democrazia del sentire e del sapere che si diffonde con facilità si accostano le  altre opere molto famose di Andy Warhol: le Campbell’s Soup o la Coca-Cola. Le prime tratte dagli scaffali del supermercato per la loro ispirazione e riprodotte in serigrafia in tutti i loro gusti, celebravano la società del tempo che aveva reso anche più facile e veloce la gestione del menage familiare. Le nuove nature morte sembrano quasi vibrare della vivacità della modernità, che accelera e dilata gli spazi e i tempi per riempirle di tante cose. Le immagini traghettano o meglio permettono il passaggio, come quel ponte che compare nello stemma del Comune di Pontedera, unico nel Medioevo, sul fiume Era che lo attraversava, dell’arte dal supermercato, luogo di comune frequentazione, ai grandi mercati delle quotazioni dei beni di valore, a cui approdano nel giro di pochi anni le creazioni di Warhol. Esse rilevano anche nuovi soggetti e temi che acquisiscono lo status onorifico dell’arte: le icone, ad esempio,  consacrate dei gusti culinari della contemporaneità. Nel 1983 Andy Warhol modifica i suoi interessi per abbracciare anche tematiche ambientaliste. Già in precedenza aveva realizzato, fra il 1966 e il 1976,  molti dipinti della serie “Cow”,  le famose mucche  e la serie Flowers,  ma si avvicina negli anni Ottanta anche alla questione ambientale ritraendo dieci animali in via di estinzione. Sono sue le parole: ”Quale migliore modo di fare arte se non quella di preservare la Terra?”  In mostra accanto alle Cows e ai Fiori compare  in modo esemplare l’opera Vesuvio.   Per l’artista simbolo della Pop Art, il Vesuvio o ancora più Napoli, gli ricorderanno,  per la grande effervescenza e la vivacità culturale,  la sua New York. La serie delle sedie elettriche e quelle delle proteste di strada si collegano per l’impegno etico e sociale alle tematiche della difesa dell’ambiente ed entrambe troviamo rappresentate nella quarta sezione della mostra che si intitola World’s Life. L’ultima sezione è dedicata alla musica e testimonia le tante collaborazioni che egli ebbe con musicisti, attraverso i loro ritratti, ma anche  grazie ad oggetti diversi come le copertine dei dischi o i cimeli. La rassegna, che ci permette di ammirare centoquaranta delle sue opere, è stata promossa dal Comune e dalla Fondazione Culturale di Pontedera ed ha  il patrocinio della Regione Toscana.  Essa prodotta ed organizzata da Piuma e che ha  come sponsor Knauf  e partner Ecofor,  ha la curatela degli storici  Nicolas Ballario ed Edoardo Falcioni.

Patrizia Lazzarin, 10 novembre 2021

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