Andy Warhol. Icons!

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Rivivono i miti e le icone degli anni ‘60 - ‘80, espressione di un sentire collettivo e fotografia di un’epoca in progress, nella mostra che è visitabile da oggi 10 novembre, al Palp Palazzo Pretorio  di Pontedera, fino al venti marzo del 2022. ANDY WARHOL. ICONS! Risuona il titolo già nei nostri orecchi come un richiamo ad un periodo storico effervescente e nella volontà rivoluzionario. Andy Warhol, l’artista statunitense originario di Pittsburgh, fece entrare nelle case degli americani e non solo, le immagini degli idoli della cinematografia, della musica e dell’arte, adoperando come strumento la  tecnica della  serigrafia. Marilyn Monroe, Elvis Presley, Michael Jackson, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli ed in particolare Elisabeth Taylor  sono riprodotti sulle tele più volte, mutando i colori che possono quindi conferire ai volti, diversi toni di  drammaticità, accentuando come nel caso di Liz, come viene spesso chiamata con il nomignolo la grande attrice, i tratti peculiari: i bellissimi occhi e la bocca espressiva che la distinguevano. Warhol, pittore, scultore, grafico, regista, produttore cinematografico ed anche attore si collega nelle sue creazioni artistiche  al mondo della sua infanzia e all’humus culturale in cui è vissuto. Bambino timido e riservato collezionava le foto dei grandi divi di Hollywood, come Cary Grant, Humphrey Bogart e Clark Gable quasi a possederne un po’ della loro genialità e fama, ma che anche amava. Nella prima sezione della mostra, Fame,  compaiono quindi, come eco di questo  mondo “ancestrale”, anche il ritratto della madre.  Immagini simbolo di un mondo dorato quali potevano  essere le principesse Diana Spencer e Grace Kelly o di uno spazio quasi esotico, come l’imperatrice consorte dell’Iran, Farah Pahlavi, accanto allo statista cinese Mao Zedong  e al rivoluzionario Che Guevara, diventano in seguito i soggetti delle sue opere che, nella loro riproduzione seriale, favoriscono anche l’appropriazione di miti comuni da parte del nostro universo abitato. Farsi ritrarre dall’artista americano diventò dimostrazione di aver raggiunto uno status sociale,  e quindi ricchi e potenti, ma anche persone più semplici cercheranno di realizzare questo sogno, come potremmo vedere nella seconda sezione della mostra Still Life. A questa democrazia del sentire e del sapere che si diffonde con facilità si accostano le  altre opere molto famose di Andy Warhol: le Campbell’s Soup o la Coca-Cola. Le prime tratte dagli scaffali del supermercato per la loro ispirazione e riprodotte in serigrafia in tutti i loro gusti, celebravano la società del tempo che aveva reso anche più facile e veloce la gestione del menage familiare. Le nuove nature morte sembrano quasi vibrare della vivacità della modernità, che accelera e dilata gli spazi e i tempi per riempirle di tante cose. Le immagini traghettano o meglio permettono il passaggio, come quel ponte che compare nello stemma del Comune di Pontedera, unico nel Medioevo, sul fiume Era che lo attraversava, dell’arte dal supermercato, luogo di comune frequentazione, ai grandi mercati delle quotazioni dei beni di valore, a cui approdano nel giro di pochi anni le creazioni di Warhol. Esse rilevano anche nuovi soggetti e temi che acquisiscono lo status onorifico dell’arte: le icone, ad esempio,  consacrate dei gusti culinari della contemporaneità. Nel 1983 Andy Warhol modifica i suoi interessi per abbracciare anche tematiche ambientaliste. Già in precedenza aveva realizzato, fra il 1966 e il 1976,  molti dipinti della serie “Cow”,  le famose mucche  e la serie Flowers,  ma si avvicina negli anni Ottanta anche alla questione ambientale ritraendo dieci animali in via di estinzione. Sono sue le parole: ”Quale migliore modo di fare arte se non quella di preservare la Terra?”  In mostra accanto alle Cows e ai Fiori compare  in modo esemplare l’opera Vesuvio.   Per l’artista simbolo della Pop Art, il Vesuvio o ancora più Napoli, gli ricorderanno,  per la grande effervescenza e la vivacità culturale,  la sua New York. La serie delle sedie elettriche e quelle delle proteste di strada si collegano per l’impegno etico e sociale alle tematiche della difesa dell’ambiente ed entrambe troviamo rappresentate nella quarta sezione della mostra che si intitola World’s Life. L’ultima sezione è dedicata alla musica e testimonia le tante collaborazioni che egli ebbe con musicisti, attraverso i loro ritratti, ma anche  grazie ad oggetti diversi come le copertine dei dischi o i cimeli. La rassegna, che ci permette di ammirare centoquaranta delle sue opere, è stata promossa dal Comune e dalla Fondazione Culturale di Pontedera ed ha  il patrocinio della Regione Toscana.  Essa prodotta ed organizzata da Piuma e che ha  come sponsor Knauf  e partner Ecofor,  ha la curatela degli storici  Nicolas Ballario ed Edoardo Falcioni.

Patrizia Lazzarin, 10 novembre 2021

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Fra favola e matriarcato

Per chi avesse dei dubbi sulle intramontabili affezioni popolari per le favole e le storie esemplari, il recente matrimonio di un principe, Harry, e di una borghese (fra l'altro, di origine afro-americana), e cioè, Meghan Markle, costituisce un'utile lezione antropologica e un un'imprevedibile cassa di risonanza dell'anima britannica.

Già gli ossessivi commenti della BBC nei giorni precedenti, con un'inusitata abbondanza di spazio per l'incipiente matrimonio a scapito di altri eventi mondiali più critici e sanguinosi, la dice lunga sull'ambiguo ruolo dei social media: eccitante e stimolante, attento lettore delle aspettative popolari, o una sapiente miscela di entrambe le cose? Ognuno è libero di scegliersi le combinazioni che preferisce.

Ora che la neo-coppia è stata insignita di un titolo ducale e che per il momento dovrebbe essere lasciata in pace dalla morbosità giornalistico-cortigiane, alcuni elementi di questo matrimonio, lo scenario in cui esso si è svolto, i personaggi che lo hanno popolato offrono spunti di riflessione.

Intanto, come non pensare ancora una volta a Edoardo VIII? L'estrazione sociale borghese e soprattutto il duplice divorzio di cui era giudicata colpevole la donna da lui amata, Wallis Simpson, gli costarono il trono...Il matrimonio di Elisabetta II con un ex-principe di Grecia e di Danimarca, Filippo, ripristinò le tradizioni regali. In fin dei conti, forse Filippo non aveva titoli altisonanti e tanto meno gigantesche proprietà terriere come molti degli attuali duchi e nobili britannici, ma nelle sue vene scorreva pur sempre il sangue del fior fiore della nobiltà greca, danese, tedesca e russa. Insomma, la nobiltà c'era...Le tradizioni sembrano proseguire anche con Carlo, il Principe di Galles, che si unisce in matrimonio a Diana Spencer, appartenente a una delle più antiche famiglie nobili del regno (gli Spencer si guadagnano il titolo di conte già sul finire del XV secolo). Ironicamente, la defunta Diana Spencer poteva vantare una nobiltà britannica ancora più pura del marito, nel cui sangue scorreva molto sangue tedesco, quello dei Sassonia-Coburgo-Gotha, che risaliva alla stessa regina Vittoria per via del cugino-sposo Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha.

Ma le leggi dell'attrazione e della fatalità avrebbero arrestato questa dinamica regale: perita tragicamente Diana Spencer, il Principe di Galles può finalmente sposare la borghese dei suoi sogni, e cioè, Camilla Parker Bowles, poi anch'essa innalzata a duchessa. Da tempo immemorabile i monarchi hanno esercitato con parsimoniosa cautela la loro prerogativa di nobilitare individui di rango inferiore....Per un singolare destino, anche i due figli del Principe di Galles, sposando delle commoners (il contrario di "nobili"), hanno seguito le orme del padre, il quale era per ovvi motivi l'ultima persona al mondo che avrebbe potuto opporsi.

Insomma, la favola del principe che sposa una borghese sembra avere ormai radici consolidate in Gran Bretagna, mentre non è sconosciuta neanche in altre famiglie reali attuali, dal Marocco alla Spagna e dalla Danimarca e dalla Norvegia fino al Giappone, giusto per fare degli esempi. Salvo rare eccezioni, il trionfo dell'amore o dell'attrazione è in genere stimolato e sigillato da una figura femminile. In Gran Bretagna, questo "sigillo" femminile trova il suo più memorabile esempio nella regina Vittoria, i cui quarant'anni di vedovanza non saranno consolati neanche dalla moltitudine di figli (9) avuti durante il matrimonio. La sua figura divenne così pervasiva e il suo stile così determinante anche nei valori e tabù sociali – la ben nota pruderie vittoriana - che paradossalmente l'apogeo dell'Impero Britannico è segnato da un tacito ma inflessibile matriarcato regale. Dopo gli scialbi interregni dei suoi successori maschili, anche la sua tris-nipote Elisabetta II ha sotto vari aspetti impersonato certe tendenze matriarcali della monarchia. Come dire che per almeno un secolo in Gran Bretagna la regalità è stata femminile. Siamo in presenza di una sorta di replica moderna delle Dee Madri preistoriche?

Se ora ritorniamo alla cerimonia di matrimonio del neo Duca di Sussex, lo scenario esterno e quello interno forniscono indicazioni significative che vanno ben al di là dell'evento in quanto tale.

Intanto, difficile respingere la sensazione che il tipo degli ospiti e anche le assenze siano state in qualche modo collegate alla sposa, ovvero al principio femminile. A parte l'ex- Primo Ministro Sir John Major, peraltro anche guardiano ufficiale degli interessi legali dei due figli del principe di Galles, nessuna personalità politica britannica o straniera è stata invitata alla cerimonia. Non solo, ma neanche membri delle famiglie regali europee erano presenti, inclusa quella dell'ex- re Costantino di Grecia, cugino di Filippo di Edimburgo e dunque strettamente imparentato con la famiglia reale. Ben altrimenti erano andate le cose per il matrimonio del figlio maggiore di Carlo d'Inghilterra, matrimonio contorniato da una folla di personalità straniere, politiche e regali. Esso era avvenuto secondo le migliori tradizioni, in cui per simpatia o per necessità si invitano quelli che contano.

Questa volta non è stato così. Nessuno di quelli che contano è stato invitato, e quelli che lo sono stati, a parte i membri della famiglia reale, erano tutti privi di blasone o comunque esprimevano solo una particolare modalità sociale, solo un particolare modello simbolico. A che si deve tale differenza. Perché? Solo una questione di inclinazioni personali dei due sposi?

In uno dei films più straordinari dei fratelli Korda (The four feathers), uscito non a caso nel 1939, quando si addensavano le nubi di guerra sull'Europa e che può continuare ad essere utilizzato come un prisma con cui leggere molte cose intimamente inglesi, la fidanzata del protagonista pronuncia alcune frasi che sembrano il catechismo ideologico di una classe e di una visione del mondo. Al fidanzato che le annuncia che non partirà col suo reggimento, che va a combattere il Mahdi in Sudan, la ragazza obbietta con orgoglio che essi non possono fare ciò che vogliono come altre coppie. "We are not free. We were born into a tradition. A code to which we must obey even if we do not believe in it." Il richiamo all'ordine della ragazza avrà un peso non minore delle piume bianche della viltà e lo scettico finirà per fare l'eroe.

Fuori metafora cinematografica, se la sposa avesse appartenuto a una casa regale, è quasi certo che l'allineamento con la tradizione sarebbe stato assai più marcato e completo e non si sarebbe limitato a quello spettacolare ma superficiale della berlina degli sposi accompagnata dai corazzieri a cavallo. D'altra parte, la sposa non solo era una borghese ma era anche afro-americana. L'annotazione non deve far confondere le cose e suscitare sospetti razzisti da strapazzo.

La cosa paradossale è che un allineamento vi è stato, ma nei confronti della sposa, verso di essa. Si racconta che l'idea di invitare il capo della chiesa episcopale americana, Michael Curry, a pronunciare il sermone sia stata dello stesso Arcivescovo di Canterbury. Supposto che ciò corrisponda alla verità, quali saranno state le sue motivazioni? In mancanza di dichiarazioni ufficiali, è lecito fare alcune ipotesi. Una è che il sollecito Arcivescovo britannico abbia pensato di amalgamare lo scenario, introducendo un officiante con le stesse origini della sposa. E' infatti assai improbabile che egli prevedesse e facesse affidamento sullo stile teatrale del sermone, tipico del miglior stile hollywoodiano. Appropriate o meno alla solennità dell'occasione, le risatine e i volti di vari membri della famiglia reale durante il sermone tradiscono perlomeno una certa perplessità nei confronti dello stile piuttosto che dei contenuti. Lo stile....

Certo, fra gli ospiti compaiono anche figure come Elton John e il sorridente George Clooney, ma nuovamente vi sono ospiti femminili esotiche, fra cui la bellissima attrice indiana Priyanka Chopra, amica della sposa. Di colore anche il giovane virtuoso britannico del violoncello che esegue un pezzo di Fauré durante la cerimonia

In realtà, questa serie di affinità razziali fra le presenze sopra citate e la sposa non possono essere una banale coincidenza e tradiscono una cosa significativa: quegli ospiti cruciali che danno ritmo e colore alla cerimonia esaltano la personalità e la figura della sposa. I richiami, le evocazioni, i volti, i personaggi sono assai lontani e diversi da quelli dell'establishment nobiliare locale che ha assistito alla cerimonia. Qualcuno potrebbe far notare a questo proposito come la stessa BBC sia fortemente cosmopolita e che i suoi presentatori e dipendenti provengano dai quattro angoli del pianeta. Ciò è verissimo. La differenza è che un stesso stile di comportamento, uno stesso modello li accomuna, e quando essi parlano o si muovono si percepisce l'effetto di una tacita ma inflessibile scuola, quella della BBC, che sommerge le idiosincrasie e le differenze geografiche e razziali.

Sicuramente, molti saranno pronti a interpretare caratterizzare questa rottura col passato come una conferma che "I tempi cambiano." In realtà, i fatti dimostrano il contrario. Ciò che ha suscitato curiosità e una bramosa attenzione in giro per il mondo è stata esattamente la replica della vecchia e intramontabile favola del principe che si unisce a una ragazza del popolo. Ma nella favola classica è la fanciulla che segue e si allinea al modello e ai simboli del principe, e non viceversa. Nell'evento moderno costei non era Cenerentola, ma lui, lo sposo, era pur sempre un principe...Ogni volta che ciò accade, le frustrazioni o livori latenti delle masse nei confronti dei ricchi e dei potenti si attenuano, vengono contraddetti dal realizzarsi di qualcosa altrimenti impossibile nella vita di tutti i giorni. Sono tacite e inconsapevoli auto-identificazioni di questo tipo che permettono a folle di diseredati di applaudire e osannare inspiegabilmente calciatori e cantanti che guadagnano in un anno ciò che un individuo comune potrebbe (forse) guadagnare nell'arco di qualche millennio...

Insomma, per certi aspetti l'evento in questione è stato la replica di una immemoriale favola – anche nei miti un eroe salva una fanciulla indifesa – ma proprio certe sue caratteristiche lo hanno reso anche contradditorio. Paradossalmente, la favola è entusiasmante proprio a causa dei suoi opposti: un nobile e una fanciulla del popolo. Essa continua ad affascinare le masse, se il primo rimane eccelso nel suo splendore principesco o magari anche economico e la seconda non perde la sua patina patetico-ingenua e tende verso i simboli e modelli del primo, perché questo è in fondo il suo vero sogno.

Nella preoccupazione delle varie dinastie reali di democratizzarsi per non perdere il favore popolare, questo andare verso il  popolo non è necessariamente malvagio ed è comunque un modo di conservare una parte del loro ruolo. Tuttavia, il conseguente annacquamento simbolico e di stili reca in sé gli stessi rischi che incombono sulla civiltà moderna: l'appiattimento, il livellamento, la perdita delle identità in nome di sedicenti e fraudolente eguaglianze spirituali ed emotive.

Ciò vale naturalmente anche per gli inglesi entusiasti che hanno sommerso Windsor con la loro presenza: proprio perché innamorati delle loro tradizioni – forse qui sta una delle ragioni delle isterie del Brexit – essi erano lì per godersi la loro favola, i loro reali, i loro corazzieri e le loro berline, a cui tengono molto. Quello che non è chiaro è se si siano resi conto che anche le favole possono correre il rischio di essere annacquate, s'intende, con le migliori intenzioni....

Antonello Catani, Atene, 23 maggio 2018

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