Il rischio di un governo tecnico? Non è il 2011, ma...
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... poco ci manca. L’Italia, causa referendum costituzionale, è sull’orlo di una crisi di nervi. In particolare i politici stanno trascinando il Paese in un dibattito che nulla, o ben poco, ha a che fare con i veri interessi e le esigenze dei cittadini. Il confronto con quello che è successo cinque anni fa non appare fuor di luogo. L’allora presidente della repubblica Giorgio Napolitano ingaggiò il prof. Mario Monti (peraltro contattato mesi prima per verificare la sua disponibilità a prendere in mano le redini del governo maldestramente guidato dal duo Berlusconi-Tremonti). La riprova è stata la sua inopinata nomina a senatore a vita (che aveva lasciato tanti osservatori perplessi: quali i meriti del bocconiano per avere il laticlavio vita natural durante?). Il centrodestra aveva gridato. al colpo di stato. Pensiamo con molte ragioni, visto che alcuni mesi prima. Palazzo Chigi aveva ricevuto un preciso diktat da parte di Bruxelles. Ecco la letteara della Bce pubblicata sul Corriere della Sera l’11 agosto 2011,tradotta in italiano: http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_italiano_405e2be2-ea59-11e0-ae06-4da866778017.shtml
Lo spread, intanto, aveva raggiunto i 574 punti base sui bund tedeschi. Lo spettro del fallimento del Belpaese era alle porte. Il governo Monti ha fatto quello che ha fatto. Lacrime e sangue per milioni di concittadini. L’ombrello della Bce sull’acquisto dei titoli pubblici nostrani oggi evita che lo spread raggiunga i livelli del 2011. La situazione è comunque ugualmente drammatica. Cerchiamo di spiegarne i motivi. Cinque anni fa l’anello debole del nostro Paese erano i titoli Stato, oltre il forte indebitamento pubblico. Oggi é lo stato comatoso degli istituti di credito, le cui quotazioni borsistiche, ogni giorno che più si approssima il momento elettorale referendario, scendono in maniera paurosa. Non ci sono altre spiegazioni che l’assalto speculativo, confermato da dichiarazioni del tutto inopportune e pretestuose di autorevoli quotidiani finanziari (Wall Street Journal), di organizzazioni internazionali (l'Ocse, ad esempio), il governo tedesco con il suo ministro delle finanze Schauble, l'ormai ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che non dovrebbero nel modo più assoluto cercare di influenzare il voto popolare italiano, come se ci fosse (e, secondo noi, c’è) un grande interesse per sponsorizzare il 4 dicembre la vittoria del sì. Ripetiamo per l’ennesima volta: chi è quello sciagurato investitore che vende a 100 un titolo azionario acquistato a 500? Nessuno, si dovrebbe rispondere. Eppure è quello che (sembra) stia succedendo. L’esempio classico è la quotazione del Monte dei Paschi di Siena. Ma il ragionamento si potrebbe estendere alle quotazioni di Unicredit, un tempo la regina delle nostre banche. Il 21 aprile 2007 (prima del crollo di Lehman Brothers) Unicredit era quotata 7,469 euro e, dopo diverse operazioni sul capitale, è arrivata a cedere in questi anni oltre il 90% del suo valore borsistico. La banca sarebbe, insomma, sull’orlo del fallimento. Uno penserebbe che stanno per chiudere il 90% degli sportelli Unicredit. E l’amministratore delegato dovrebbe apprestarsi a portare i libri in tribunale. La prospettiva appare inquietante. Il presidente del consiglio Renzi e il ministro della finanze Padoan sembrano non preoccuparsene più di tanto. Anzi, sostengono, ad ogni piè, sospinto che i risparmiatori possono dormire sogni tranquilli. Affermano che il sistema bancario italico è dei più solidi e che piuttosto dovrebbe preoccuparsi Angela Merkel per lo stato di salute delle banche tedesche. Da ridere. Anche Silvio Berlusconi, nel 2011, parlava di "impossibilità di trovare posti in aereo per i vacanzieri italiani e che i ristoranti erano pieni! E' risaputo come è andata a finire. Il presidente della repubblica Sergio Mattarella fa lo gnorri. Non è interventista come il suo predecessore, ma il rischio per il paese Italia è di tutta evidenza. Siamo nel mirino della speculazione finanziaria. Il discorso, tra l’altro,si può e si deve estendere anche ad altri titoli, sopratutto quelli finanziari. E Piazza Affari è zeppa di società operative nell’universo della finanza. Se poi andiamo a vedere cosa accade nelle altre piazze finanziarie, constatiamo che Wall Street è ai massimi storici, Francoforte anche. Il Giappone ha recuperato parecchio terreno rispetto agli anni passati. Solo l’Italia arranca e Piazza Affari constata quotazioni sempre più all’in giù. Un presidente del consiglio si allarmerebbe, così il titolare del dicastero dell’economia. Invece no. Tutto va bene, madama la marchesa. All’orizzonte sembra profilarsi nuovamente la figura di un ennesimo tecnico a Palazzo Chigi. Al di là delle simpatie per gli schieramenti di una parte politica (destra, centro o sinistra che uguali sono), c’è da sottolineare che gli unici esecutivi che hanno fatto cose egregie sono stati i governi tecnici di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, di Lamberto Dini nel 1996 e di Mario Monti nel 2011 (tutto il parlamento ha approvato i provvedimenti del suo esecutivo, la sciagurata legge Fornero ma anche il fiscal compact). Piaccia o non piaccia la politica italiana, i politici italiani sembrano incapaci di darsi una mossa e di provare per davvero a risolvere i problemi del Paese che sono, in primo luogo, il moloch del debito pubblico, che con Renzi ha segnato altri nuovi record. Padoan, nonostante le promesse di inizio anno, non è riuscito ad arginarne la tendenza del trend di continua crescita. E le tasse, secondo i principali istituti di ricerca, non stanno scendendo affatto. Nonostante l’esecutivo si affanni a sostenere il contrario. Per di più le finanziarie di questo esecutivo sono infarcite di bonus un po’ a tutte le categorie. Dai 500 euro ai diciottenni, agli 80 euro alle mamme in attesa di un bebè, ai bonus per le famiglie numerose, ai bonus libri, alle family card, agli sconti sulle bollette di casa, alla riduzione di canone telefonico, agli sconti sul canone Rai, ecc. E’ un governo che fa le regalìe. Per questo la Commissione Europea, a primavera, farà ragionevolmente le pulci al bilancio di previsione 2017. E probabilmente lo boccerà. In questo contesto. E se non lo ha ancora fatto è per favorire un”sì” al referendum del 4 dicembre. Le riforme di Renzi non sembra abbiano inciso granché sull’indebitamento del Paese per farlo scendere a livelli accettabili. Anzi, la situazione si è ulteriormente aggravata. E le contestazioni della Ue non ci sarebbero state se il debito pubblico fosse stato contenuto entro limiti della media europea.
Il moloch del debito pubblico italiano
Debito pubblico di alcuni paesi in rapporto al prodotto interno lordo. Italia è terza dopo Giappone e Grecia.
Fonti:
www.it.actualitix.com/paese/wld/debito-pubblico-per-paeses.php
Giappone 245, 9 %
Grecia 196,95 %
Italia 133,09%
Portogallo 127,8 %
Belgio 106,75
Stati Uniti 105,85 %
Irlanda 100,63 %
Spagna 98,6 %
Francia 97,09 %
Canada 90,42 %
Croazia 88,9 %
Austria 86,71 %
Slovenia 81,77 %
Serbia 76,71 %
Ungheria 75,27%
Germania 70,75 %
Olanda 67,62 %
India 65,26 %
Finlandia 61,91 %
Polonia 51,09 %
Danimarca 46,99%
Svezia 43,93 %
Cina 43,2 %
Romania 40,9%
Lituania 38,78 %
Lettonia 37,77 %
Corea del Sud 35,12 %
Bulgaria 28,64%
Lussemburgo 23,6%
Russia 20,4 %
Estonia 10,76 %
Marco Ilapi, 30 novembre 2016
Il debito nostro pubblico continua a crescere al ritmo di 57 000 euro al minuto
Il colossale debito pubblico accumulato dall'Italia nel corso degli ultimi 50 anni è uno dei suoi principali fattori di debolezza finanziaria, in particolare nel contesto di crisi attuale. Una montagna di debiti che, secondo l'Istituto Bruno Leoni, ammonta a oltre 2.229 miliardi di euro. Il che significa che su ogni cittadino italiano grava un debito di circa 36.748 euro. Quando si è formato questo pesante fardello? Contrariamente alla vulgata comune, non durante la Prima Repubblica, ma nel corso della Seconda. Secondo i dati raccolti dall'economista Oscar Giannino, e divulgati in un video che sta facendo il giro della rete (pur risalendo allo scorso settembre), i governi dal 1945 (De Gasperi I) al 1992 (Andreotti VII) hanno accumulato un debito pubblico di 795 miliardi di euro, cioè il 41% circa del totale (il valore riportato da Giannino è quello di giugno 2011: 1.931 miliardi). Il restante 59% è da attribuire al periodo 1992-2011, cioè alla Seconda Repubblica. In particolare, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994, di 941 miliardi (il 48,7% del totale). Il che significa che la sola 'era berlusconiana' ha prodotto il 7,7% di debito pubblico in più rispetto all'intera storia repubblicana pre-Mani Pulite. Concentrandosi sulla sola 'era berlusconiana', Giannino dettaglia il contributo dei singoli governi alla formazione del debito pubblico. Si scopre così che il record assoluto spetta al primo governo Berlusconi, con un incremento del debito di 330 milioni di euro al giorno. Se si sottrae l'esperienza emergenziale dei governi Amato e Ciampi, secondo è ancora un governo Berlusconi, l'ultimo, con 217,8 milioni di euro al giorno di aumento del debito. La palma del più 'virtuoso' spetta al governo D'Alema (+76,3 milioni di euro al giorno) e ai due governi Prodi (rispettivamente 96,2 e 97,5 milioni di euro al giorno di incremento). Durante la Prima Repubblica il dato è comunque inferiore: 49 milioni di euro al giorno in media. Da ultimo, i dati forniti da Giannino consentono di concludere che, su un totale di 1.931 miliardi di euro di debito pubblico, i quattro governi Berlusconi hanno contribuito per una cifra pari a 557,2 miliardi. Il che significa che il 28,8% del debito si è prodotto durante i 3.200 giorni (a fine giugno 2011) di guida berlusconiana del Paese. Giova ricordare che questi grafici riguardano valori assoluti, mentre per quanto riguarda il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo si può consultare questa infografica de Linkiesta, che spiega anche perché dati come quelli forniti da Giannino non siano sufficienti a tradursi immediatamente in un giudizio negativo sull'operato dei governi Berlusconi (valigiablu.it).
Ad oggi il debito pubblico ha raggiunto la vertiginosa cifra di 2.228.737.365, in crescita del 12%. Era di 1.912,389 miliardi nel novembre del 2011, regnante Monti. Con un più 226,825 miliardi di euro. Cresce del 12% (vedi sito www.laprimapagina.net per verificare di quante migliaia di euro cresce ogni minuto, ad oggi il debito che grava su ogni italiano è di 36.748 euro). E questo debito lo dobbiamo pagare tutti noi con un continuo aumento della pressione fiscale. O dello Stato centrale o degli Enti locali. Nonostante, ripetiamo, i governanti sostengano che le tasse diminuiscono. La gente non se ne avvede. Come si evince dalla lettura delle tabelle seguenti, il nostro premier non solo non sta facendo nulla per la riduzione del folle indebitamento dell’Italia ma va in giro sostenendo che le tasse stanno calando. Chi ha preso per fessi? Con la sua riforma costituzionale, purtroppo, i nodi non verranno sciolti. Dopo la sciagurata abolizione delle provincie, perché non ha proposto l’eliminazione del Senato (meglio sarebbe stato della Camera dei Deputati) e la riduzione drastica del numero delle nostre regioni? I risparmi sarebbero stati sicuramente ben superiori. Ha realizzato un grande pasticcio. I tre anni del suo governo non saranno ricordati per i grandi risultati conseguiti. Che poi vinca il sì o vinca il no, per gli onesti cittadini non cambierà niente. L’unico risultato: il Paese è sempre più spaccato. Questa conseguenza è frutto della insipienza di Matteo Renzi. Il 5 dicembre, qualsiasi sia il risultato del referendum il sole sorgerà ancora. “Matteo, stai sereno!”.
Marco Ilapi, 30 novembre 2016
Anno Debito pubblico italiano in milioni di euro Debito pubblico su PIL (a)
1984 284.825 74,4%
1985 346.005 80,5 %
1986 401.499 84,5 %
1987 460.418 88,6 %
1988 522.732 90,5 %
1989 589.995 93,1 %
1990 663.831 94,7 %
1991 750.798 98,0 %
1992 847.596 105,2 %
1993 959.111 115,6 %
1994 1.069.415 121,8 %
1995 1.151.489 121,5 %
1996 1.213.508 120,9 %
1997 1.238.170 118,1 %
1998 1.254.386 114,9 %
1999 1.282.062 113,7 %
2000 1.500.341 109,2 %
2001 1.358.333 108,8 %
2002 1.368.512 105,7 %
2003 1.393.495 104,4 %
2004 1.444.563 103,8 %
2005 1.512.753 105,8 %
2006 1.582.067 106,5 %
2007 1.599.790 103,5 %
2008 1.664.204 106,1 %
2009 1.761.229 115,8 %
2010 1.843.002 119,0
Fonte: Banca d'Italia
Qui seguito trovate il debito pubblico dall'Unità d'Italia ad oggi riportato dal sito www.blia.it