A Palazzo Chigi aleggia l'ombra di Renzi

Zero rappresentanza nell’area del No, intendendo per No non necessariamente (per carità) la minoranza Pd ma tutta l’area civica, associativa, accademica alla quale il Pd dell’ordalia referendaria ha voltato le spalle. E quella promozione agli esteri di Angelino Alfano che più di tutte denota una macroscopica incapacità di guardarsi da fuori, con gli occhi dei cittadini. Alfano è al governo ininterrottamente dal 2008, con la destra e con la sinistra, è stato più che sfiorato dal pasticcio diplomatico col Kazakistan ai tempi del caso Shalabayeva, rappresenta un partito praticamente privo di voti, è fortemente a disagio con l’inglese e non si è mai occupato di relazioni internazionali. Insomma, l’immagine di una politica sorda e arroccata. Altro che rottamazione. L'opinione di Chiara Geloni su Messaggero Veneto.

Il governo fantoccio di Gentiloni

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Riforme (?!), la prova di forza di Renzi

Matteo Renzi le sta studiando tutte. Sta distruggendo il partito democratico (il suo partito) e nessuno sembra capacitarsene. Ormai ha dato ampie prove di un atteggiamento molto disinvolto. Al limite dell’indecenza. Ha sostenuto innumerevoli volte che avrebbe dato nuova linfa alla politica attenta ai bisogni dei cittadini. Ha deciso la rottamazione della vecchia e incartapecorita dirigenza dei democratici. Fin qui niente di nuovo sotto il sole. Però, però … l’ha sostituita con i suoi baldi amici fiorentini che hanno mostrato abbondantemente tutti i loro limiti. A parte la Maria Elena Boschi, i suoi collaboratori a Palazzo Chigi appaiono quali controfigure del premier alquanto sbiadite. E se provano a sostenere qualche concetto che il ragazzotto di Rignano sull’Arno detesta, apriti cielo! Viene messo alla porta. Vengono accettati i transfughi, come nel caso degli ex di Scelta Civica (Stefania Giannini, Andrea Romano, Carlo Calenda, Pietro Ichino, Linda Lanzilllotta, Gianluca Susta,  Alessandro Maran, Ilaria Borletti Buitoni e Irene Tinagli.  Scelta Civica, il movimento inventato da Mario Monti per contrastare il fu Pdl di Berlusconi ed il Pd di Bersani nelle consultazioni elettorali del 2013, si è praticamente dissolta e nessuno ha avuto da ridire per questa trasmigrazione in massa nelle file del partito renziano. Il partito della nazione è ormai realtà. I tanti Scilipoti e Razzi hanno avuto (in)degni emuli. La stampa, in generale, salvo rare eccezioni, non ha avvertito alcun sussulto. Nessun mal di pancia. Il PdN, un partito senza identità. Non è di destra, non è di centro, non è di sinistra ma, nello stesso tempo, è di destra, di centro, un po’ meno (molto meno) di sinistra. Come la vecchia, gloriosa, democrazia cristiana. Solo che a guidare la Dc erano personalità di spessore come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giulio Andreotti. I quali sapevano scegliere i propri collaboratori. Mai e poi mai si sarebbero sognati di imbarcare nell’esecutivo personaggi mediocri come Marianna Madia (che, giova ricordare che quando Walter Veltroni la mise capolista alle elezioni politiche disse di sé stessa “di portare in dote alla Camera la propria ignoranza” (!). E infatti la Dc ha fatto uscire l’Italia dalle macerie del secondo dopoguerra ed  ha governato il Paese per oltre 40 anni. Renzi non riuscirà nell’impresa di stravolgere la Costituzione. Lo avrebbe potuto fare se avesse optato per una Assemblea Costituente eletta con suffragio proporzionale, così come è stato fatto nel dopoguerra. Ma allora c’erano personalità come Alcide De Gasperi, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini. Non burattini come i la maggior parte dei componenti della Camera e del Senato odierni. Che votano, non discutono, obbediscono bovinamente agli ordini di scuderia. In buona parte poi sono dei voltagabbana. Degli Scilipoti, dei Razzi, insomma. E questo parlamento può fare le riforme costituzionali? Se l’Italia è un Paese serio, boccerà il progetto renziano. E tutto tornerà al punto di partenza. Il referendum non l’ha concesso Renzi. E’ previsto dall’art 133 della Costituzione. Giova ricordarlo. Il Paese che il premier configura nella sua mente è un’Italia che non esiste. Avesse optato per il modello tedesco, forse avrebbe avuto migliori chances. Oppure quello francese. Invece non assomiglia né all’uno né all’altro. Vedremo nel prossimo autunno. Le riforme sono tutte molto pasticciate e dettate da Confindustria.

Marco Ilapi, 3 gennaio 2016

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