Il Paese dell'inerzia
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Il risultato del Referendum costituzionale è una conferma che l’inerzia non è solo una tendenza dei corpi ma può essere anche quella di un’intera società, il cui NO non è affatto così razionale e motivato come i vari demagoghi di turno pretenderebbero, senza dimenticare i legulei bacchettoni e ovviamente il parassitico entourage clientelare che circonda l’attuale struttura parlamentare minacciata dal Referendum.
Di fatto, dietro le accuse di autoritarismo nei confronti delle proposte di quest’ultimo hanno verosimilmente agito ragioni di gran lunga più pratiche, banalmente di confusa protesta per il barcollante andazzo dell’economia, e altre meno esplicite e sotterranee, su cui hanno però fatto leva i megafoni degli imbonitori.
Queste retoriche sull’autoritarismo sono un’insidiosa deriva dei disastri provocati dalla fase finale della demagogia mussoliniana e dei suoi pruriti bellici. Il loro risultato fu che Il 2 giugno 1946 l’Italia si ritrovò improvvisamente repubblicana e il 1 gennaio 1948 anche in possesso di una costituzione la cui farraginosità si è trascinata fino ad oggi. Tuttavia, le ombre del fascismo non si dissolsero. Indirettamente, anche gli eventi successivi furono una paradossale conseguenza dei suddetti sciagurati misfatti. Il bicameralismo, con cui probabilmente si voleva costruire un argine per eventuali tentazioni di concentrazioni di potere, divenne in realtà un elefantiaco strumento che ha gravato in modo nefasto sulla vita del Paese da allora fino ad oggi. I costi diretti e indiretti e l’anchilosamento del meccanismo politico dovuto alla doppia approvazione delle leggi da entrambe le camere sono probabilmente inquantificabili. La paura delle ombre e la coda di paglia crearono così una struttura farraginosa che avebbe contribuito in maniera difficilmente sottostimabile all’instabilità politica del Paese. Corollario della suddetta paura delle ombre e della relativa coda di paglia fu il lussureggiare di una pletora di minuscule fazioni, molte pomposamente definite “partiti” e che contribuirono ai petulanti e interminabili bisticci e beghe che hanno martoriato la vita politica dell’Italia negli ultimi 70 anni. La cosa curiosa è che il bicameralismo non ha corrisposto a un bipartitismo, esistente invece nei paesi anglosassoni, che peraltro nessuno accusa di totalitarismo o di mancanza di democrazia. A tutto ciò va poi aggiunta l’esistenza di una tentacolare ramificazione di Province, anch’esse focolari di clientelismo e rallentatrici di cambiamenti.
Queste annotazioni non pretendono di scoprire l’America e additano uno scenario che anche degli scolaretti riconoscerebbero.
L’incredibile longevità di cui ha goduto la mastodontica struttura parlamentare si spiega probabilmente col fatto che, in barba alla diversità dei colori politici, quest’ultima ha convenuto a destra e a manca, cosa che però rende ancora più di bassa lega il baccano e la disputa che hanno avvolto il Referendum. Del resto, anche solo alcuni semplici confronti numerici suggeriscono che il modello parlamentare italiano è ridondante (per usare un eufemismo). Negli Stati Uniti (con 319 milioni di abitanti!) la camera dei rappresentanti e il senato riuniti contano solo 535 membri. In Gran Bretagna (64 milioni abitanti) il parlamento conta 650 membri. La Germania, con i suoi 80 milioni, ne ha per 630. Quando si passa alla Francia, ahimè, la grandeur inizia a farsi sentire, ed ecco un parlamento di ben 925 membri. Ma lo scettro della ridondanza spetta comunque all’Italia, con i suoi 933 parlamentari, anche se con una popolazione inferiore di ben sei milioni.
Giù solo questi dati avrebbero dovuto quindi suggerire ai sonnambuli del NO e ai patetici dimostranti entusiasti per la loro supposta vittoria di favorire l’eliminazione delle poltrone, dal Parlamento alle Province e al CNEL. Invece, ciò non avvenuto, visto che i manovrieri del gran rifiuto hanno abilmente sfruttato due strumenti emotivi. Uno sono le rivalse economiche, l’insofferenza per il peggioramento della qualità della vita dei ceti medio bassi. L’altro, di tipo più ideologico, sono gli spettri moralistici riguardo ai pericoli di un rinnnovato autoritarismo, pericoli ormai del tutto fantasiosi in un mondo dove non sono più ammesse le estrosità e fughe autoritarie, almeno nei Paesi della Nato. Quelle dell’attuale Primo Ministro turco corrono sul filo del rasoio, anche se egli fa finta di non saperlo.
In realtà, se gli Italiani volevano protestare per l’andamento dell’economia, per l’austerità e quant’altro, il Referendum e le sue risposte erano la sede più inappropriata per esprimerle. Fra l’altro, nello schiamazzo ideologico sembra che tutti abbiano dimenticato qualcosa che continua a infiltrarsi nel tessuto sociale e a germinare come malcostume civico.
Tutti sanno che l’articolo 1 della costituzione recita che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Bene. A parte il sostantivo, che richiama irresistibilmente passate e infelici influenze d’oltre cortina, il principio è in fondo ammirevole. Ora, specialmente in questi ultimi anni, l’incontrollata e caotica invasione migratoria ha creato masse di individui che, se non altro per ragioni pratiche, non lavorano. Sono mantenuti, alloggiati, cibati. Se poi non sono mantenuti, si dà il caso che molti vivano di mestieri pericolosi per i cittadini, cosa che adesso ha per esempio fatto scoprire alle autorià milanesi che occorre rafforzare le forze di polizia. Adesso se ne accorgono?
Quando non è un mal inteso buonismo, sono l’indifferenza e l’apatia che governano gli animi. Altro che compassione. Corollario di tale (inarrestabile) massa è quella degli innumerevoli individui, in genere giovani e di aspetto sano, in agguato ai parcheggi e imperiosi indicatori di posti, o in piedi di fronte a negozi e bar, con la mano tesa, in un silenzio rotto solo da un ciao melenso. L’uniformità degli atteggiamenti e dei comportamenti suggerisce che dietro vi siano degli istruttori non meglio identificati. Il risultato è che, grazie nuovamente all’inerzia del Governo – e tutte le inerzie sono perniciose – esiste un florido, consolidato e scandaloso allevamento di…accattoni. La mancanza di lavoro non è un peccato, ma fare dell’accattonaggio una forma di vita e tollerarlo senza battere ciglio sono due atteggiamenti entrambi inaccettabili in una società civile.
Una credibile compassione vorrebbe che i buoni (con i fatti e non solo con le chiacchere) si facciano in quattro per i bambini della Nigeria che stanno attualmente morendo di fame, mentre uno Stato civile mostrerebbe in modo più sano la sua benevolenza facendo pulire aiuole e strade e potando alberi ai giovani “parcheggiatori forzosi" nonché ai “pali a mano tesa” sopra menzionati. In tal modo sarebbe fedelmente applicato il citato articolo della Costituzione: una società basata sul lavoro.
Ma è proprio ciò che non avviene, e se esistevano motivi di protesta verso il Governo, l’irresponsabile accettazione di masse anonime e dall’incerta integrazione culturale doveva essere uno di essi. Solo che tali motivi, come anche quelli di carattere economico, nulla avevano a che fare col tema del Referendum. Equivoco e confusione maggiori non avrebbero potuto esserci. Già solo questa confusione dà un’idea del livello di intorpidimento e manipolazione delle coscienze avvenuto negli ultimi decenni. Irregimentazione strisciante e continuamente alimentata grazie all’oppio da quattro soldi degli intrattenimenti offerti dai vari Sua Emittenza che avvelenano l’atmosfera cerebrale del Paese.
Oppure si tratta di qualcosa di ancor peggio? Sembra di sì.
In realtà, il risultato del Referendum ha confermato una tendenza poco lodevole e tipica degli Stati minati da un virus devastante: la sfacciata politicizzazione a oltranza di ogni evento, tema, argomento, che prima di essere affrontati politicamente dovrebbero essere pesati e valutati in termini neutri e concreti.
Pensando ai faccendieri, ai bulli e ai facinorosi in circolazione, i quali lavorano alacremente per intensificare il degrado attuale, qualcuno potrebbe credere che stiamo ritornando agli intrighi, alle risse e alle faide di cinquecentesca memoria, ma vi è una differenza: nel Rinascimento almeno fiorivano le arti e ancora si costruivano piazze belle da vedere e da frequentare….
Antonello Catani