Ue, l'integrazione europea è ancora un miraggio

La crisi innestata dal virus e la necessità di rispondervi ha insomma messo l'Unione Europea di fronte alle proprie contraddizioni e creato un chiaro dilemma: se evolvere verso una maggiore unione politica, che richiede anche risorse e capacità decisionali adeguate, o rimanere un'organizzazione di paesi sovrani, con tutti i limiti e i vantaggi che questo comporta. Il Recovery Fund è stato approvato, ma questo dilemma fondamentale non è stato ancora risolto. Il commento di Massimo Bordignon su La Voce.

Bruxelles, passo avanti ma non basta

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Recovery Fund, un'occasione d'oro e irripetibile per il Belpaese

Tra i 66 prodotti delle filiere potenzialmente legate al Recovery Fund in cui siamo primi al mondo per surplus commerciale con l’estero vi sono in particolare le piastrelle ceramiche (4,5 miliardi di dollari di attivo), varie tipologie di tubi di acciaio (per circa 3,4 miliardi), gli scambiatori di calore (770 milioni), alcune tipologie di pompe per liquidi (684 milioni), vari tipi di barre di acciaio (per circa 1 miliardo), le macchine per la produzione del freddo (599 milioni), le macchine per agglomerare cemento, ceramiche, etc. (568 milioni). Siamo secondi al mondo in 118 prodotti, tra cui spiccano i nostri posizionamenti nella rubinetteria e nel valvolame (4,4 miliardi), nelle parti di mobili (2,1 miliardi), in alcune tipologie di conduttori elettrici (1,6 miliardi), nei lavori di alluminio (1,4 miliardi), nei banconi frigoriferi per usi commerciali (933 milioni). Siamo terzi in 133 prodotti, in particolare nei mobili in legno e nei divani imbottiti (per oltre 3,2 miliardi), nei mobili per cucine (938 milioni), nelle parti di pompe per aria e cappe aspiranti (843 milioni), negli ascensori e montacarichi (556 milioni), nei lampadari e altri apparecchi per illuminazione da soffitto (523 milioni). Il commento di Marco Fortis su Huffington Post.

Il Recovery Fund, un appuntamento storico da non dilapidare per l'Italia

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Il moloch del nostro debito pubblico fa davvero paura

Il premier Giuseppe Conte e i giallorossi hanno ben poco da esultare per l’accordo raggiunto – con estrema fatica – sul Recovery Fund. Tracciando un parallelismo fra il Mes e il Recovery Fund, infatti, “le condizioni finanziarie sono simili, ma quelle politiche diverse: il Mes, che l’Italia per ora sta rifiutando, non richiede riforme; il Recovery Fund, che il governo non può rifiutare, ne prevede invece di molto precise (...) C'è un altro elemento importante che preoccupa l'Unione europea, da sempre: l'ammontare del debito pubblico italiano. Come riportato dall'agenzia Agi, alla fine dello scorso anno il nostro debito pubblico si attestava al 135% del Pil (in epoca pre-Covid dunque) e valeva circa 2.410 miliardi di euro. Alla fine del 2020, dopo aver fatto i conti con la crisi pandemica, probabilmente esploderà tra il 160% e il 170%. Secondo gli ultimi dati diffusi da Bankitalia, a maggio il debito pubblico è volato a 2.507,6 miliardi e ha registrato un nuovo massimo storico. Si tratta di un aumento di 40,5 miliardi rispetto ad aprile, quando fu pari a 2.467 miliardi. E su maggio 2019 l'incremento sale a 175,7 miliardi. Secondo gli europeisti, la colpa va fatta risalire ai governi del passato e a uno stile di vita che gli italiani non possono più permettersi. Ma è davvero così? Il commento di Roberto Vivaldelli su il Giornale.

E' il macigno del nostro debito pubblico che preoccupa l'Unione Europea

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