Il premier è nato con la camicia, tutti lavorano per lui

Purtroppo, gran parte delle fortune mediatiche, e quindi politiche, di Salvini vanno attribuite all’afasia, alla crisi berlusconiana, che non è solo di voti, ma soprattutto di strategia programmatica. In passato mai Bossi si sarebbe trovato nella condizione di sottrarre voti all’alleato forzista. Oggi Salvini si trova nella condizione di dare le pagelle ai suoi ipotetici compagni di strada. E non è finita. Più il condottiero leghista vedrà che questa impostazione paga, più insisterà su questo tasto fino alla sua lepenizzazione definitiva. Renzi osserva e spera. Salvini alla sua destra e Pier Luigi Bersani alla sua sinistra costituiscono il top delle sue aspirazioni: lui al centro e gli altri due a consolarsi con un’opposizione a vita. A meno che non fosse approvata la riforma elettorale voluta dal premier, che essendo quanto mai maggioritaria non potrebbe mai favorire la posizione di chi si allarga caparbiamente al centro. Un editoriale di Giuseppe De Tomaso su La Gazzetta del Mezzogiorno.

Anche Salvini in sostegno a Renzi

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Il premier è abile e fortunato

Matteo Renzi è provvisto degli enzimi fondamentali per la biologia del potere: l’abilità e la fortuna. Che sia abile, è fuori discussione. Solo un giovanotto scafato, dotato di coraggio, cinismo e astuzia, poteva battere, sia pure di pochi mesi, il record anagrafico di Benito Mussolini (1883-1945) sulla precocità alla guida del governo italiano: a 39 anni appena compiuti. Un editoriale di Giuseppe De Tomaso su La Gazzetta del Mezzogiorno. perché 

Renzi è nato con la camicia

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Un uomo solo al comando, non funziona

Matteo Renzi non è un premier come tutti gli altri. Presenzialista come Silvio Berlusconi. Grande comunicatore più efficace dell'ex Cav. è assai probabile che riesca nell'intento di portare la barcaccia dell'Italia fuori dalle secche della crisi che è si è appalesata di dimensioni spaventose. Tant’è che ci hanno provato in tanti (Berlusconi, Monti, Enrico Letta) e non sono riusciti a trovare il bandolo della matassa. Nessuno prima di lui si è trovato a guidare un Paese in profonda recessione da oltre 6 anni. Berlusconi ha condotto l'Italia nella bufera della crisi, spargendo ottimismo a piene mani giusto quando erano più che evidenti i segnali di un'economia mondiale che stava per collassare. Ha cercato di vestire vanamente i panni dell’uomo di Stato, con risultati catastrofici. Al vertice di Cannes del 2011 ha suscitato i risolini della Merkel e di Sarkozy, con lo spread che, all'improvviso, ha saltato lo steccato dei 500 punti base, balzando a livelli record. Nell'estate di tre anni e mezzo fa gli italiani hanno tremato. Con il differenziale dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico che ha sfiorato quota 600 punti sui bund tedeschi, chi aveva nel cassetto bot o cct nostrani, se la stava letteralmente facendo addosso. Come, molti gridavano, si era sempre sostenuto che prestare soldi al Tesoro italiano era un'operazione di tutta tranquillità (si raccontava che gli Stati non possono fallire!) e invece pensionati e lavoratori a reddito fisso (ma anche piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e professionisti) all'improvviso hanno constatato che i loro risparmi rischiavano di volatilizzarsi come neve al sole! Ecco il motivo per cui Silvio Berlusconi è stato cacciato a calcioni da Palazzo Chigi. Le sue ricette erano sterili, producevano risultati all'incontrario. A novembre è stato il turno dei professori della Bocconi. Grandi speranze ed aspettative, lacrime di Elsa Fornero, lacrime e sangue per lavoratori e pensionati. Mario Monti la sua pagnotta se l'è portata a Varese, la sua città: nomina a senatore a vita. Il debito pubblico, pur con gli enormi sacrifici imposti agli italiani, ha continuato la sua marcia inarrestabile. Successivamente si sono svolte le elezioni anticipate (mai fidarsi dei berlusconiani e dell'ex Cav....) perché il Pdl (che aveva a cuore le sorti del Belpaese…) non sopportava più di dover sostenere un esecutivo che mai aveva digerito e decideva di togliere inopinatamente la fiducia a Monti. Il quale, anziché defilarsi dalla lotta politica, per cui non sembrava davvero tagliato, fondava un suo partito, Scelta Civica. Le elezioni del febbraio del 2013 sono andate come sono andate. Pari e patta tra partito democratico, Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e partito della libertà a guida Silvio Berlusconi. Nessun governo per alcuni mesi, poi l'incarico ad Enrico Letta, dopo il fallimento nella costituzione di un nuovo esecutivo di Bersani. Anche il nipote di Gianni Letta ha fatto flop. Un governo improvvisato, cosiddetto delle larghe intese non ha potuto far nulla per migliorare la situazione. Fibrillazioni a tutto campo. L'unità nazionale (pur a termine) non si poteva realizzare con uomini politici di destra che scalciavano ad ogni proposta di riorganizzazione dello Stato partorita dal premier Enrico Letta, nipote di Gianni Letta, fiduciario del “mago” di Arcore. I risultati si sono visti ben presto, con il disarcionamento dall'esecutivo da parte dei filoberlusconiani più ortodossi e con i separatisti guidati da Alfano che sono rimasti attaccati alle loro poltrone ministeriali. Pochi mesi dopo, la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del partito democratico e la cacciata del sodale Letta da Palazzo Chigi. Con un colpo basso dell’ex sindaco di Firenze, e con l’assenso di un presidente della Repubblica sempre più stanco, il Palazzo d’Inverno italiano è stato assaltato dalle orde renziane e sarà ben difficile disarcionarlo. Non tanto per meriti suoi acquisiti sul campo, bensì per demeriti di tutte le opposizioni, sia quella all’interno del Pd, sia di tutte le altre. Renzi può stare a lungo a Palazzo Chigi per l’inconsistenza dei potenziali competitori: nulla potrà il segretario della Lega Nord Matteo Salvini (anche se è indiscutibile il suo appeal sulle popolazioni ex forza italiota e simpatizzanti del Carroccio; nulla potrà il M5S che non è riuscito ad aprire la scatola di sardine dei Palazzi romani, nonostante tutta la loro buona volontà; Forza Italia è divisa, divisissima; il Pd nelle persone dei Bersani, dei Cuperlo, dei Fassina e dei Civati non sono riusciti a fare proposte meritevoli di seguito in un elettorato frastornato e sempre più disamorato. Il premier ha utilizzato con una disinvoltura che è pari ala sua pugnalata alle spalle di Enrico Letta del gennaio 2014, il voto di fiducia, incastrando tutti i suoi oppositori nel Pd. A mio avviso il voto di fiducia non deve essere abusato. Con il voto di fiducia decadono gli emendamenti migliorativi di un provvedimento e può scaturirne una legge porcata e, come tale, inaccettabile. Potenzialmente il maggior partito nostrano è quello del non voto, dell’astensionismo, non certo quello che guarda a Renzi. Il quale sta cercando di fare delle riforme ma a tutt’oggi il suo percorso non ha prodotto risultati apprezzabili. La sua forza è la debolezza di tutti gli altri competitori. Il buon Matteo, però, deve dar prova di sé in questo 2015. E l’economia non riparte, il suo Jobs act, le sue riforme rimarranno sulla carta, perché troverà qualcuno (Beppe Grillo con il suo M5S?) che lo disarcionerà. E al 2018 a Palazzo Chigi ci sarà qualcun altro. Questo è certo.

Marco Ilapi

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